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riporto alcuni interessanti valutazioni sulla crisi di governo uscite sui giornali di oggi
sul Corriere Galli della Loggia sottolinea la serietà di D'Alema e dice che occorre ripartire da questo
"Nel confuso dibattito sulla politica estera delle ultime settimane, Massimo D'Alema ha mostrato la stoffa politica che anche gli avversari gli riconoscono. Non ha mai mancato di rivendicare il significato e la coerenza della sua azione alla Farnesina, ha sottolineato la svolta che a suo giudizio quell'azione manifestava rispetto al governo precedente, ha sempre cercato di difenderla dalle pressioni che miravano a spostarla su un terreno più radicale, di rottura più o meno palese con il quadro tradizionale delle nostre alleanze. In questo sforzo quotidiano il nostro ministro degli Esteri ha fatto qualcosa che in Italia non è certo usuale: ha parlato con nettezza, e lo ha fatto ripetutamente. Ha detto fuori dai denti, rivolto ai turbolenti soci della sua coalizione militanti nella sinistra radicale, che un governo che si rispetti deve potersi reggere su una propria maggioranza in politica estera; che su un tema così decisivo non sono ammissibili apporti dell'opposizione; che se non si sta su questa strada allora l'unica alternativa è quella di abbandonare la partita. [......] Una cosa sola pensiamo che l'opinione pubblica possa chiedere in questo momento a Massimo D'Alema: una parola, un gesto, veda lui quale, che comunque non dissipi la lezione di serietà, di impegno e di coerenza, che le sue parole hanno offerto al Paese nelle settimane passate."
Ezio Mauro su la Repubblica pone l'accento sul massmalismo suicida della sinistra radicale e sulle ambiguità di chi vuole governare facendo l'occhiolino agli umori cangianti della piazza.
"Tirata per mesi in parlamento e nelle piazze, la corda ideologica dell'estremismo si è infine spezzata, facendo precipitare il governo Prodi e riaprendo a Silvio Berlusconi - sconfitto soltanto un anno fa nelle urne - la prospettiva ravvicinata di ritornare alla guida del Paese.
La crisi si apre sulla politica estera, dopo che D'Alema ha spiegato in Senato l'impegno per la pace dell'Italia, il rifiuto della guerra, il valore "politico e civile" della missione Onu in Afghanistan, l'impossibilità di un ritiro che ci allontanerebbe dalla Ue, isolandoci. Un discorso che sta pienamente nel programma dell'Unione, e che avrebbe potuto pronunciare tra gli applausi qualsiasi ministro degli Esteri di qualunque governo di sinistra di ogni Paese occidentale.
Ma in Italia, no. In Italia, dove il presidente del Consiglio è stato presidente della Commissione europea, questo discorso divide la sinistra ed è inaccettabile per la sua frangia più estrema, pronta a votare contro il governo pur di salvarsi l'anima o almeno il pregiudizio. Il risultato è la crisi dopo appena 281 giorni di Prodi a Palazzo Chigi, nemmeno un anno. Una crisi inevitabile perché senza una maggioranza in politica estera non si governa il Paese. Romano Prodi ha fatto bene ad annunciare subito dopo il voto, già al telefono, le sue dimissioni al Capo dello Stato, e a non chiedere un rinvio automatico alle Camere per verificare meccanicamente se la maggioranza di centrosinistra c'è ancora oppure no. In questo modo si esce dai giochi interni alla coalizione, dove è possibile fare per mesi i governativi al ministero e gli estremisti in piazza, e tutto ritorna nelle mani del Capo dello Stato. Da oggi, dirà Napolitano al centrosinistra, la "fiducia vuota" non basta più, perché non garantisce la tenuta di un governo, anzi lo espone a quell'"umiliazione" di cui parlava ieri la Cnn nel servizio sull'Italia: occorre un impegno preciso sui passaggi qualificanti, qualcosa che dimostri la capacità per la sinistra italiana di fare governo, di fare maggioranza. Solo così Prodi potrà ripresentarsi alle Camere. Altrimenti, non ci sono le condizioni per andare avanti e la sinistra dovrà passare la mano, gettando al vento in pochi mesi la vittoria elettorale: e per sua esclusiva responsabilità. Le due defezioni "comuniste" sono il segno concreto dell'ideologismo irriducibile, anche davanti alla crisi di governo, e al rischio di riconsegnare il Paese a Berlusconi. Ma sarebbe ingiusto fermarsi qui, e non vedere dietro i due senatori del no un mondo, un'organizzazione e una cultura molto più ampia, in cui hanno camminato in questi mesi e soprattutto in queste ultime settimane gli stessi leader dei partiti dei verdi, di Rifondazione e dei Comunisti italiani che poi nelle ultime ore hanno parlato a sostegno del governo: come se un voto parlamentare fosse separabile da una cultura, da un comportamento diffuso e insistito, da un giudizio capitale sul riformismo di sinistra, dall'anatema sulle alleanze occidentali. E soprattutto dall'antiamericanismo che dopo la fine della guerra fredda in Italia è l'ultima ideologia superstite, quasi un'identità eterna per un comunismo minore e irriducibile, che continua a chiamarsi tale nonostante la democrazia l'abbia sconfitto nella contesa europea del Novecento, rivelando non solo i suoi errori ma la sua tragedia. La crisi di governo certifica dunque con esattezza cos'è la sinistra italiana oggi. Un gruppo maggioritario che si fa carico della responsabilità del governare, scegliendo la cultura riformista nei suoi valori e nelle sue obbligazioni. Un gruppo minoritario estremista, che ha demonizzato Berlusconi come fascista ma è pronto a riconsegnargli l'Italia, considera il governo del Paese un vincolo più che un'opportunità, ritiene che la piazza debba prevalere sulle istituzioni. Il dramma della sinistra sta alla fine in un paradosso: nelle condizioni attuali senza l'ala radicale non si vince, ma con l'ala radicale non si governa. E tuttavia si dovrà ad un certo punto parlar chiaro davanti ai cittadini, spiegando qual è l'Italia del futuro, che Paese ha in mente la sinistra, come lo vuole veder crescere."
Giulio Anselmi su La Stampa auspica larghe intese sulle riforme ma non nasconde le difficoltà sulla strada per realizzarle
"Per poter votare senza esporre l’Italia ai costi e ai traumi di una campagna come quella che ci siamo da poco lasciati alle spalle senza raggiungere l’obiettivo della governabilità, occorrerebbe dotarsi di una buona legge elettorale: non costruita, come quella lasciata dal centro-destra, allo scopo di rendere instabile il Paese. Ma quale maggioranza l’approverebbe? La logica e l’interesse del sistema farebbero auspicare un’intesa tra i maggiori partiti per approvare norme in grado di consentire alla Seconda Repubblica di riprendere il percorso fondato sulla triade alternanza-maggioritario-bipolarismo che tutti (o quasi) propugnano. Sembra però molto difficile disporre dei numeri necessari in Parlamento. Almeno fino a che Berlusconi comanda il centro-destra, appare improbabile un’intesa contro cui insorgerebbero buona parte dei Ds (e un po’ di Margherita). Ci sono perciò fondati motivi per temere che, un po’ per questi problemi e un po’ per il timore di regalare il Paese al Cavaliere (oggi il centro-destra è in significativo vantaggio nei sondaggi), il centro-sinistra cerchi di galleggiare il più a lungo possibile, in bilico tra le tentazioni dei suoi leader ansiosi di gestire il dopo-Prodi. Determinante sarà l’atteggiamento del presidente Napolitano.
Nel giorno della caduta è fin troppo ovvio dire che il governo è scivolato sulle contraddizioni politiche che hanno accompagnato tutta la sua breve esistenza e sull’esiguità della maggioranza che, soprattutto al Senato, lo sosteneva. Tanta precarietà non ha impedito a Prodi di realizzare o abbozzare riforme importanti, che il governo precedente non era stato in grado di varare con ben altri numeri a disposizione. Valgano per tutte le liberalizzazioni iniziate da Bersani, in un susseguirsi di equilibrismi che inducevano, talvolta, a pronosticargli una durata d’intera legislatura. Lui garantiva che avrebbe trasformato in forza la debolezza della contraddizione, puntando sullo spirito di sopravvivenza, la più forte pulsione di ogni specie. Ma, nel litigioso centro-sinistra italiano, neppur questo è bastato."
Gian Carlo Mazucca sul Quotidiano Nazionale pone charamente l'alternativa: "Larghe intese o subito al voto".
"Proprio in mattinata Napolitano aveva preso le distanze dalle manifestazioni di piazza - senza fare esplicito riferimento al corteo di Vicenza di sabato scorso - che non sono «il sale della democrazia». Un richiamo forte, dunque, che sembrava fatto apposta per suggellare quanto il ministro degli Esteri D’Alema aveva detto la sera prima.
Una specie di ultimatum a Prodi: o l’Unione mantiene la maggioranza in Senato sulla politica estera, oppure si va tutti a casa. Cosa farà ora il capo dello Stato? Al momento, qualsiasi ipotesi è possibile, ma l’eventualità di un governo di larghe intese rilanciato in serata da Casini appare come la strada più praticabile per uscire dall’impasse. Con una maggioranza così ballerina, qualsiasi soluzione tipo un Prodi-bis o un governo D’Alema appare infatti molto debole e destinata ad avere vita brevissima. In caso di fumata nera, il ritorno alle urne in tempi molto brevi, eventualità scartata da molti fino all’altra sera ma non dal sottoscritto, diventerà una necessità per tutti.
diamo ora uno sguardo ad alcuni giornali esteri
il New York Times evidenzia cheMolti esperti politici credeono che a. Prodi verrebbes data un'opportunità di rimescolare il suo gabinetto in un modo da soddisfare i partiti già nel governo. Poi andrebbe a chiedere un voto di fiducia in Parlamento. Ma molti esperti notarno che un tale governo rimarrebbe debole, con divisioni profonde sull' Afghanistan e la base americana irrisolte. http://www.nytimes.com/2007/02/22/world/eu...r=1&oref=slogin
anche la BBc sottolinea come probabile un secondo, più debole, governo di Prodi piuttosto che un ritorno ad un governo di centro-destra , o ad elezioni rapide. Nel lungotermine, alcuni esperti politici stanno suggerendo che Prodi,anche lui un cattolico impegnato, può essere tentato di arruolare elementi cattolici moderati dalla coalizione di centro-destra conduotta dall'ex primo primo ministro, Silvio Berlusconi. Mr Prodi può sopravvivere , se gli venisse datto un mandato nuovo dopo una riorganizzazione della sua squadra . Ma la sua autorità già discutibile sarà indubbiamente indebolita ulteriormente. http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/6385133.stm The Times dà risalto all'opinione di Paolo Mieli,secondo cui è difficile vedere come una nuovacoalizione di Prodi potrebbe chiarire le tensioni all'interno del Centro-Sinistra che ha ossessionato Prodi da quando lui ha vonto le elezioni l'aprile scorso. È probabile che un nuovo governo sia più debole, . http://www.timesonline.co.uk/tol/news/worl...icle1421385.ece
Le Monde ritiene più probabile che Prodi formi un nuovo governo che rimarrebbe ugualmente debole. altra possibilità dunque sarebbe affidare l'incarico ad un'altra personalità oppure, ipotesi sostenuta da Casini la formazione di un governo tecnico , mentre berlusconi e Fini chiederebbero nuove elezioni
http://www.lemonde.fr/web/article/0,[email protected],0.html
molto modestamente dico la mia: ancora una volta la sinistra radicale dimostra di non possedere una virtù fondamentale in politica: l'arte del compromesso. Per loro o è bianco o è nero , o si fà come vogliono loro oppure tanto meglio buttare il bambino con l'acqua sporca. Ma questo atteggiamento, tanto più grave in quanto ripetuto dopo che nel 1998 sempre dall'estrema si giunse alla caduta di Prodi per motivi che solo loro hanno capito, non può portare alla realizzazione di un programma di lungo periodo.
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