Scenari medio-orientali

Libano Siria, Iran Israele

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  1. jonny_k
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    Un applauso ad Unifil ci sta. Brava, durante il tuo luminoso mandato Hezbollah è diventata anora più "stato nello stato" di quanto non lo fosse prima. Si parla di un arsenale di 30.000 razzi, di una rete di bunker nel sud del paese da far invidia a quelli delle isole del pacifico controllate dai giapponesi durante la seconda guerra, si parla di una rete di comunicazione sofisticata, di materiale chimico/batteriologico iraqueno stockato in Siria all'arrivo degli americani e ora trasferito nel Bekaa, si parla di ufficiali addestrati a Theran, si parla di sofisticati dispositivi contraerei. Un paio di settimane di guerra civile, poi, ottenuto il controllo totale del paese, si inizia della guerra di accerchiamento ad Israele (ottimo combattere d'estate!): missili da Gaza, missili dalla valle del Bekaa, magari anche carri siriani a spingere sul Golan. E le lacrime del mondo per le inevitabili reazioni sproporzionate di Gerusalemme. Beh, speriamo che questa volta con Barak la musica cambi e si abbia il coraggio di rioccupare il Sud del Libano. E intanto il mondo a piangere... cieco!
     
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  2. lupog
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    dacci il link della fonte da cui hai presi queste notizie jonny :)
     
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  3. jonny_k
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    Scusa lupog, provvedo subito.

    Sui missili:

    Dal GIORNALE del 5 marzo 2008:

    L’Unifil non vede, non sente e non parla, ma Ban Ki Moon si preoccupa. Il Palazzo di Vetro e il comando dell’Unifil di Tiro da lunedì parlano due lingue diverse. I vertici dei Caschi blu in Libano continuano a non segnalare attività sospette di Hezbollah e non vedere tracce di riarmo. Il segretario generale dell’Onu trasmette, invece, al Consiglio di Sicurezza un allarmato rapporto citando i dati israeliani sugli arsenali missilistici del Partito di Dio e denunciando le bellicose dichiarazioni del leader dell’organizzazione Hasan Nasrallah. Come se non bastasse il segretario generale dell’Onu ricorda la necessità di arrivare ad una piena applicazione della risoluzione 1701 bloccando i traffici di armi e perseguendo il disarmo di Hezbollah.
    L’insistenza sull’applicazione della risoluzione sembra una sollecitazione ad abbandonare l’implicita intesa dell’agosto del 2006 quando l’esecutivo di Romano Prodi e gli altri governi protagonisti dell’Unifil accettarono di partecipare alla missione nel Sud del Libano a patto che fosse escluso un confronto diretto con le milizie di Hezbollah. Un patto silenzioso, ma rovinoso che ha, di fatto, reso impossibile il controllo dei traffici d’armi e missili destinati al Partito di Dio.
    Il rapporto presentato lunedì al Consiglio di Sicurezza sembra scritto ad arte per segnalare l’esplosiva situazione del Sud del Libano, ma al tempo stesso evitare tensioni tra i 13mila Caschi blu dell’Unifil, 2.500 dei quali italiani, e le milizie del Partito di Dio. Il messaggio - nonostante questi artifizi espositivi- è chiaro. Anche se l’Unifil non lo può dire - fa capire Ban Ki Moon - Hezbollah ha completato il riarmo e si prepara ad una nuova guerra contro Israele. Per dimostrarlo cita il leader Hasan Nasrallah e ricorda le «minacce di guerra aperta contro Israele». Il passaggio più raffinato è quello dedicato agli arsenali missilistici del Partito di Dio. Il segretario generale cita un documento dei servizi di sicurezza israeliani per dire che nelle zone sotto il controllo dell’Unifil «gli arsenali di Hezbollah includono circa 10mila testate a lungo raggio e 20mila a corto raggio». Pur notando che le informative dei Caschi blu non confermano i dati israeliani Ban Ki Moon si guarda bene dal smentirli. «I rapporti sul riarmo di Hezbollah - aggiunge - sono causa di grande preoccupazione e rappresentano una seria sfida alla sovranità, alla stabilità e all’indipendenza del Libano». Subito dopo punta il dito sul contrabbando d’armi provenienti dall’Iran e dalla Siria. «Rimane la preoccupazione per la vulnerabilità dei valichi di frontiera che rappresenta una significativa minaccia alla stabilità e alla sicurezza del Libano».


    Sull'addestramento iraniano degli Hezbollah e sui movimenti di truppe e armi:

    Scritto da Miriam Bolaffi
    lunedì 14 aprile 2008

    Secondo quanto sancito dalla risoluzione 1701/2006 delle Nazioni Unite che ha dato il via alla missione UNIFIL 2, la forza militare dell'Onu presente nel sud del Libano avrebbe dovuto provvedere al disarmo totale delle milizie irregolari di Hezbollah.

    Dopo quasi due anni non solo ciò non è avvenuto, ma si può affermare senza possibilità di essere smentiti che Hezbollah si è sensibilmente rinforzata, provvedendo ad un massiccio riarmo con nuove e temili armi provenienti dall'Iran, via Damasco.

    E' opinione comune che le armi più temibili in dotazione ad Hezbollah siano i missili a medio raggio di produzione iraniana, in grado di raggiungere le maggiori città israeliane. Tuttavia, molti esperti fanno notare che, sebbene detti ordigni siano molto pericolosi, il vero pericolo viene dalle nuove armi antiaeree e anticarro ad alta portabilità di cui Hezbollah è stato fornito da Teheran. Se a questo si aggiunge l'addestramento ricevuto dai miliziani che a turni di diversi mesi si sono trasferiti in Iran per imparare dai Guardiani della Rivoluzione tutte le tecniche di guerriglia, si può facilmente capire che in effetti il vero pericolo arriva da queste componenti.

    Nei giorni scorsi diversi organi di stampa hanno riportato con un certo risalto che migliaia di miliziani sciiti libanesi, nei mesi scorsi si sarebbero recati in Iran in alcuni campi di addestramento appositamente costruiti dai Mullah per addestrarli in previsione di un conflitto con Israele. Beh, non c'è niente di nuovo in tutto questo. E' invece una novità rilevante la dotazione di armi che hanno portato in Libano, armi che in caso di conflitto potrebbero seriamente nuocere a Israele e non solo.

    Per fare un esempio, secondo diverse fonti i missili antiaerei portatili di fabbricazione russa, sono stati modificati per raggiungere i 25 Km in luogo dei 12 dichiarati. Questa è una grave violazione degli accordi internazionali firmati anche dall'Iran oltre che dalla Russia. Infatti, considerando le leggi internazionali che vietano la vendita di dispositivi antiaerei portatili a gruppi terroristici per il rischio che dette armi vengano usate contro velivoli civili, la vendita di tali dispositivi non doveva avvenire, come del resto non doveva essere possibile per nessuno portare armi in Libano, cosa che invece è avvenuta.

    Allo stato attuale delle cose, quindi, la presenza di UNIFIL 2 è solamente di tipo simbolico quando non addirittura protettiva per i loschi affari di Hezbollah, in quanto ha permesso il riarmo delle milizie e sta permettendo il lento ma costante posizionamento sul territorio.

    Il punto focale della situazione è proprio questo: Hezbollah è stato sottovalutato oppure si è agito in malafede permettendone il riarmo in aperto spregio della risoluzione 1701? In ambedue i casi, una missione che doveva portare pace nella regione sta in effetti preparando il terreno ad un conflitto che presumibilmente coinvolgerà milioni di persone.

    Se si è sottovalutato Hezbollah, ancora ci potrebbe essere tempo per correre ai ripari provvedendo alla immediata applicazione di quanto previsto dalla risoluzione 1701, se di contro la missione era solo atta a proteggere proprio Hezbollah, allora sarebbe bene che non solo si ammettesse, ma che si provveda al più presto a sgomberare l'area.

    I recenti movimenti di truppe siriane a ridosso del confine con Israele e il posizionamento di diverse migliaia di uomini armati nei villaggi a sud del Fiume Litani (cosa questa non permessa dalla risoluzione 1701) non può essere passata inosservata ai militari delle Nazioni Unite. Turba molto questa loro “passività”, questo loro limitarsi a guardare mentre viene preparata una guerra in grande stile contro Israele.

    Per questo motivo, attraverso un esposto all'Unione Europea che si faccia carico di trasmetterlo alle Nazioni Unite, chiediamo l'immediata applicazione della risoluzione 1701/2006, chiediamo cioè che i militari di UNIFIL 2 provvedano a fare quanto stabilito dalla stessa risoluzione, disarmare i miliziani di Hezbollah e controllare certosinamente che non giungano altre armi da Siria e Iran. Allo stesso tempo chiediamo che l'Iran venga duramente condannata per aver venduto a un gruppo terrorista armi antiaeree portatili con raggio di azione superiore ai 12 Km. Nel contempo chiediamo che la Russia, produttrice di dette armi, blocchi qualsiasi vendita verso l'Iran, essendo chi produce le armi corresponsabile della loro destinazione finale.

    Miriam Bolaffi, fonte: Secondo Protocollo.


    Riguardo alla rete di comunicazione, riporto le parole di Nasrallah:

    "We believe the war has started, and we believe that we have the right to defend ourselves," the Hezbollah leader said. "We will cut the hand that will reach out to the weapons of the resistance, no matter if it comes from the inside or the outside." He explained that Hezbollah's unmonitored telecommunications system, which the government recently deemed illegal, is "the most important element for the resistance.".

    Fonte: Cnn.


    Sui bunker e la contraerea:

    Cosa brucia sotto il Libano
    Robert Fisk - L'Unità

    TEIR DIBBA (Libano del Sud)- I «martiri» sciiti di questo villaggio libanese adagiato in collina sono morti per lo più nel pietroso e pericoloso sud del Libano a seguito dei raid aerei israeliani o delle invasioni via terra o degli attacchi dal mare. Hezbollah onora doverosamente questi martiri.

    Ma il cadavere dell’ultimo combattente sciita sepolto in questo cimitero - a cura della locale famiglia hascemita - è rientrato in volo dall’Iran il mese scorso.
    È stato salutato come un martire nella moschea di Husseiniya del locale villaggio, ma Hezbollah non ha aggiunto una sola parola.

    Quando un libanese viene ucciso nel corso prove di tiro nella Repubblica Islamica dell’Iran, la sua morte suscita tanto interrogativi quanto lacrime. È quasi un segreto di Pulcinella il fatto che a sud del fiume Litani migliaia di giovani hanno abbandonato i loro villaggi per seguire corsi di addestramento militare in Iran.

    Ogni mese fino a 300 uomini vengono condotti a Beirut per poi andare in Iran e questa operazione va avanti dal mese di novembre del 2006. Finora circa 4.500 membri di Hezbollah hanno preso parte a campi di addestramento della durata di tre mesi imparando a lanciare razzi allo scopo di dare vita ad un gruppo di guerriglieri addestrati dagli iraniani in vista della “prossima” guerra Hezbollah-Israele.

    Se poi questo spaventoso conflitto avrà veramente luogo dipende dal comportamento del presidente Bush. Se l’America - o Israele - bombarderà l’Iran, è molto probabile una immediata reazione dai bunker sotterranei che Hezbollah sta costruendo nei campi e ai lati delle strade a est e a sud di Jezzine.

    Da mesi Sayed Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, avverte Israele che la sua organizzazione ha nel suo arsenale una nuova arma “a sorpresa” e in Libano sono quasi tutti convinti che si tratti di un missile terra-aria di concezione e fabbricazione iraniana che potrebbe mettere in discussione la supremazia aerea di Israele sul Libano. Da oltre 30 anni i cacciabombardieri israeliani hanno il dominio dei cieli e finora hanno perso solo due aerei - uno a causa di un rudimentale missile palestinese Sam-7 e l’altro colpito dalla contraerea siriana - durante e dopo l’invasione del 1982.

    Dopo la guerra del 1980-88 con l’Iraq, l’Iran sviluppò una nuova generazione di armamenti uno dei quali - una versione aggiornata di un missile cinese mare-mare - quasi affondò una corvetta israeliana nell’ultima guerra Hezbollah-Israele nel 2006.

    Hezbollah è in grado di abbattere gli aerei israeliani in caso di conflitto? È una cosa di cui molto si parla in seno alla forza di interdizione dell’Onu, forte di 13.000 uomini, dislocata nel sud del Libano - sostanzialmente un contingente Nato con soldati francesi, spagnoli e italiani oltre che cinesi, indiani e di diverse altre nazioni - che si trova stretta tra i due nemici.

    Nella zona delle operazioni non ci sono combattenti armati di Hezbollah - Nasrallah rispetta la risoluzione dell’Onu che nel 2006 ha dispiegato una forza di pace tra il confine israeliano e il fiume Litani - ma la missione delle Nazioni Unite, con i suoi soldati, correrà gravi rischi in caso di guerra.

    Se i suoi aerei non potranno più bombardare a piacimento il Libano senza timore di essere abbattuti, Israele sarà disposta a lanciare un’altra costosa offensiva di terra - assai improbabile dopo le perdite subite nel 2006 - o ad impiegare in Libano i missili terra-terra? In caso si ricorresse alla seconda ipotesi, il conflitto con il Libano farebbe un drammatico salto di qualità. I missili a lungo raggio si sono rivelati estremamente imprecisi in Medio Oriente e in occasione della guerra Iran-Iraq. Ma a dispetto della instabilità politica, i libanesi - pur attanagliati da una drammatica crisi - sembrano aver respinto l’ipotesi di un ritorno alla guerra civile. In una guerra siffatta nessuno potrebbe più ripetere le menzogne riguardo alla “chirurgica precisione” delle bombe e dei missili.

    Può anche darsi che il governo di Fouad Siniora si trovi intrappolato nella sua “Zona Verde” al centro di Beirut - tanto da aver rifiutato di partecipare al vertice della Lega Araba a Damasco - e non si può negare che i lavori del Parlamento sono stati sospesi a tempo indeterminato dopo 17 vani tentativi di eleggere un nuovo presidente. Inoltre diversi importanti parlamentari e giornalisti libanesi sono stati assassinati o hanno rischiato di morire dal 2005, ma le truppe siriane hanno lasciato il Paese e l’esercito libanese riesce ancora a mantenere una parvenza di ordine nelle strade.
    Tuttavia i servizi segreti siriani sono ancora attivi in Libano - e la Siria è l’unico alleato dell’Iran nel mondo arabo. Ciò non vuol dire, comunque, che la guerra è inevitabile.

    Quindi il futuro del Libano - come già nel 2006 - è nelle mani degli Stati Uniti e dell’Iran. Così come gli israeliani minacciano continuamente la guerra, Hezbollah giura vendetta per l’autobomba che ha assassinato nel febbraio scorso a Damasco Imad Mougnieh, già comandante dei servizi segreti di Hezbollah.

    Gli israeliani non fanno che ripetere che reagiranno ad ogni attacco, ma che «sceglieranno il momento, il luogo e il mezzo». E ovviamente - come nello stile di Hezbollah che ama ripetere le stesse parole di Israele - il 24 marzo Nasrallah ha detto che Hezbollah «sceglierà il momento, il luogo e il mezzo» per vendicare la morte di Mougnieh.
    E mese dopo mese il sistema di bunker di Hezbollah a nord del Litani si rafforza e si consolida.

    Aerei israeliani senza pilota effettuano continue ricognizioni in vista di un eventuale attacco aereo. Linee telefoniche sotterranee collegano i reparti di Hezbollah schierati sul terreno e quelli nascosti nei bunker. Hezbollah ha imparato molte cose dalla guerra del 2006. Allora i bunker erano dotati di aria condizionata, di letti e di cucine. Ma quando i soldati israeliani ne scoprirono alcuni, trovarono anche le copie delle loro foto scattate dalla ricognizione aerea con le annotazioni in ebraico.

    Ovviamente gli uomini di Hezbollah avevano corrotto o ricattato le guardie di confine israeliane per ottenere le foto che consentivano loro di capire quali bunker erano stati localizzati dagli israeliani e quali invece erano ancora sconosciuti al nemico.

    E proprio per questa ragione nel 2006 i guerriglieri riuscirono a resistere a giorni e giorni di bombardamenti aerei consentendo ad Israele di fare irruzione nei bunker “noti” e volontariamente consegnati al nemico. Nessuno sa se Hezbollah ha fatto incetta di nuove fotografie che potrebbero tornargli utili nei mesi a venire.

    © The Independent
    Traduzione di

    Carlo Antonio Biscotto

    Fonte: sito del PD.


    Sul materiale chimico/batteriologico:

    3 aprile 2008

    Siria e Hezbollah sul piede di guerra

    Il governo israeliano, a seguito di informazioni d’intelligence secondo cui gli hezbollah sarebbero dotati di armi chimiche e biologiche, ha deciso di distribuire in tutto il Paese maschere protettive contro gli agenti aggressivi Nbc (nucleari-batteriologici-chimici). Inoltre, il ministero della Difesa dello Stato ebraico ha pianificato a sorpresa un’esercitazione militare a carattere nazionale (dal 6 al 10 aprile) per testare le capacità di reazione alle emergenze delle forze di sicurezza. A questo proposito, “l’8 del mese saranno accese le sirene di allerta”, ha comunicato una nota del governo israeliano. In un briefing alla commissione Sicurezza ed Esteri della Knesset, gli 007 del Paese ebraico hanno confermato che gli hezbollah hanno intensificato le loro attività nel sud del Libano, usando guerriglieri in abiti civili. “Comunque – hanno affermato i capi dell’intelligence -, sembra che per il momento il Partito di Dio abbia deciso di rimandare la sua rivincita su Israele per la morte di Imad Mughniyeh, capo militare del movimento, avvenuta il mese scorso a Damasco”.

    La Siria sta anche continuando a consegnare a Hezbollah razzi e missili. Gli 007 israeliani stimano che al momento la formazione sciita sia in possesso di circa 40 mila esemplari. La maggior parte degli ordigni sono di nuova concezione e, a differenza del passato, sono in grado di colpire obiettivi molto all’interno di Israele, come Beersheba, Tel Aviv ed Eilat. Questi razzi e missili, peraltro, possono essere armati con diversi tipi di testata, comprese quelle con agenti batteriologici e chimici, di cui Damasco dispone in grande quantità. La Siria, infatti, non ha firmato il trattato che bandisce il possesso e l’uso di armi atomiche (Ctbt- Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty) né quello relativo alle armi chimiche e biologiche (Bwc, Biological Weapons Convention). Dal 1973, inoltre ha cominciato a sviluppare ordigni di questo tipo dopo che l’Egitto le aveva donato proiettili di artiglieria in grado di montare vari tipi di testata. Da allora Damasco ha avviato un importante programma di sviluppo in questo settore, tanto che secondo alcuni esperti è quello più avanzato di tutto il Medio Oriente.

    In particolare gli scienziati siriani si sono concentrati nello sviluppo di proiettili caricati con Sarin, Tabun, gas “Mostarda” e Vx (quest’ultimo è l’agente chimico esistente più pericoloso al mondo). La Cia, a questo proposito, stima che Damasco abbia stoccato tonnellate di agenti chimici e centinaia di ogive per ospitarli.
    Ma anche la Siria si sta preparando a qualunque evenienza. Gli 007 israeliani hanno riferito alla Knesset che il regime di Bashar Assad ha ordinato il parziale richiamo dei riservisti e che ha schierato due brigate corazzate sull’autostrada per Beirut. Il loro comandante è Maher Assad, il fratello più giovane del presidente, nonché il capo della sua guardia personale. Gli ordini per le unità sono di bloccare la strada in caso i carri israeliani cerchino di raggiungere la capitale siriana passando dal Libano.

    Da Il Velino, link.


    Altri link: 1, 2, 3.

    Edited by jonny_k - 9/5/2008, 12:56
     
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  4. bradipo1
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    CITAZIONE (jonny_k @ 9/5/2008, 11:50)
    ....di materiale chimico/batteriologico iraqueno stockato in Siria all'arrivo degli americani e ora trasferito nel Bekaa....

    Di questo deve essere nota la precisa quantita, è stato venduto dagli americani, quindi: (quantità venduta nota) - (quantità usata su curdi e altri oppositori nota)= quantità residua calcolabile, ma sarei portato a ritenere che non esista, altrimenti gli americani l'avrebbero trovata.
     
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  5. jonny_k
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    Guarda Bradipo che il materiale di cui si parla sarebbe quello iraqueno non perchè i siriani non ne abbiano di loro (vedi l'ultimo articolo che ho postato) ma solo perchè saebbero restii a cedere la loro tecnologia di armamento delle testate direttamente ad Hezbollah (manco loro si fidano di Nasrallah!). Quindi su pressione iraniana si limiterebbero a cedere "materiale grezzo", vecchio di anni e non da loro sviluppato. Non ho trovato l'articolo in inglese che ne parlava ma i termini della questione erano questi.

    Una cosa poi: non facciamo i finti tonti sulle WMD di Saddam, il fatto che non siano state trovate non prova un bel nulla, se non che la frontiera Iraq-Siria è un colabrodo e che farci passare un convoglio di camion è veloce e pratico! Poi sei tu il primo a dire che Saddam aveva le WMD dategli dagli americani... quindi o se l'è fumate o le ha inviate al caro Baath siriano. Semplice.
     
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  6. jonny_k
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    Panella sulla politica estera di D'alema e Prodi

    Berlusconi deve ora riparare i guasti di D'Alema sulla scena mondiale

    Libano e Europa sono le due priorità di politica estera che il governo Berlusconi eredita dal governo Prodi, che le ha gestite nel modo peggiore possibile.
    Le polemiche che negli ultimi giorni hanno investito il comando di Unifil in Libano, gestito dal generale italiano Claudio Graziano, sono la piccola scossa di avvertimento di un terremoto che rischia di avere conseguenze terribili. I più autorevoli giornali israeliani hanno infatti accusato Unifil di avere tollerato il riarmo di Hezbollah, senza fare alcuna opposizione, non per gusto della polemica, ma perché sono ben coscienti che l’estate del 2008 rischia di essere simile a quella del 2006. Solo che questa volta circa 2.600 militari italiani -più quelli degli altri contingenti- rischiano di trovarsi sulla Santa Barbara di Hezbollah (ampiamente rifornita e riarmata), senza alcun ruolo, se non quello di applicare due risoluzioni Onu, la 1701 e la 1773, ampiamente disattese sia da parte libanese (l’esercito di Birut ovviamente nulla ha fatto per disarmare Hezbollah, come le due mozioni prescrivevano), che da parte siriano (Hezbollah ha trasportato non meno di 10.000 razzi in Libano, proprio grazie a Damasco). La gravissima responsabilità politica di romano Prodi e di Massimo D’Alema, assieme a Jacques Chirac, infatti, è stata quella di varare una mossa saggia e giusta (la missione Unifil, appunto, appoggiata anche da Israele), senza però minimamente dotarla di copertura politica. Copertura che doveva essere, sin dal primo momento attuata con una forma di pressione forte, diretta -anche minacciosa all’occorrenza- sul governo di Damasco, partner, padrino e fornitore di Hezbollah, in piena sintonia con Mohammed Ahamadinejad e i pasdaran iraniani. Mas nè Prodi, né D’Alema, né Chirac hanno esercitato queste pressioni su Damasco (o su Teheran). Al contrario, fedeli alla propria demenziale strategia di differenziarsi innanzitutto e prima di tutto da George W. Bush, hanno blandito Beshar al Assad (e anche Mohammed Ahmadinejad che ha visto sempre aperte le porte di palazzo Chigi ai suoi emissari, anche nei peggiori momenti di crisi con l’Onu) senza ottenere alcun risultato. La conseguenza di questa irresponsabile politica attendista si è ben vista nell’evoluzione sempre più drammatica della crisi istituzionale libanese, là dove le continue missioni di Kouchner e D’Alema sono sempre state semplicemente irrilevanti e tutti sanno che oggi Beirut -sotto giogo siro-hezbollah- è una casamatta sul punto di implodere.
    L’unica strategia seguita dal governo Prodi-D’Alema è stata quella italiota di sempre: sopravvivere, ingraziarsi Hezbollah (con molti, molti favori sottobanco che un giorno verranno alla luce) e aspettà che pass a’ nuttata.
    Ora, Berlusconi deve prendere al più presto in mano l’iniziativa (l’ex ministro della Difesa Antonio Martino aveva lanciato il sasso in campagna elettorale), ma ha possibilità d’azione limitate. La più lineare, quella che più corrisponde alla drammaticità della situazione, passa per la costruzione rapida di un contesto europeo (con una ben possibile intesa con Sarkozy, Merkel, Zapatero e anche l’impacciato Brown), che punti a una sensibile modifica delle regole d’ingaggio, che permetta al contingente Unifil (da riarmare adeguatamente, a fronte dei pericoli che sovrastano), di confrontarsi anche duramente con Hezbollah, se sarà il caso, se e quando l’asse Damasco-Teheran deciderà di reincendiare il Libano per impedire l’accordo tra Ehud Olmert e Abu Mazen.
    Se le regole d’ingaggio non saranno mutate e adeguate, all’Italia non resterà che prendere atto e dovrà affrontare con dignità l’unica scelta possibile: ritirare il suo contingente dal Libano. Il nostro paese può rischiare la vita dei suoi soldati per difendere la pace. Non può rischiarla obbligandoli a stare fermi, come bersagli collaterali, quando Hezbollah sparerà razzi sul Libano e Tshal risponderà.
    La priorità europea è di nuovo disseminata delle macerie del governo dell’Unione. L’unica idea che il centrosinistra ha sempre avuto e difesa è stata quella di schierarsi con l’asse franco-tedesco (teorico di questa scelta è sempre stato Enrico Letta). Quando questo era rappresentato dalla coppia antiamericana Chirac-Schroeder era una pessima linea politica (attendista, non propositiva, viziata dal solo antiamericanismo, senza alcuna sponda alternativa se non, vagamente, nella Mosca di Putin), ma era pur sempre una linea politica (molto, molto vecchia, elaborata dall’asse Andreotti-Berlinguer negli anni settanta).
    Ma prima Merkel, poi Sarkozy, hanno infranto quella pura logica di interdizione, si sono riposizionati a fianco di Bush e quindi D’Alema e Prodi l’hanno sostituito... con l’asse Malta-Cipro- Slovenia-Grecia e altri piccoli dell’Ue. Un nulla, utile solo per manovrine di palazzo (unica specialità di D’Alema) mirate a riscuotere voti in sede di plenum Ue, privo di ogni respiro strategico. Una scelta di totale marginalizzazione dell’Italia nel consesso dei Grandi (utile però per fare altri piaceri ad Hamas ed Hezbollah). Questo nulla è stato poi riempito con l’unica grande vocazione di Prodi -meno di D’Alema- la tessitura di politiche industriali controllate dalla sua Iri-di-Palazzo-Chigi (viaggi in Cina e India e altro).
    Poi è venuto il terremoto spazzatura di Napoli e la politica estera del governo Prodi ha trovato la sua degna conclusione d’immagine sul piano internazionale.
    Quel che farà Berlusconi su questo terreno è già abbastanza chiaro se solo si guarda all’attività di elaborazione recente di Giulio Tremonti. Il leader del Pdl, infatti, non solo rinserrerà quella collana atlantica con capo a Washington che è sempre stata tipica dell’Italia (e della Germania, prima di Schroeder), con Sarkozy, Merkel, Brown e anche Zapatero (con qualche distinguo), ma le darà anche un indirizzo specifico. Non più declamatorie e sterili affermazioni di identità europea (mandata a picco, peraltro, con buona pace di Enrico Letta proprio da Chirac col suo referendum sul Trattato europeo), ma politiche di cioncerto per correggere le storture della globalizzazione.
    Tremonti indica con precisione nel trattato WTO e nella gestione Prodi della Commissione europea i due momenti drammatici che hanno aperto alla Cina le porte dei mercati europei -per terremotarli- senza peraltro aprire il mercato cinese agli europei. Il tutto, per di più, con spaventose conseguenze sul piano della difesa dell’ambiente, delle condizioni infernali di lavoro dei cinesi e tantomeno dei diritti umani (vedi Tibet, ma non solo).
    Berlusconi e Tremonti, dunque, lavoreranno da subito per innervare una posizione recuperata di leadership dell’Italia nell’Ue, spingendo per l’elaborazione di una politica comune di correzione delle distorsioni della globalizzazione. Un percorso molto concreto, assolutamente reso indispensabile per la ripresa dalla attuale fase di stagnazione, con pochi fronzoli politici e pochissima retorica, che può finalmente fare recuprare al nostro paese il suo tradizionale ruolo di “suggeritore autorevole” delle strategie europee di largo respiro.
    Il tutto, ben sapendo che, a differenza di Prodi, Berlusconi è ospite più che gradito sia alla Casa Bianca che al Cremlino, fatto che -in politica estera- dà un suo aiutino

    Carlo Panella


    Sugli scudi umani e sul "diverso concetto dei civili" (argomento mai relamente smentito da nessuno in quanto nessuno può ribattere ai fatti con le opinioni...):

    Hamas ai civili israeliani: “Vi vogliamo morti”

    A cosa punta Hamas? Non è un segreto. Anzi, il messaggio che Hamas rivolge direttamente agli israeliani (in inglese e persino in ebraico) è inequivocabilmente chiaro: “Voi siete il nostro bersaglio, vi vogliamo morti”.
    Lo stesso giorno, il 26 febbraio scorso, in cui il movimento jihadista palestinese cercava di inscenare (con scarso successo) una manifestazione di donne e bambini alla frontiera fra striscia di Gaza ed Israele, il sito web ufficiale di Hamas pubblicava un poster che raffigura dei caduti israeliani e alcuni terroristi pesantemente armati con lo slogan (in inglese ed ebraico): “La morte sta arrivando”.
    Negli giorni successivi, con l’aumento dei lanci di razzi e missili sulle città israeliane, la propaganda di Hamas volta a spiegare che la morte dei civili israeliani è il suo vero obiettivo si è fatta ancora più esplicita. Basta vedere gli ultimi poster messi on-line sui siti di Hamas, con didascalie che non lasciano spazio ad alcun dubbio.
    In uno di questi, forse il più ripugnante e significativo, sono raffigurati dei bambini di Sderot rannicchiati in un rifugio durante un attacco di Qassam palestinesi, e lo slogan recita: “Sionisti, nascondetevi bene”.
    Un altro manifesto mostra l’ingresso della città israeliana di Ashkelon bombardato da granate palestinesi, e la scritta: “Scordatevi della sicurezza”.

    (Da: Intelligence and Terrorism Information Center, 2.03.08)

    Video tratto da memri.org (assai istruttivo...)

    Link.
     
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  7. Lorindel
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    Ti invito , Jonny , ad ascoltare le parole del Santo Padre , che pochi giorni fa ha detto parole circa la guerra israelo-palestinese . Difendere i propri diritti ed i propri civili va benissimo , ma attenzione a non distruggere l'identità dei popoli . (questo è , dopo una brutale operazione di sintesi , il suo discorso) . Forse qualcuno dovrebbe ascoltarlo , non sei d'accordo ? Attenzione quando si difende la libertà del popolo di Gerusalemme : è ugualmente importante che gli stessi non ledano le altrui libertà , rivendicando territori sulla quale proprietà si potrebbe benissimo ri-discutere , viste le evoluzioni avutesi negli ultimi decenni .
     
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  8. lupog
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    Libano- Michel Suleiman, ex comndante dell'esercito, viene eletto nuovo presidente della Repubblica, supportato dalla maggioranza filo governativa antisiriana ma con l'appoggio anche dell'opposizione secondo quanto stabilito dagli accordi di Doha del 21 maggio tra le varie forze libanesi. è l'ultimo capitolo della ricomposizione della crisi cominciata 18 mesi fà quando le forze di d'opposizione filosiriane guidate da Hezbollah chiedevano di poter esercitare veto sulle decisioni dell'esecutivo e di fronte al rifiuto uscivano dal governo di unità nazionale Ora con l'accordo di Doha che assegna oltre un terzo dei ministri ( 11 su 30) all'opposizione la situazione appare sbloccata nel senso vouto dal partito di Dio che potrà dunque eserciutare il veto secondo quanto previsto dalla Costituzione. In Libano sembra esserci sollievo dopo l'elezione di Suleiman: si preferisce sottolineare il ritorno in carica di un nuovo presidente sei mesi dopo le dimissioni di Lahoud ( un altro generale rimasto al potere più di tre anni oltre la fine del mandato per volontà dei siriani) e l'accordo che prevede il divieto di usare le armi nei conflitti interni piuttosto che prendere atto della nuova vittoria politica di Hezbollah. Ancora una volta l'impressione è che le faccende libanesi siano manovrate dall'esterno con Siria e Iran da una parte, Arabia Saudita e occidente dall'altra a svolgere il ruolo di burattinai.

    vedi anche

    http://www.naharnet.com/domino/tn/NewsDesk...22574500016E433
    UN PROFILO DI SULEIMAN ( FONTE BBC)
     
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  9. Rosenberg
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    CITAZIONE (jonny_k @ 14/5/2008, 17:33)
    Panella sulla politica estera di D'alema e Prodi

    Berlusconi deve ora riparare i guasti di D'Alema sulla scena mondiale

    Libano e Europa sono le due priorità di politica estera che il governo Berlusconi eredita dal governo Prodi, che le ha gestite nel modo peggiore possibile.
    Le polemiche che negli ultimi giorni hanno investito il comando di Unifil in Libano, gestito dal generale italiano Claudio Graziano, sono la piccola scossa di avvertimento di un terremoto che rischia di avere conseguenze terribili. I più autorevoli giornali israeliani hanno infatti accusato Unifil di avere tollerato il riarmo di Hezbollah, senza fare alcuna opposizione, non per gusto della polemica, ma perché sono ben coscienti che l’estate del 2008 rischia di essere simile a quella del 2006. Solo che questa volta circa 2.600 militari italiani -più quelli degli altri contingenti- rischiano di trovarsi sulla Santa Barbara di Hezbollah (ampiamente rifornita e riarmata), senza alcun ruolo, se non quello di applicare due risoluzioni Onu, la 1701 e la 1773, ampiamente disattese sia da parte libanese (l’esercito di Birut ovviamente nulla ha fatto per disarmare Hezbollah, come le due mozioni prescrivevano), che da parte siriano (Hezbollah ha trasportato non meno di 10.000 razzi in Libano, proprio grazie a Damasco). La gravissima responsabilità politica di romano Prodi e di Massimo D’Alema, assieme a Jacques Chirac, infatti, è stata quella di varare una mossa saggia e giusta (la missione Unifil, appunto, appoggiata anche da Israele), senza però minimamente dotarla di copertura politica. Copertura che doveva essere, sin dal primo momento attuata con una forma di pressione forte, diretta -anche minacciosa all’occorrenza- sul governo di Damasco, partner, padrino e fornitore di Hezbollah, in piena sintonia con Mohammed Ahamadinejad e i pasdaran iraniani. Mas nè Prodi, né D’Alema, né Chirac hanno esercitato queste pressioni su Damasco (o su Teheran). Al contrario, fedeli alla propria demenziale strategia di differenziarsi innanzitutto e prima di tutto da George W. Bush, hanno blandito Beshar al Assad (e anche Mohammed Ahmadinejad che ha visto sempre aperte le porte di palazzo Chigi ai suoi emissari, anche nei peggiori momenti di crisi con l’Onu) senza ottenere alcun risultato. La conseguenza di questa irresponsabile politica attendista si è ben vista nell’evoluzione sempre più drammatica della crisi istituzionale libanese, là dove le continue missioni di Kouchner e D’Alema sono sempre state semplicemente irrilevanti e tutti sanno che oggi Beirut -sotto giogo siro-hezbollah- è una casamatta sul punto di implodere.
    L’unica strategia seguita dal governo Prodi-D’Alema è stata quella italiota di sempre: sopravvivere, ingraziarsi Hezbollah (con molti, molti favori sottobanco che un giorno verranno alla luce) e aspettà che pass a’ nuttata.
    Ora, Berlusconi deve prendere al più presto in mano l’iniziativa (l’ex ministro della Difesa Antonio Martino aveva lanciato il sasso in campagna elettorale), ma ha possibilità d’azione limitate. La più lineare, quella che più corrisponde alla drammaticità della situazione, passa per la costruzione rapida di un contesto europeo (con una ben possibile intesa con Sarkozy, Merkel, Zapatero e anche l’impacciato Brown), che punti a una sensibile modifica delle regole d’ingaggio, che permetta al contingente Unifil (da riarmare adeguatamente, a fronte dei pericoli che sovrastano), di confrontarsi anche duramente con Hezbollah, se sarà il caso, se e quando l’asse Damasco-Teheran deciderà di reincendiare il Libano per impedire l’accordo tra Ehud Olmert e Abu Mazen.
    Se le regole d’ingaggio non saranno mutate e adeguate, all’Italia non resterà che prendere atto e dovrà affrontare con dignità l’unica scelta possibile: ritirare il suo contingente dal Libano. Il nostro paese può rischiare la vita dei suoi soldati per difendere la pace. Non può rischiarla obbligandoli a stare fermi, come bersagli collaterali, quando Hezbollah sparerà razzi sul Libano e Tshal risponderà.
    La priorità europea è di nuovo disseminata delle macerie del governo dell’Unione. L’unica idea che il centrosinistra ha sempre avuto e difesa è stata quella di schierarsi con l’asse franco-tedesco (teorico di questa scelta è sempre stato Enrico Letta). Quando questo era rappresentato dalla coppia antiamericana Chirac-Schroeder era una pessima linea politica (attendista, non propositiva, viziata dal solo antiamericanismo, senza alcuna sponda alternativa se non, vagamente, nella Mosca di Putin), ma era pur sempre una linea politica (molto, molto vecchia, elaborata dall’asse Andreotti-Berlinguer negli anni settanta).
    Ma prima Merkel, poi Sarkozy, hanno infranto quella pura logica di interdizione, si sono riposizionati a fianco di Bush e quindi D’Alema e Prodi l’hanno sostituito... con l’asse Malta-Cipro- Slovenia-Grecia e altri piccoli dell’Ue. Un nulla, utile solo per manovrine di palazzo (unica specialità di D’Alema) mirate a riscuotere voti in sede di plenum Ue, privo di ogni respiro strategico. Una scelta di totale marginalizzazione dell’Italia nel consesso dei Grandi (utile però per fare altri piaceri ad Hamas ed Hezbollah). Questo nulla è stato poi riempito con l’unica grande vocazione di Prodi -meno di D’Alema- la tessitura di politiche industriali controllate dalla sua Iri-di-Palazzo-Chigi (viaggi in Cina e India e altro).
    Poi è venuto il terremoto spazzatura di Napoli e la politica estera del governo Prodi ha trovato la sua degna conclusione d’immagine sul piano internazionale.
    Quel che farà Berlusconi su questo terreno è già abbastanza chiaro se solo si guarda all’attività di elaborazione recente di Giulio Tremonti. Il leader del Pdl, infatti, non solo rinserrerà quella collana atlantica con capo a Washington che è sempre stata tipica dell’Italia (e della Germania, prima di Schroeder), con Sarkozy, Merkel, Brown e anche Zapatero (con qualche distinguo), ma le darà anche un indirizzo specifico. Non più declamatorie e sterili affermazioni di identità europea (mandata a picco, peraltro, con buona pace di Enrico Letta proprio da Chirac col suo referendum sul Trattato europeo), ma politiche di cioncerto per correggere le storture della globalizzazione.
    Tremonti indica con precisione nel trattato WTO e nella gestione Prodi della Commissione europea i due momenti drammatici che hanno aperto alla Cina le porte dei mercati europei -per terremotarli- senza peraltro aprire il mercato cinese agli europei. Il tutto, per di più, con spaventose conseguenze sul piano della difesa dell’ambiente, delle condizioni infernali di lavoro dei cinesi e tantomeno dei diritti umani (vedi Tibet, ma non solo).
    Berlusconi e Tremonti, dunque, lavoreranno da subito per innervare una posizione recuperata di leadership dell’Italia nell’Ue, spingendo per l’elaborazione di una politica comune di correzione delle distorsioni della globalizzazione. Un percorso molto concreto, assolutamente reso indispensabile per la ripresa dalla attuale fase di stagnazione, con pochi fronzoli politici e pochissima retorica, che può finalmente fare recuprare al nostro paese il suo tradizionale ruolo di “suggeritore autorevole” delle strategie europee di largo respiro.
    Il tutto, ben sapendo che, a differenza di Prodi, Berlusconi è ospite più che gradito sia alla Casa Bianca che al Cremlino, fatto che -in politica estera- dà un suo aiutino

    Carlo Panella


    Sugli scudi umani e sul "diverso concetto dei civili" (argomento mai relamente smentito da nessuno in quanto nessuno può ribattere ai fatti con le opinioni...):

    Hamas ai civili israeliani: “Vi vogliamo morti”

    A cosa punta Hamas? Non è un segreto. Anzi, il messaggio che Hamas rivolge direttamente agli israeliani (in inglese e persino in ebraico) è inequivocabilmente chiaro: “Voi siete il nostro bersaglio, vi vogliamo morti”.
    Lo stesso giorno, il 26 febbraio scorso, in cui il movimento jihadista palestinese cercava di inscenare (con scarso successo) una manifestazione di donne e bambini alla frontiera fra striscia di Gaza ed Israele, il sito web ufficiale di Hamas pubblicava un poster che raffigura dei caduti israeliani e alcuni terroristi pesantemente armati con lo slogan (in inglese ed ebraico): “La morte sta arrivando”.
    Negli giorni successivi, con l’aumento dei lanci di razzi e missili sulle città israeliane, la propaganda di Hamas volta a spiegare che la morte dei civili israeliani è il suo vero obiettivo si è fatta ancora più esplicita. Basta vedere gli ultimi poster messi on-line sui siti di Hamas, con didascalie che non lasciano spazio ad alcun dubbio.
    In uno di questi, forse il più ripugnante e significativo, sono raffigurati dei bambini di Sderot rannicchiati in un rifugio durante un attacco di Qassam palestinesi, e lo slogan recita: “Sionisti, nascondetevi bene”.
    Un altro manifesto mostra l’ingresso della città israeliana di Ashkelon bombardato da granate palestinesi, e la scritta: “Scordatevi della sicurezza”.

    (Da: Intelligence and Terrorism Information Center, 2.03.08)

    Video tratto da memri.org (assai istruttivo...)

    Link.

    Johnny, sposo quello che hai riportato riga per riga.
    Sono perfettamente in sintonia con te.
    Grazie.
     
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  10. jonny_k
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    Ho esitato a postare sull'elezione di Suleiman; effettivamente non riesco a capacitarmi dei "sospiri di sollievo". Sicuramente Hezbollah ha avuto molto, troppo: in primo luogo la garanzia che nessuno toccherà la sua rete di comunicazione privata e l'assicurazione, da parte del neo-presidente, che la milizia rappresenta una componente legittima della difesa libanese, soprattutto in funzione anti-israeliana. Inoltre, a Doha si sono tenuti sì dei negoziati rapidi e risolutivi (la questione dell'elezione presidenziale dura da mesi) ma si è trattato di negoziati che una parte ha imposto all'altra in forza delle armi, occorre ricordarlo. Hezbollah ottiene un alto numero di ministri ed il famoso dirittto di veto. Ma ottiene soprattutto un fronte interno azzittito e "pacificato": la dimostrazione di forza di qualche settimana fa e l'alleanza con Aoun di fatto consegnano il sud del Libano al partito di Dio, lasciandolo libero di continuare a rafforzarsi in vista delle prossima guerra con "l'entità sionista". Unifil intanto aspetta di vedere il primo razzo partire prima di ritirarsi in buon ordine, senza aver fatto nulla per prevenire il riarmo di Hezbollah.
    La Lega Araba a Doha ha solo sancito un esito che le armi avevano già imposto. L'Onu farà lo stesso ritirando Unifil quando la pressione sarà troppo forte; e la pressione su Israele è già forte adesso, se si consiera che Olmert parrebbe disposto a cedere il Golan (!!!), non si sa bene con quale mira strategica. Mi sembra che fatalmente, alla resa dei conti, Kadima e il governo Olmert (mio fratello dodicenne lo chiama sempre smolmert...x rosenberg) si stiano dimostrando incapaci di garantire la sicurezza di Israele anche se su questo pesa anche la fine del mandato Bush, i silenzi americani sul Libano e i reiterati temporeggiamenti diplomatici sul programma nucleare iraniano. E intanto, dal fronte di Gaza continuano a piovere missili. Non è un quadro incoraggiante per Israele e per le sue speranze di pace.
     
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  11. onestobender
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    CITAZIONE
    se si consiera che Olmert parrebbe disposto a cedere il Golan (!!!), non si sa bene con quale mira strategica.

    E' un pò che ne sento parlare, a me sembra una cosa veramente assurda.
     
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  12. jonny_k
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    CITAZIONE (onestobender @ 27/5/2008, 22:51)
    CITAZIONE
    se si consiera che Olmert parrebbe disposto a cedere il Golan (!!!), non si sa bene con quale mira strategica.

    E' un pò che ne sento parlare, a me sembra una cosa veramente assurda.

    Pare assurdo anche a me; comunque questo articolo fornisce una chiave interpretativa a questa mossa a prima vista scellerata.

    Perché Israele sta negoziando con la Siria? E cosa sta succedendo in Libano?

    Di questi due sviluppi, uno potrebbe rivelarsi fra i più importanti in Medio Oriente nel 2008. Ma attenzione: non è il primo dei due.
    Si consideri come mai le due parti – Gerusalemme e Damasco – stanno “negoziando”, compreso il fatto che non stanno realmente negoziando. Probabilmente non si arriverà a un accordo, ed entrambe le parti lo sanno. Però entrambe hanno buone ragioni per mostrarsi impegnate in colloqui, ancorché indiretti.
    Iniziamo con sei fattori che rendono conto della politica israeliana.
    1. Mantenere il primo ministro israeliano Ehud Olmert al suo posto. Non è lo scopo principale, ma certamente gioca la sua parte. Olmert vuole mostrare d’essere impegnato in negoziati così importanti che sarebbe un peccato interromperlo. Cosa conta di più, chiede, qualche busta di contante o la pace? Per un po’ di tempo Olmert ha fatto ricorso a questa tattica con i colloqui coi palestinesi; ora salta su un altro cavallo. Ciò non significa che intenda svendere degli asset della sicurezza nazionale per salvare se stesso. Il bello di questa tattica è che non c’è bisogno di farlo: basta produrre dei titoli sulle prime pagine per ottenere il risultato.
    2. Mostrare a tutti che Israele vuole la pace. Il paese è davvero pronto ad assumersi rischi e a fare concessioni, purché adeguatamente compensate. Dandone pubblica dimostrazione, il governo cerca di ottenere il sostegno dei governi, dei media e delle opinioni pubbliche occidentali, assicurandosi contemporaneamente il consenso della propria base all’interno di Israele.
    3. Dare alla Siria un buon motivo per esercitare autocontrollo. Finché la Siria è impegnata a chiacchierare in contatti nei quali la dittatura non ha nulla da perdere, Damasco non avrà interesse a farli saltare con un eccesso di terrorismo o con un’altra guerra di Hezbollah contro Israele. Mantenere la calma sul fronte nord permetterebbe a Israele si concentrarsi sul fronte sud (striscia di Gaza).
    4. Far contenta la Turchia. La Turchia è un amico importante per Israele e ha legato il suo prestigio a questa iniziativa. Questo fattore non è di grandissima importanza, ma non può mancare nell’elenco.
    5. Mostrare ai palestinesi che Israele ha un interlocutore alternativo, il che può esercitare su di loro una forma di pressione. Israele si garantisce maggiore libertà di movimento sul versante palestinese (punto 3) ampliando perlomeno momentaneamente il gap fra gli interessi palestinesi e quelli siriani. Molti di coloro che sostengono il binario siriano non credono veramente possibili dei progressi su quello palestinese. Quanto il punto 1 può essere importante per Olmert, tanto questo punto 5 è centrale per il suo partner nella coalizione, il ministro della difesa Ehud Barak.
    6. Copertura mediatica e dichiarazioni politiche ignorano o fraintendono il fatto che Israele non sta negoziando con la Siria. Si tratta solo di contatti indiretti condotti in modo più sistematico per stabilire se possano essere soddisfatte le condizioni israeliane per avviare negoziati diretti. Anche se la risposta fosse negativa, Israele può fare questa esplorazione con poca spesa e senza concessioni sostanziali.
    Ciò che Israele sta facendo è totalmente diverso da ciò che propone, ad esempio, il senatore Usa Barack Obama. Se la Siria è disposta ad allontanarsi dall’Iran, a non sostenere più i gruppi terroristi e ad aprire alla pace piena con Israele, comprese le altre concessioni necessarie (limitazione delle sue forze sulle Alture del Golan, postazioni militari di pre-allarme ecc.), allora i colloqui potranno andare avanti. Se e quando queste condizioni non dovessero verificarsi, allora i colloqui naufragheranno o entreranno in un lungo processo comatoso al rallentatore.
    Si tratta di un gioco pericoloso giacché indebolisce la lotta contro il blocco guidato dall’Iran, che continua ad essere la questione più grave in questa fase in Medio Oriente. Tuttavia non dovrebbe comportare danni materiali per la posizione strategica d’Israele.
    E quali sono, allora, le motivazioni della Siria? Anche Damasco ha buone ragioni per stare a questo gioco.
    a) Il principale problema della Siria è l’isolamento internazionale. La sua alleanza con l’Iran, unita alla sua sponsorizzazione del terrorismo contro Libano, Iraq e Israele, procura alla Siria seri problemi diplomatici e costi economici. Negoziare con Israele le serve per tirarsi fuori dall’angolo. Il precedente si ebbe nel periodo 1991-2000. Senza concessioni né mutamenti di politica, la dittatura sopravvisse durante il decennio in cui era più vulnerabile (a causa del crollo dell’Urss e della vittoria americana in Kuwait). Comprensibilmente cerca oggi di replicare quella strategia di successo.
    b) Il regime di Damasco sostiene che, se occidente e Israele vogliono che la Siria parli di pace, allora dovranno trattarla bene: si scordino le indagini sugli assassini politici in Libano di matrice siriana, si cancelli il tribunale internazionale che vorrebbe mettere sotto processo per assassinio i più alti quadri del regime.
    c) Idem per l’idea di punire la Siria per aver cercato di costruire un impianto segreto di armi nucleari con l’aiuto della Corea del Nord. E si ignori l’appoggio da parte della Siria agli insorti in Iraq che ammazzano iracheni e soldati americani
    d) Chiedere più concessioni, che potrebbero essere ottenute senza alcuna concessione da parte siriana.
    e) Prendere tempo nell’attesa di vedere se il prossimo presidente degli Stati Uniti avrà una politica più favorevole alla Siria, eventualità di cui si parla molto a Damasco.
    f) Potersi concentrare su ciò che la Siria vuole veramente: consolidare il proprio controllo sul Libano senza interferenze esterne. Il mondo, specie Onu e Dipartimento di stato, non hanno fatto nulla per fermare la vittoria di Hezbollah-Siria-Iran in Libano. Poi hanno rabberciato il tradimento fingendo che fosse un passo verso la stabilità. Il che probabilmente sarebbe avvenuto anche senza la commedia israelo-siriana, ma quest’ultima ha comunque aiutato, hanno pensato a Damasco.
    Naturalmente l’idea che la Siria voglia una vera pace, che riconosca Israele, che si allontani dall’Iran, che abbandoni Hamas e Hezbollah e cessi di intromettersi nel terrorismo in Iraq semplicemente non sta in piedi. Sono tutte misure contrarie agli interessi vitali del regime. Tuttavia, come si è detto, Damasco può stare al gioco dei colloqui senza fare nulla di tutto questo.
    Nel frattempo il Libano è caduto nelle mani di Hezbollah, un altro stato che va ad aggiungersi al blocco iraniano: una sciagura accresciuta dal fatto che viene disconosciuta. Un giorno, questo sviluppo potrebbe essere visto come il sacrificio della Cecoslovacchia nel 1938 a Monaco per accondiscendere la Germania. Bashar Assad non è Adolf Hitler (un parallelo più calzante potrebbe essere quello con il partner minore della Germania di allora, il dittatore italiano Benito Mussolini). Ma Stati Uniti ed Europa, specie la Francia, si sono comportati verso il Libano come il primo ministro britannico Neville Chamberlain a Monaco. E questo, prima ancora che l’Iran abbia armi nucleari o che alla Casa Bianca sieda un presidente più incline all’appeasement.
    Se l’occidente non si sveglia alla svelta, ciò che seguirà potrà essere molto peggio.

    (Da: Jerusalem Post, 25.05.08)
     
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  13. bradipo1
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    Una domanda: in Siria sono sunniti o sciti?
     
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  14. lupog
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    la maggioranza della popolazione siriana è sunnita ma gli Assad la famiglia che è ininterrotamente al poter da quasi 40 anni appartengono agli alauiti che è un gruppo religioso affine allo sciismo.
     
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  15. jonny_k
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    FEBBRE NUCLEARE
    Segnali sempre più incoraggianti dal Medio Oriente...

    Un'analisi di Guido Olimpio sui programmi nucleari dei paesi del Golfo:

    WASHINGTON — «Le regole sono cambiate, ognuno vuole sviluppare il proprio programma nucleare », ha affermato il moderato e filo- occidentale re Abdallah di Giordania. Parole pronunciate oltre un anno fa e che rappresentavano bene quello che stava — e sta — accadendo dal Medio Oriente al Golfo Persico. Oltre una dozzina di Paesi hanno deciso di sviluppare il settore atomico. Una mossa dettata da tre timori. Il primo è rappresentato dalla «bomba sciita», ossia il progetto iraniano per dotarsi di un'arma atomica. Il secondo è l'equilibrio del terrore con Israele, potenza non convenzionale da quasi 40 anni e dotata di oltre 200 ordigni. Il terzo è pensare ad una energia alternativa al petrolio. Un desiderio fatto proprio dai summit arabi e ribadito dai singoli governi. Lo slogan è semplice e chiaro: abbiamo diritto anche noi al nucleare. Uno studio ha fornito una tabella di comparazione interessante: l'85% dei Paesi del Golfo (escluso l'Iraq) è interessato all'atomo contro il 15% degli stati del Sud America e del 20% dell'Africa. Persino il Sudan, alle prese con problemi interni significativi, ha espresso «interesse» verso il settore.
    La maggior parte dei progetti sono condotti d'intesa con l'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, che periodicamente invia i suoi ispettori per assistere chi vuole sviluppare un progetto civile. L' ombrello neutrale che dovrebbe servire da garanzie contro manovre clandestine. Ma gli esperti temono che alcuni degli Stati possano condurre piani segreti.
    «Vogliamo fare tutto il modo trasparente e soprattutto è nostro desiderio che l'intera regione sia libera dalle armi di distruzione di massa », proclamano solennemente le fonti ufficiali saudite. Più volte, però, nel corso di questi ultimi anni si sono levati dubbi sulle vere intenzioni del regno. Rivelazioni in serie hanno raccontato di un accordo con la Cina, dei contatti con gli scienziati pachistani e della creazione di impianti di natura militare. In particolare sarebbe stata costruita una grande base sotterranea sotto l'oasi di El Solayil destinata a ospitare missili di nuova generazione e un centro di ricerche sofisticato. Stesse — se non più ampie — le preoccupazioni a riguardo della Siria che lavorerebbe all'atomica con l'assistenza della Corea del Nord. Un caso portato alla ribalta da un misterioso raid compiuto da Israele, il 6 settembre, contro un impianto nel nord del Paese.
    A nord ovest, in un'area non meno instabile, i turchi hanno svelato di voler realizzare tre impianti. Il primo dei quali sorgerà a Sinop, sul Mar Nero. Un po' più a sud, l'Egitto di Hosni Mubarak ha ribadito che il nucleare rientra «nella nostra sicurezza nazionale». Il Paese dispone già di un reattore commerciale a nord del Cairo — lo hanno costruito gli argentini — ed ha l'intenzione di un svilupparne un secondo a El Dabaa. I piccoli ma ricchi Emirati Arabi Uniti sono stati tra i più determinati nel tradurre le dichiarazioni di impegno in atti concreti stanziando 100 milioni di dollari per finanziare la ricerca. Ed hanno trovato un partner nella Francia, che già collabora con numerosi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.
    La voglia di nucleare, appaiata a spese militari costanti, è seguita con molta attenzione dagli analisti americani indipendenti, che ritengono troppo morbido l'atteggiamento dell'amministrazione Usa. Il loro giudizio è che i progetti se, da un lato, sono ancora in una fase iniziale ed esistono problemi tecnici da risolvere, dall'altro non rappresentano la ricetta indicata per un'area dove non mancano motivi di tensione. «È come se volessimo spegnere il fuoco della proliferazione con un secchio di benzina», è stata la battuta di Henry Sokolski, direttore del «Non proliferation policy education center».


     
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45 replies since 23/4/2008, 12:08   649 views
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