TFR: come distruggere l’economia produttiva a tutto vantaggio della speculazione bancaria

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  1. leibniz76
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    di Claudio Giudici (www.movisol.org)

    La questione “Tfr” si inserisce in quel macro-processo avviatosi a livello globale tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70, che ha segnato il passaggio da un’economia di produzione ad un’economia dominata dalla speculazione. Tale questione, così come le privatizzazioni del patrimonio industriale italiano iniziate nel 1992 sotto la direzione dell’attuale Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è utile al mantenimento della bolla speculativa finanziaria che non ha più alcuna relazione con la sottostante economia reale. La riforma del sistema previdenziale, così come attuata, rischia (o strumentalmente punta) di far sì che l’enorme massa dei contributi dei lavoratori possa andare a foraggiare la bolla finanziaria che per restare in vita ha necessità di crescere sempre di più.
    Se negli Stati Uniti il Governo Bush non è riuscito nell’opera di privatizzazione della Social security, grazie alla rievocazione ideale del suo fondatore, Franklin Delano Roosevelt, in Italia una simile iniziativa rischia di perfezionare quel tentativo, che non a caso è sostenuto da liberisti come il leghista Giancarlo Pagliarini. In spregio al principio repubblicano del ruolo garantista che lo Stato deve ricoprire nel settore previdenziale – tanta è la sua delicatezza – , l’attuale riforma del sistema previdenziale potrebbe rappresentare la testa di ponte per arrivare a quel modello Pinera di privatizzazione della previdenza che fu attuato per primo nel Cile di Augusto Pinochet e che poi è stato esportato anche in Polonia, Ungheria e Kazakistan.
    Fino a quando non si comprenderà che per risolvere eventuali debolezze sistemiche di ordine finanziario, si deve agire sul livello dell’economia produttiva aumentando la produzione procapite e per chilometro quadrato, implementando il livello tecnologico-scientifico dei processi produttivi, il sistema pensionistico continuerà ad essere, di anno in anno un problema. Dunque il sistema previdenziale non è il problema, ma il problema è l’economia produttiva che vi sta dietro e che è sempre più debole.
    Riformare il sistema finanziario e monetario internazionale, avviare grandi progetti di sviluppo infrastrutturale a forte base tecnologico-scientifica, in una parola riscoprire la figura di Franklin Delano Roosevelt, vorrebbe dire mettere fine a questo progressivo processo di distruzione dell’economia e delle libertà civili e riavviare quel cammino che può portare a rendere le persone partecipi del progresso e del benessere.

    Tra il febbraio ed il marzo scorso, per ben due volte il Ministro Damiano ha espresso in prima serata, durante la trasmissione Ballarò di Raitre, tutto il suo favore per i fondi pensione.
    Il Governo ha istituito un apposito sito web dove si parla dell’impossibilità di fallimento del fondo pensione. Il Governo si premura di sottolineare che:

    “Non è possibile attualmente che i Fondi Pensione possano fallire. Infatti, i Fondi Pensione sono delle Associazioni "no profit" e non gestiscono direttamente le risorse degli iscritti, ma utilizzano un meccanismo di gestione delle risorse affidandolo a soggetti terzi. Inoltre, è previsto dalla normativa l’Istituto della banca depositaria che è quella in cui fisicamente vengono accantonate le risorse del Fondo pensione. Quindi, diciamo che dal punto di vista normativo questo non è possibile.”

    Dunque l’Esecutivo pone l’accento sul fatto che i fondi pensione da un punto di vista giuridico non possono fallire. Tuttavia, quello che interessa al lavoratore è se tale fondo garantisca o meno la pienezza del Tfr a fine rapporto di lavoro.
    Il Governo si esprime in questi termini:

    “È possibile invece, essendo il rendimento di tipo finanziario, che ci siano possibilità di avere, nel corso del periodo di adesione, rendimenti che possano andare anche ad incidere sui contributi versati. In questo caso vi è la possibilità, essendo però un investimento di lungo periodo, sicuramente, di recuperare anche fasi contingenti che ci possono essere nel periodo di adesione.”

    Dunque è solo una “possibilità” l’avere rendimenti negativi nel corso del periodo, mentre è una sicurezza il recupero.
    L’Autorità garante per la concorrenza e per il mercato, se il Governo fosse un operatore di mercato, ne potrebbe ravvisare i tipici estremi della pubblicità ingannevole.

    Il Ministro Damiano poi ha azzardato suggerendo esplicitamente “per i più giovani” i fondi a maggior rischio, perché per “gli analisti in 30-40 anni” la borsa rende di più.
    L’11 novembre 2006 l’Adusbef pubblicò un comunicato stampa dal titolo: “Agenzie di rating: il monopolio delle “tre sorelle” USA della finanza, in prevalenza controllate dalle banche, esposte e coinvolte pesantemente nella ‘finanza derivata’”. Questo comunicato si basava su uno studio del Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà , il movimento di LaRouche in Italia. Il Movimento da anni denuncia il pericoloso sopravvento preso dalla speculazione finanziaria sull’economia fisica dei Paesi ad approccio economico liberista.
    Il Wall Street Journal-ANSA il 12 novembre, riprendendo quello studio, titolava: “Opinioni: il 90% dei consigli delle agenzie di rating sono bufale!”.

    Da una mia analisi si comprende quali siano le dinamiche finanziarie del mercato azionario rispetto a quelle del rendimento fisso. Lo studio prende in esame l’indice di borsa più conosciuto al mondo, il Dow Jones americano nonché i tassi d’interesse Usa.
    Dai dati relativi all’indice azionario Usa, Dow Jones Industrial, dal 1955 ad oggi, e dai dati dei tassi d’interesse al 31 dicembre di ogni anno (dal 1955, poiché solo da tale anno li fornisce la Federal Reserve) ne emerge: dal 1955 al 1971 (mi sono soffermato sul 1971 per avere poi dal ’71 al 2006, i trentacinque anni a cui faceva riferimento il ministro Damiano) un’unità di dollaro investita nel comparto a basso rischio (titoli del Tesoro Usa) sarebbe divenuta di 1,91 dollari.
    Nello stesso periodo, chi avesse investito quella unità di dollaro nel mercato azionario Usa, invece si sarebbe ritrovato con 2,18 dollari.
    Dal 1971 ad oggi, invece, la rendita sarebbe stata di 9,8 per il comparto a basso rischio, e di 14,0 per il comparto ad alto rischio. Tuttavia, fino al 1995 il risultato sarebbe sempre stato a favore del comparto a basso rischio (con l’eccezione del 1972). Se poi consideriamo meritevole di rischio solo quell’investimento ad alto rischio che renda almeno il 30% in più rispetto a quello a basso rischio, solo gli anni 1999, 2000, 2004 e 2006 hanno dato un risultato di tale tipo.
    Sui 52 anni presi in esame, solo 12 avrebbero dato quel risultato al lavoratore maggiormente propenso al rischio.
    In termini assoluti, poi, il periodo che va dal 1969 al 1995 ha dato consecutivamente risultati negativi a colui che ha optato per la scelta più rischiosa del mercato azionario.
    Dal 1996 ad oggi, la scelta premiata sarebbe stata quella del lavoratore più propenso al rischio, che dunque avesse puntato sul mercato azionario, ma sui minimi del 2001, 2002 e 2003, la scelta premiante sarebbe tornata ad essere ancora una volta quella del lavoratore più accorto, meno propenso al rischio.
    Questi risultati sono ancor più negativi se consideriamo che i tassi d’interesse, per quanto possano essere bassi, sono sempre positivi o comunque non inferiori allo zero (pensiamo al Giappone degli ultimi anni). Mentre nel caso di un fondo pensione concentrato su valori azionari, si può verificare la situazione per cui si entra nel fondo sui massimi del gennaio 1990 e si resta per un ventennio sotto quei valori azionari con perdite di oltre il 50% (come verificatosi in Giappone). Oppure vi si entra nel 1965 e vi si esce nel 1981, rimettendoci oltre il doppio rispetto al più sicuro investimento effettuato in titoli del tesoro, come nel caso statunitense.
    Alla luce del fatto che i mercati azionari sono tornati ad essere sui massimi storici, sono altamente instabili, premiati più dall’immissione arbitraria di liquidità da parte delle banche centrali che non dai risultati operativi, suggerire ad un lavoratore di posizionare i propri contributi previdenziali sui fondi pensione azionari è quanto di più irresponsabile si possa fare.

    Ora, a parte queste considerazioni di carattere squisitamente finanziario – che in ogni caso producono dei riflessi diretti sulla vita dei lavoratori – la faccenda ha un superiore rilievo strategico-economico. Infatti, la riforma è espressione della ridicola cultura speculativa che affligge il nostro tempo e di cui l’attuale sistema monetario e finanziario internazionale è manifesta espressione. Cercando di superare considerazioni esclusivamente individuali, il lavoratore di azienda con numero di dipendenti inferiore alle 50 unità (la stragrande maggioranza) deve tenere conto che optare per i fondi pensione, siano essi a basso rischio, siano essi ad alto rischio, provoca alla propria azienda quella privazione di liquidità che la obbliga a ricorrere ai prestiti bancari. Con una cecità di tale tipo, il lavoratore diviene fautore dell’impoverimento della sua stessa fonte di sussistenza e di emancipazione, che è l’impresa per cui lavora.
    La previsione originaria poi – adesso valida solo per le imprese con più di 50 dipendenti – , del conferimento del Tfr a un fondo negoziale di categoria oppure un fondo analogo dell’Inps, in seguito al silenzio del lavoratore, è sempre espressione di quella cultura finanziarista che ha ispirato tutta la riforma, e che porta l’azienda a privarsi di importanti liquidità operative.
    In un sistema economico sano, è molto importante invece che i contributi dei lavoratori rimangano presso le aziende che, reinvestendoli nell’attività aziendale, possono dare forza al sistema produttivo. Trasferire questa importante fonte di finanziamento dell’economia reale, nei fondi pensione, vuol dire sostenere i processi di chi fa della speculazione il proprio mestiere. Tuttavia qui si può distinguere: se nel caso del fondo pensione azionario il favoreggiamento dei processi speculativi è pressoché scontato, nel caso dei fondi pensione obbligazionari in titoli del tesoro, ciò può voler dire consentire allo Stato di fornire servizi alle persone ed investire nelle infrastrutture, a meno che non si decida poi di utilizzarli per abbassare il debito pubblico, accecati dalla riduzione degli interessi sul debito. Questa scelta rappresenterebbe l’ennesima distrazione di risorse dalla economia reale a quella finanziaria.
    Se un’economia per abbassare il proprio debito pubblico deve ricorrere direttamente a manovre finanziarie, invece che ai risultati dei processi produttivi, vuol dire che si tratta di un’economia che non funziona. Un sano processo di riduzione del debito pubblico è consentito soltanto da un sistema economico fondato su continui investimenti di medio-lungo termine, finanziati grazie alla sovranità creditizia di uno Stato sovrano. Aumentare il livello tecnologico-scientifico della base infrastrutturale e delle imprese che vi operano sopra vuol dire aumentare la produttività procapite e per chilometro quadrato.
    Questo è quello che serve per tornare ad un sistema che punti al perseguimento del Bene Comune. In esso, vista la rilevanza strategica della questione, il settore previdenziale deve essere sotto il controllo e la garanzia dello Stato.
    Tratto da www.movisol.org
     
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  2. keynes
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    il principio del dirottamento del Tfr verso forme di investimento alternative si basa su tre dati di fatto e su una tendenza, elementi tutti convergenti nell'evidenziare l'insostenibilità delll'attuale sistema pensionistico:
    1° dato di fatto) in italia fino alla riforma Dini ( 1995) si è applicato il sistema retributivo: l'ammontare della pensione veniva atrribuita tenendo conto dell'entità delle buste paga degli ultimi anni di lavoro. per decenni i lavoratori ottenevano la pensione sulla base non di quanto contribuivano con le loro tasse ma sulla base del reddito e per decenni il bilancio dell'INPS ha registrato disavanzi di esercizio nel bilancio che si sono accumulati a danno delle giovani generazioni. la situazione è migliorata con il graduale passaggio al sistEma contributivo ed infatti a partire da 2000-01 l'Inps ha cominicato a conoscere attivi di esercizio. ma questo non elimina i disatri fatti per 40 anni con la filosofia delle cicale.
    2 dato di fatto) come già analizzato in altre discussioni in Italia si può ottenere la pensione di anziantià a 57 anni . una delle età più basse in europa. per contro l'Italia è una o dei paesi più longevi: secondo i dati Istat 2002 l'età media è di 77 anni per gli uomini e di 83 per le donne. chi si ritira dal lavoro alle attuale condizioni rischia di trovarsi sul groppone dei contribuenti( cioè delle giovani generrazioni) per 25-30 anni.
    3° dato di fatto: uno dei settori più in attivo dell'Inps è quello dei lavoratori parasubordinati ( la galassia degli interinali, a progetto noto come ex CO. CO. Co per intenderci) e degli immigrati. L'INPS cioè si mantiene in attivo con i contributi di coloro che la pensione la vedranno magra o non la vedranno proprio, anche perchè questi contributi servono a pagare non la loro pensione ma quella di chi ci è già andato.
    Morale della favola che si può dwsumere da questi dati di fatto: i giovani precari e con basso reddito che entrano tardi nel mercato del lavoro stanno pagando la pensione a chi ha un lievllo di reddito pensionistico troppo alto in rapporto a quanto ha prodotto durante la sua vita lavorativa e l'Inps ( l'ente statale che secondo il tuo articolista dovrebbe garantire la giusitiza del sistema pensionistico) ha tutto l'interesse da un punto di vista del suo bilancio a matenere questa situazione in cui spenna i giovani e si ingrassa con i loro contributi.
    tendenza di fondo: l'Italia è un paese che andrà sempre di più invecchiando ( sempre meno lavoratori dovranno sostenere il sistema produttivo anche per gli anziani che andranno sempre più aumentando), in cui si vivrà sempre di più e in cui i giovani entreranno più tardi nel mercato del lavoro. per avere una pensione decente e non lavorare fino a 80 anni il contribuente avrà bisogno di un integrazione alla normale pensione: questa integrazione dovrebbe venire dall'investimento sul capitale del TFR che dia dei rendimenti che l'attuale sistema dell'INPS non è in grado di garantire.
    Da quanto sopra detto risulta che il sistema pensionistico attuale garantito dall'INPs e dalle sorelle minori Inpdap,Enpals etc
    è inefficente perchè ha prodotto per anni dei buchi di bilancio pazzeschi
    é ingiusto: perchè favorisce alcune categorie a discapito di altre
    è conflittuale: perchè i privilegi acquisiti sotto forma di diritti da chi è andato in pensione si scaricano su chi la pensione se la stà cominciando a costruire ora
    è insostenibile: perchè ignora i profondi mutamenti demografici e sociologici avvenuti nel nostro paese. è fatto per una società in cui si comincia a lavorare a 14 anni e si tira le cuoia a 65 mentre oggi si entra nel mercato del lavoro a 24- 26 anni e si vive a 80 anni suonati.

    il principio della pensione integrativa dovrebbe basarsi sulla concorrenza: il TFR invece che gestito in settore di monopolio dall'INPS che quindi non avrebbe alcun interesse a farlo fruttare diviene oggetto di attenzione di più centri finanziari che sono stimolati a fornire soluzioni di investimento sempre migliori per guadagnarsi il TFR del lavoratore.
    putroppo questo circolo virtuoso non funziona perchè in Italia non vi è vera concorrenza: la riiforma della pensiomne integrativa è stata studiata per far in modo che alcuni settori (sindacati e datori di lavoro) si spartiscano la torta. Infatti i fondi da loro gestiti ( i c.d fondi chiusi) godono di una serie di privilegi che li fanno partire avvantaggiati rispetto ai fondi aperti non determinando quella concorrenza virtuosa dii cui ho parlato e che andrebbe a vantaggio dei rendimenti di chi investe ( cioè il lavoratore con il suo TFR).
    il punto centrale della questione: è del tutto inutile coltivare nostalgie per sistemi previdenziali vecchi e superati ma occorre battersi perchè nel sistema di pensioni integrative si introducano quei criteri di trasparenza e concorrenza che mancano e che andrebbero a tutto vantaggio del lavoratore.
    per questo abbiamo inserito nel forum dei link a dei siti specializzati che spiegano molto meglio di quanto potremo fare noi come funziona la pensione integrativa in Italia, come dovrebbe funzionare e ciò a cui dovrebbe badare il lavoratore per una scelta consapevole. Senza ideologie, ma con l'occhio alle tasche del contribuente!!!!

    Edited by keynes - 1/8/2007, 01:50
     
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  3. lupog
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    sposto la discussione in Economia, mi sembra la sezione più idonea ^_^
     
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  4. onestobender
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    Faccio una sola brevissima considerazione, da ignorantone in economia: mi auguro con tutto il cuore che le banche non facciano cacchiate con quei soldi.
    Potrebbero succedere, grossi, incontrollabili casini.

    E' in gioco il futuro di molte persone.
     
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  5. eHyde
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    Girovagavo per il web in cerca di info sull'argomento ed ho trovato questo post. Anche se datato, vorrei ribattere, se è permesso. Nel caso ci fossero problemi non mi offenderò se il post verrà rimosso.

    Leggendo il post di keynes sono sobbalzato perché riportando le giuste ragioni del fallimento del vecchio sistema pensionistico italiano, lui di fatto, giustificava il nuovo modello.

    Ora, che il precedente sistema fosse malato, ingiusto, non sostenibile e chi più ne ha più ne metta, non ci piove. Ma questo non significa però che per risanarlo ci si debba affidare al caso, foraggiando con i soldi dei lavoratori un'economia irreale e speculativa come quella dei fondi.
    Perché lo stato italiano deve favorire questo tipo di trattamento, avvantaggindolo addirittura fiscalmente?

    Passare dal sistema retributivo a quello contributivo non significa necessariamente includere una forma pensionistica complementare obbligatoria basata su fondi di investimento, la maggior parte dei quali sono lottizzati dai sindacati.

    1) Perché se sono costretto ad integrare la mia pensione in qualche modo, io non sono libero di scegliere il come? Ovvero, perché devo dare i miei soldi ai fondi, anziché decidere di investire in borsa, comprarmi un bene immobile o altro?

    2) Perché un fondo negoziale chiuso ha più vantaggi di uno aperto privato? Dove è la concorrenza?

    Questa riforma ha di fatto favorito soltanto il magna magna sindacale e quello degli operatori finanziari che sono i veri depositari dei nostri soldi.



     
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  6. lupog
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    CITAZIONE (eHyde @ 9/3/2011, 15:05) 
    Leggendo il post di keynes sono sobbalzato perché riportando le giuste ragioni del fallimento del vecchio sistema pensionistico italiano, lui di fatto, giustificava il nuovo modello.

    scusa guarda che ti è sfuggito il seguente passaggio dell'intervento di keynes, in cui lui è tutt'altro che indulgente verso il nuovo modello.



    CITAZIONE
    il principio della pensione integrativa dovrebbe basarsi sulla concorrenza: il TFR invece che gestito in settore di monopolio dall'INPS che quindi non avrebbe alcun interesse a farlo fruttare diviene oggetto di attenzione di più centri finanziari che sono stimolati a fornire soluzioni di investimento sempre migliori per guadagnarsi il TFR del lavoratore.
    putroppo questo circolo virtuoso non funziona perchè in Italia non vi è vera concorrenza: la riiforma della pensiomne integrativa è stata studiata per far in modo che alcuni settori (sindacati e datori di lavoro) si spartiscano la torta. Infatti i fondi da loro gestiti ( i c.d fondi chiusi) godono di una serie di privilegi che li fanno partire avvantaggiati rispetto ai fondi aperti non determinando quella concorrenza virtuosa dii cui ho parlato e che andrebbe a vantaggio dei rendimenti di chi investe ( cioè il lavoratore con il suo TFR).
    il punto centrale della questione: è del tutto inutile coltivare nostalgie per sistemi previdenziali vecchi e superati ma occorre battersi perchè nel sistema di pensioni integrative si introducano quei criteri di trasparenza e concorrenza che mancano e che andrebbero a tutto vantaggio del lavoratore.

    :ciao:
     
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  7. eHyde
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    CITAZIONE (lupog @ 9/3/2011, 15:13) 
    CITAZIONE (eHyde @ 9/3/2011, 15:05) 
    Leggendo il post di keynes sono sobbalzato perché riportando le giuste ragioni del fallimento del vecchio sistema pensionistico italiano, lui di fatto, giustificava il nuovo modello.

    scusa guarda che ti è sfuggito il seguente passaggio dell'intervento di keynes, in cui lui è tutt'altro che indulgente verso il nuovo modello.



    CITAZIONE
    il principio della pensione integrativa dovrebbe basarsi sulla concorrenza: il TFR invece che gestito in settore di monopolio dall'INPS che quindi non avrebbe alcun interesse a farlo fruttare diviene oggetto di attenzione di più centri finanziari che sono stimolati a fornire soluzioni di investimento sempre migliori per guadagnarsi il TFR del lavoratore.
    putroppo questo circolo virtuoso non funziona perchè in Italia non vi è vera concorrenza: la riiforma della pensiomne integrativa è stata studiata per far in modo che alcuni settori (sindacati e datori di lavoro) si spartiscano la torta. Infatti i fondi da loro gestiti ( i c.d fondi chiusi) godono di una serie di privilegi che li fanno partire avvantaggiati rispetto ai fondi aperti non determinando quella concorrenza virtuosa dii cui ho parlato e che andrebbe a vantaggio dei rendimenti di chi investe ( cioè il lavoratore con il suo TFR).
    il punto centrale della questione: è del tutto inutile coltivare nostalgie per sistemi previdenziali vecchi e superati ma occorre battersi perchè nel sistema di pensioni integrative si introducano quei criteri di trasparenza e concorrenza che mancano e che andrebbero a tutto vantaggio del lavoratore.

    :ciao:

    Si effettivamente non avevo considerato quel passaggio, essendo sobbalzato ai primi capoversi... :(

    Edited by eHyde - 9/3/2011, 15:46
     
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6 replies since 31/7/2007, 14:12   356 views
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