La rapina di Via Osoppo

Il colpo dei sette uomini d'oro

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  1. Paul the Templar
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    Venne definito con pomposità “Il colpo del secolo”, e riempì i giornali di cronaca per mesi. Gli stessi giornali che, per aumentare le vendite, cambiavano di volta in volta la definizione della stessa rapina, chiamandola quella dei sette uomini d’oro, eleggendo gli autori della stessa a inafferrabili Fantomas di casa nostra, ed evocando, nella gente, l’immagine di super professionisti addestrati, capaci di portare a termine il colpo che tutti conoscevano come la rapina di via Osoppo. Quando, tempo dopo quel fatidico 27 febbraio 1958, la verità venne a galla, e gli autori della rapina catturati tutto sommato in maniera molto banale, furono molti a provare un senso di delusione nello scoprire la reale portata dei fatti, a cominciare dalla vita assolutamente normale dei sette uomini d’oro, per finire con un processo e delle condanne che misero fine alla vicenda e alla carriera criminale di sette uomini che per qualche giorno pensarono di aver fatto il colpo perfetto, con cui sistemarsi per tutta la vita.
    Il 1958 fu, per il nostro paese, una data cruciale per il suo sviluppo socio economico, con l’inizio del periodo del boom economico, fatto di motorizzazione di massa, di crescita del prodotto interno, di vacanze per tutti e di generale allargamento del benessere. Era solo l’alba di un sogno, che sarebbe poi declinato tristemente a metà anni sessanta, ma l’Italia sognava; e sognavano anche sette uomini. Sognavano un futuro con i danè, un futuro fatto di lusso e divertimenti, lontani dal tran tran quotidiano, dalla vita normale che conducevano. E progettano un colpo, ma non un colpo qualsiasi, bensì il colpo che li sistemi per sempre; e individuano il bersaglio ottimale, il trasporto valori della Banca d’Italia, che rifornisce il lunedì mattina tutte le filiali della Banca Popolare di Milano. Il colpo viene progettato minuziosamente; si studia il percorso, la strategia da utilizzare per assaltare il furgone blindato, nel quale c’erano solamente tre persone: l’autista, un commesso e una guardia di pubblica sicurezza. Erano tempi in cui la malavita si occupava di rapine veloci, in cui la strategia stessa dei malviventi era indirizzata a colpi semplici, che non richiedessero spreco di tempo e rischi superflui. Il 27 gennaio scatta il primo tentativo, con i sette uomini completamente mascherati, vestiti con tute blu da meccanico, e pronti ad agire. Ma quel giorno, mentre sta per scattare l’agguato, due auto della polizia incrociano la sentinella della banda, e per precauzione si decide di rinviare. Il 15 febbraio, nuova data stabilita per il colpo, è di nuovo tutto pronto, ma anche questa volta le cose vanno male. Accade che l’uomo deputato a fare da sentinella, Ferdinando Russo detto il “terrone”, in modo tragicomico scambi il furgone grigio della centrale del latte per il furgone trasporta valori, che è dello stesso colore. Delusi, gli uomini rinviano ancora il colpo, che viene fissato per la mattina del 27 febbraio, alla solita ora. Oggi, sa un po’ di comico immaginare una banda di rapinatori che per ben tre volte prepara un colpo e lo rinvia per motivi così banali; ma all’epoca le comunicazioni erano praticamente inesistenti, visto che solo la polizia aveva in dotazione radio trasmittenti. Il tutto era quindi preparato in maniera approssimativa, con conseguenze che, abbiamo visto, avevano anche risvolti farseschi. Ma quel giorno, viceversa, il piano scatta ed è eseguito in maniera perfetta. Un uomo passeggia per via Osoppo, nascondendo sotto gli abiti una mazza ferrata, mentre poco più lontano, in un furgoncino, altri due uomini attendono nervosamente, imbracciando un mitra; ancora poco più lontano un signore legge distrattamente un giornale, seduto nella sua auto, ma tenendo d’occhio tutto quello che accade intorno. Ha nelle mani una pistola, ed è pronto ad entrare in azione. C’è, fuori dalla sua auto, un giovanotto molto nervoso; nasconde una pistola, ed è anche lui un componente della banda. L’ultimo componente della banda è a bordo di un camion Om, ed è quello che ha il compito più delicato; ed entra in azione appena il blindato con i soldi imbocca il punto previsto per l’agguato; si lancia contro il furgone con violenza, tanto che l’impatto paralizza gli uomini al suo interno. Ognuno dei sette svolge il suo compito alla perfezione; uno di essi punta la pistola sull’autista, mentre l’altro, con la mazza ferrata, sfonda il finestrino sinistro e intima all’agente di Ps di non muoversi. Nel frattempo l’uomo che leggeva nell’auto ha bloccato l’ingresso sulla via Osoppo, lasciando l’auto, con il motore acceso, di traverso; l’auto finisce contro un muro, mentre attorno si raduna una piccola folla di curiosi, che pensa ad un incidente.
    I sette uomini nel frattempo non hanno perso tempo e hanno svaligiato il blindato, hanno caricato le cassette metalliche con il loro contenuto nel furgoncino e stanno per dileguarsi. I banditi, tutti irriconoscibili dietro i loro passamontagna, si dividono:due di loro guidano il furgoncino, gli altri quattro salgono su un auto che li aspettava, e si dileguano. Sono passati pochi minuti, il colpo, audace, è riuscito alla perfezione. Non è stato sparato nemmeno un colpo, nonostante un incauto abitante di uno dei palazzi su via Osoppo abbia tentato di colpire i rapinatori con dei vasi. Il furgone Leoncino e la Giulietta con i rapinatori si allontanano, e da quel momento nessuno li vede più.
    L’impatto del colpo sui giornali fu impressionante; titoloni e caratteri cubitali campeggiavano sulle prime pagine, ponendo in risalto la geometrica precisione della banda. Nel frattempo la polizia si mosse immediatamente, sguinzagliando un apparato impressionante in uomini e mezzi. C’era di mezzo il prestigio della stessa, oltre ad un bottino da favola, stimato tra gli ottanta e i 150 milioni di lire, parte in contanti e parte in assegni e titoli. Venne ricostruito il percorso fatto dai rapinatori dopo il colpo, con la sosta nella zona Lorenteggio, dove i banditi si erano disfatti di parte della refurtiva, quella pericolosa da piazzare, ovvero i titoli e alcuni assegni;poco più lontano, nella stessa zona, si rinvenne il furgone usato per la rapina, privo di qualsiasi impronta digitale. La voce che circolava sugli autori della rapina riguardava una presunta banda venuta dall’estero, una equipe di professionisti, che difatti non aveva lasciato tracce di nessun genere.
    Colpo perfetto, quindi, ma solo all’apparenza. Un errore, molto grossolano, e che diede il via alle indagini che portarono all’identificazione dell’intera banda, fu il tributo della banda all’inesperienza e al teorema che vuole che il colpo perfetto non esista.
    Il 6 marzo un uomo che passava accanto ad un canale del fiume Olona, che era stato deviato per permettere i lavori di interramento dello stesso, notò un grosso sacco sul greto del fiume. Incuriosito, si avvicinò , lo aprì e trovò al suo interno 7 tute blu, sette passamontagna, un caricatore per una pistola e delle munizioni. Un autentico colpo di fortuna, per gli inquirenti, che risalirono immediatamente al fabbricante, visto che imprudentemente i rapinatori avevano lasciato le etichette sul tessuto. Un errore imperdonabile. Le etichette recavano la scritta “Casa della tuta Malpighi, tessuti e confezioni, via dei Servi 32”; era un’azienda di Modena, che aveva fornito quelle tute ad una ditta di Milano. Il commerciante che le aveva rivendute, si ricordò di colui che le aveva acquistate, un ragazzo italiano. Fu Pucci, un piccolo delinquente marginale che viveva di furtarelli, a rivelarsi determinante; raccontò agli inquirenti i suoi sospetti sul conto di Luciano De Maria, giovane di belle speranze ma con la passione per il gioco d’azzardo; è lui che ha acquistato le tute. In breve tempo il commissario capo Paolo Zamparelli, a capo delle indagini, individua l’organigramma della banda, e scatta l’ondata di arresti. Viene arrestato il capo della banda, e probabile ideatore del piano, il trentenne Ugo Ciappina, un giovane in gamba ,che era però passato al crimine; viene arrestato Luciano De Maria, poi è la volta di Arnaldo Gesmundo, detto Jess, l’uomo della macchina usata per la fuga, un giovane figlio di gente perbene, onesti lavoratori, la cui madre si chiuderà in un silenzio attonito e doloroso, incredula delle azioni del figlio. Tocca quindi a Ferdinando Russo, il “terrone”, persona giudicata da tutti a modo, sposato con figli, finire in carcere. Segue la stessa sorte Arnaldo Bolognini, l’uomo che aveva guidato il Leoncino usato per speronare il furgone, una persona all’apparenza irreprensibile, sposato e con due figlie;ancora Enrico Cesaroni, soprannominato il droghiere,infine cade nella rete Eros Castiglioni, giovane playboy innamorato della bella vita e delle donne. Gli interrogatori portano a fare piena luce sia sulle responsabilità individuali, sia sulla dinamica dei fatti, dalla preparazione del piano alla divisione del bottino, con il retroscena dei banditi che si tengono il contante e lasciano nelle cassette i valori e i titoli, gettati poi nel canale. I 35 milioni a testa, frutto della rapina, vennero immediatamente divisi, ma in realtà solo De Maria e Gesmundo ebbero l’idea di darsi alla pazza gioia, spendendo una piccola fortuna a Cortina.
    I soldi, dopo l’arresto dei sette uomini d’oro, vennero rapidamente recuperati, almeno in parte, nonostante i componenti della banda si fossero dati da fare per occultare il bottino; vennero ritrovati sotto uno zerbino, dietro le mattonelle del bagno, insomma in posti poco probabili. Ma gli espedienti non servirono a nulla, e gli uomini d’oro, beffati, finirono dietro le sbarre. Nel mese di ottobre iniziò il processo, ed emerse il quadro completo delle responsabilità; Ciappina confessò che la vera mente del piano era il De Maria, venne ricostruita nei minimi particolari tutta la vicenda, e dopo un processo molto veloce, il 12 novembre venne emessa la sentenza:Ugo Ciappina venne condannato a 17 anni, Ferdinando Russo a 10, Arnaldo Bolognini a 12 anni e mezzo, Arnaldo Gesmundo a 14 anni, Enrico Cesaroni a 19, Eros Castiglioni a 12.
    Pene severissime, considerato il metro attuale di applicazione della giustizia; i sette uomini d’oro non avevano sparato un colpo, non avevano versato sangue,si fecero catturare senza opporre resistenza. Le porte dei vari carceri si chiusero alle spalle del gruppo che aveva escogitato la rapina perfetta, fallita solo per una sbadataggine e per un banale dettaglio. E fa sicuramente tenerezza un dettaglio della rapina; Cesaroni, che aveva un mitra, venne visto da un testimone mentre agiva con i complici. Invece di imbracciare l’arma e sparare, si limitò a fare, con la bocca, il tipico rumore degli spari dell’arma, un “tatata” che mostra come anche la delinquenza, negli anni 50, aveva più lo stile delle bande di Robin Hood che quello della mala che negli anni successivi avrebbe insanguinato il paese.


    Fonti:
    Archivio Corsera del 1958
    Rai, La storia siamo noi
     
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0 replies since 24/11/2008, 18:07   557 views
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