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CONTRIBUTI
STORIOGRAFICI
PATRIA INDIPENDENTE 23 MAGGIO 2004 26
La Resistenza ha avuto – molti lo
ignorano – un genitore dei cui
consigli ed esempio, brillantissimo,
non ha potuto beneficiare
giacché lo sfortunato perse la vita
troppo presto: parliamo degli Arditi
del Popolo.
Essi furono il primo movimento antifascista,
organizzato militarmente,
che la nostra storia abbia conosciuto
in quanto combatté duce e compari
prima ancora che questi stessi
prendessero il potere, ossia quando
scorrazzavano per l’Italia, col placet
del governo a seminare terrore
tra operai e associazioni proletarie.
Gli arditi del popolo, ovunque si
sentisse puzza di imminenti aggressioni
squadristiche, si piantavano lì
arrabbiati e soli, dannatamente soli,
pronti a spezzare il sopruso.
La storia del movimento si inizia
durante la prima guerra mondiale.
Era la primavera del 1917 quando
venivano costituiti, su iniziativa del
colonnello Giuseppe Bassi, i primi
reparti d’assalto formati da veri e
propri professionisti del rischio.
La peculiarità dei soldati in questione
era la capacità di dar luogo ad
azioni illimitatamente eroiche (“ardite”,
da qui il nome), come per
esempio incursioni improvvise e
improvvide nel campo nemico, e
impossibili sabotaggi.
A sintetica indicazione dei connotati
psicologici di questi folli guerrieri
e del modo con cui venivano
tenuti in considerazione dalle alte
gerarchie dell’esercito italiano, ecco
uno stralcio di un discorso rivolto
agli arditi – prima di una battaglia
– dal generale della seconda
armata Luigi Capello: «A voi l’onore
di vincere nel più periglioso cimento.
Forse io vi chiedo l’impossibile.
Ma so a chi mi rivolgo, so che
nulla è insuperabile al vostro ardimento
sovrumano, so che nessuna
sapienza d’arte, nessun numero di
nemici, nessuna potenza di difesa,
nessun valore di eserciti, nessuna
barriera, potranno resistere all’impeto
vostro».
La divisa dell’ardito era composta
da pantaloni all’alpina, un maglione
a collo alto, una giubba che,
aperta sul collo, mostrava sopra il
bavero delle fiamme
nere, verdi o
rosse a seconda
che i militi in questione
provenissero
dalla fanteria, dagli
alpini o dai bersaglieri.
Come distintivo
avevano la
spada romana dentro
un ramoscello
d’alloro e uno di
quercia, tenuti insieme
dal nodo dei
Savoia. Le armi tipiche
erano il pugnale,
la bomba a
mano e il cosiddetto
moschetto 1891.
Il trattamento riservato
loro era assolutamente
privilegiato: esonero da
impegni di trincea, cibo di ottima
qualità – non il “rancio” destinato
ai comuni soldati – un alloggio
confortevole e una sorta di ricca indennità
(monetaria) di rischio. Ma
c’era anche, per così dire, una dura,
altra faccia della medaglia. Ci
riferiamo all’addestramento. Questo
contemplava, fra le tante prove
di allenamento all’«immortalità»,
gravose attività ginniche, gagliarde
lotte alla giapponese, nuoto, frequentissime
e il più verosimili possibile
simulazioni di battaglia.
Prestanza fisica consistente, una
naturale inclinazione alla ribellione
verso i valori e i modi di vivere
consolidati, e non da ultima, una
perversa attrazione verso la morte,
erano le caratteristiche centrali di
chi aspirava ad essere un ardito
combattente.
Le provenienze politiche poi erano
le più disparate: sindacalismo rivoluzionario,
repubblicanesimo e,
più in generale, gli interventisti.
Con la fine della Grande guerra,
questi preziosi militari – erano circa
40.000 – si trovarono in una
condizione difficile quanto singolare,
quella di individui a dir poco
malvoluti, quindi abbandonati ad
un destino probabilmente poco
glorioso e dignitoso.
Erano generalmente ritenuti come
una sorta di disordinati e pericolosi
ex combattenti che nient’altro
avrebbero potuto fare nella vita
fuorché gli assassini. E per i motivi
appena citati persino coloro che li
avevano osannati e sfruttati, generali
e colonnelli, auspicarono una
loro completa e definitiva riduzione
al silenzio e all’inattività.
Non pochi arditi si sentirono quindi
come traditi da una nazione per
cui avevano combattuto senza il
minimo risparmio d’energia. Qualcuno
però si incaricò di difenderli,
Nel primo antifascismo
La loro bandiera:
GLI ARDITI DEL POPOLO
di A.L.
La sede dell’Avanti! devastata il 13 aprile 1919.
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occupandosi allo stesso tempo
del loro futuro e di una loro – laddove
fosse stata necessaria – riabilitazione.
Il 1° gennaio 1919 Mario Carli,
ex capitano degli arditi stessi e
fondatore, nel 1918, del periodico
Roma futurista, diede vita all’Associazione
Arditi d’Italia
(A.N.A.I).
Ciò che accomunava i componenti
della sopracitata invenzione
di Carli era un odio “antico” e altamente
caloroso – oltreché per
gli “imboscati” – per quelli che si
erano mostrati recalcitranti all’ingresso
dell’Italia in guerra, in particolare
i socialisti.
In questo clima s’inserì con piena
vitalità il futuro Duce.
Costui, dalle colonne del Popolo
d’Italia elogiava gli arditi, descrivendoli
come validissime
sentinelle della stabilità e libertà
futura della nazione, nonché come
esempi di maschia virtù per
tutti.
Nel volume Arditi del popolo di
Eros Francescangeli, ed. Odradek,
troviamo pubblicato il seguente
proclama tratto da un articolo di
Mussolini comparso sul Popolo d’Italia
del 25 novembre 1918: «Arditi!
Commilitoni! Io vi ho difeso
quando il vigliacco filisteo vi diffamava...
Il baleno dei vostri pugnali
e lo scrosciare delle vostre bombe
farà giustizia di tutti i miserabili che
volessero impedire la marcia della
più grande Italia...».
Vista questa accattivante premessa,
un collaborativo avvicinamento tra
arditi e Benito Mussolini non tardò
a materializzarsi.
Il 15 aprile 1919 la sede del quotidiano
socialista Avanti! venne distrutta
da arditi e fascisti: si tratta
del primo pesante accenno di guerra
civile in Italia dopo la fine del
primo conflitto mondiale.
L’episodio fu applaudito dalla borghesia
industriale: essa infatti vedeva
nei due nuovi alleati un solido
baluardo dei propri interessi pesantemente
compromessi in un’epoca
marcata da tempeste, ormai quotidiane,
di scioperi.
Qualcosa però, di lì a poco, ruppe
l’«incanto».
In un articolo pubblicato sul giornale
L’ardito Mario Carli esprimeva
il suo malumore – e quello dei
compagni – per la quasi ormai generalizzata
opinione secondo cui
gli arditi si fossero tramutati in
braccio armato dei “padroni”. Il titolo
dell’articolo stesso, Arditi non
gendarmi!, anticipava e sottolineava
con fermezza la posizione di
Carli.
Grazie a questa provvidenziale
presa di coscienza gli arditi iniziarono
ad allontanarsi dal fascismo.
Molti di loro – ci troviamo nel settembre
del 1919 – parteciparono
in seguito alla celeberrima impresa
di Fiume il cui artefice Gabriele
D’Annunzio divenne, l’anno successivo,
presidente dell’A.N.A.I.
Passò solo un anno e l’associazione
cadde praticamente nelle
mani dei fascisti. La sezione più
grande e attiva si trovava a Milano.
A questa si contrappose presto
quella romana nella quale
avrebbero preso vita gli Arditi del
Popolo.
Estate del 1921. Il fascismo era
all’apice del suo processo di borghesizzazione:
Mussolini aveva
capito che per prendersi l’Italia
doveva avere dalla sua i capitalisti.
Così sguinzagliò per tutta la
penisola i suoi sgherri in camicia
nera per costringere alla disciplina
le forze proletarie organizzate
che stavano aizzando allo sciopero
centinaia di migliaia di
operai. Il Governo, presieduto da
Giolitti, osservava, senza intervenire.
Sappiamo che gli faceva comodo.
Qualcuno finalmente riportava
l’ordine.
Il 27 giugno a Roma, in via Germanico,
nella sopracitata sezione dell’Associazione
degli Arditi d’Italia,
veniva eletto un nuovo direttorio. A
comporlo era l’ex tenente Argo Secondari,
anarchico, con precedenti
penali “rivoluzionari” (nel 1919 veniva
arrestato – mentre cercava di
espatriare in Svizzera – per avere
ordito un complotto finalizzato all’occupazione
del Parlamento, del
Quirinale e dei Ministeri della
Il giornale di Ferruccio Vecchi esalta l’azione degli
Arditi fascisti. L’Avanti! risponde dopo la ripresa
delle edizioni.
L’insurrezione di Parma avvenne nell’agosto del 1922.
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Guerra e degli Interni), il tenente
Ferrari e il sergente maggiore Pierdominici.
Si trattava di un’importantissima
svolta nella storia degli arditi. Su
forte impulso di Secondari si decideva
infatti di far virare la sezione
in senso antifascista. L’imperativo
categorico era: proteggere le associazioni
proletarie dagli attacchi degli
squadristi. Venne fondato così –
all’interno della sezione stessa – un
Battaglione degli arditi del popolo.
Col passare dei giorni molti giovani
e non giovani di diverse estrazioni
politiche e sociali – non solo
a Roma e nel Lazio – aderirono al
nuovo gruppo armato. Tra questi
va ricordato – per coraggio e perché
presto divenne elemento di
spicco della dirigenza – il repubblicano
Vincenzo Baldazzi (detto
“Cencio”).
La struttura era rigidamente militare:
gli arditi del popolo erano riuniti
in battaglioni, divisi a loro volta
in compagnie articolate in squadre.
Ogni squadra, composta da dieci
uomini, era comandata da un caposquadra.
Il 6 luglio 1921 all’Orto Botanico
di Roma si svolse la prima grande
manifestazione – organizzata dal
Comitato romano di difesa proletaria
– contro lo squadrismo fascista.
Presero parte a questa importantissima
iniziativa tantissimi arditi del
popolo. Di questi, 2.000 poi sfilarono
per le vie di Roma con in testa
lo stesso Secondari.
Questa fu, ufficialmente, la prima
azione del novello movimento.
Poi seguirono quelle armate, tra cui
si è soliti ricordare Viterbo, Sarzana
(1921) e Parma (1922). Nella prima
gli arditi respinsero un tentativo di
aggressione di una truppa di squadristi
provenienti da Perugia che intendevano
punire coloro che avevano
partecipato ad un comizio organizzato
da PSI, PRI e PPI.
Nella seconda circa diciotto fascisti
– accorsi insieme ad altri per liberare
alcuni compagni catturati in
seguito ad un precedente scontro –
furono uccisi dagli arditi.
A Parma si verificò una vera e propria
esplosione di valore.
Un battaglione di arditi – insieme
ad un nutrito numero di donne –
resistette nelle giornate dal 2 al 5
agosto all’attacco di centinaia di
squadristi, guidati da Italo Balbo, fino
a metterli in fuga. A capo dei
vincitori c’era Guido Picelli, arrestato
nel dicembre seguente con
l’accusa di avere messo a repentaglio,
a Parma, l’integrità dello Stato.
In tutta Italia numerosi furono gli
scontri tra arditi e fascisti. Un’effettiva
possibilità di vittoria totale e
definitiva degli arditi del popolo
contro l’arroganza fascista venne
però stroncata dall’atteggiamento
del governo, guidato dal presidente
Bonomi e dai partiti di sinistra.
Il PSI fu quello che operò il distacco
più netto dagli arditi. Tale distacco
fu dovuto alla pacificazione
– sciagurata – tra lo stesso PSI e i fascisti.
Data: agosto 1921. Regista
dell’operazione: lo stesso Bonomi.
Grazie a questa svolta i socialisti
non poterono più tollerare le iniziative
armate degli arditi contro i
nuovi e finalmente normalizzati interlocutori
politici...
Il PCI invece considerò la condotta
degli arditi del popolo come inaffidabile
perché fuori dall’inquadramento
comunista.
Così gli arditi si ritrovarono da soli
contro la violenza fascista. E presto
si dissolsero. Grazie anche alla feroce
repressione messa in atto, ai
loro danni, da Bonomi.
Argo Secondari, la mattina del 31
ottobre 1922, mentre faceva rientro
a casa – non era più il capo degli
arditi – venne aggredito da alcuni
fascisti. Colpito gravemente alla testa
cadde in terra svenuto. Perse la
ragione. Finì i suoi giorni internato
nel manicomio di Rieti.
Sognando, probabilmente – in
quella esigua porzione di cervello
ancora funzionante – pugnali
schizzati che tagliavano l’aria, camicie
nere sconfitte e un’Italia diversa,
più autentica e viva, non
sporca di astuzie vergognose e codardia.
* * *
Chi volesse approfondire la conoscenza
degli Arditi del Popolo, va
messo doverosamente al corrente
del fatto che la bibliografia sul movimento
è piuttosto scarsa. Vorremmo
però ricordare, a riguardo, due
recenti e ottimi lavori sull’argomento
che tentano di colmare in
modo esaustivo, riuscendoci secondo
noi, la colpevole lacuna della
storiografia: Arditi del popolo di
Eros Francescangeli, ed. Odradek e
Gli arditi del popolo di Luigi Balsamini,
ed. Galzerano. ■
da:http://italy.indymedia.org/uploads/2006/01/26-28_liparoto_arditi.pdf. -
Ale16v.
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