LA GUERRA DELLO YOM KIPPUR

6-24 Ottobre 1973

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  1. onestobender
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    INTRODUZIONE


    E' bene chiarire subito un elemento piuttosto importante dal punto di vista storiografico: sebbene io ritenga che la migliore definizione di questo conflitto sia Guerra dell'Ottobre 1973, perchè la più equidistante rispetto a quella araba (Guerra del Ramadan) e quella occidentale (Guerra dello Yom Kippur), per motivi strettamente legati a questioni di indicizzazione ho deciso di adottare quest'ultima come titolo del topic.
    Chiarito questo punto si può dire che la guerra in questione, la quale scoppiò il 6 ottobre 1973 con un attacco congiunto da parte di Siria ed Egitto contro Israele e si concluse il 24 dello stesso mese con la Risoluzione ONU n°339, rappresenta un fatto storico estremamente interessante per una serie di motivi.
    Innanzitutto, per quanto riguarda la politica internazionale, essa determinò non solo gli attuali confini d'Israele, ma anche gli equilibri contingenti della regione.
    La riconquista del Sinai da parte egiziana portò ad un graduale allentamento dei contrasti con Israele, che mantenne invece alto il grado della tensione con la Siria (bisogna ricordare che fra questi due paesi non c'è stato alcun trattato di pace, ma vige ancora il cessate il fuoco del 1973).
    La Giordania invece partecipò in maniera defilata e, prima della guerra, ebbe un comportamento piuttosto ambiguo (anche alla luce della sua attuale vicinanza agli Stati Uniti), che resta ancora avvolto nel mistero.
    La Guerra dell'Ottobre 1973 fu poi un conflitto piuttosto breve ma estremamente intenso, sia per quanto riguarda le perdite umane (un totale di 15000 uomini per l'Egitto, 3500 per la Siria e 2522 per Israele, il tutto in soli 20 giorni circa), che per il “consumo” di mezzi e munizioni (Stati Uniti ed Urss si mossero in maniera massiccia per rifornire i contendenti).
    Questo conflitto infatti potrebbe anche essere considerato un banco di prova fondamentale per lo sviluppo tattico-strategico e degli arsenali della NATO e del Patto di Varsavia: in quei pochi giorni si fronteggiarono infatti i migliori aerei (oltre che le difese aeree), carri e le più avanzate navi dell'epoca.
    Rappresentò insomma una sorta di prova generale di come si sarebbe potuto sviluppare un conflitto convenzionale fra i due blocchi.




    1) LA SITUAZIONE DOPO LA GUERRA DEI SEI GIORNI (1967)


    a) Israele: le nuove scelte strategiche.


    La vittoria nella Guerra dei Sei Giorni proiettò Israele in un contesto radicalmente diverso da quello pre-1967. Durante quel breve conflitto lo stato ebraico guadagnò un lusso di cui non avrebbe mai più potuto disporre nella sua storia; si tratta della “profondità strategica”, ovvero una certa quantità di territorio su cui manovrare in caso di attacco per ripiegare, riorganizzarsi e contrattaccare.
    Le due recenti conquiste rappresentavano infatti una vera e propria boccata d'ossigeno per i vertici militari e politici israeliani: la penisola del Sinai ed una fascia di territorio nelle alture del Golan permettevano per la prima volta di valutare diverse opzioni difensive, senza dover necessariamente ricorrere ad una attacco preventivo.
    Per quanto riguarda la “variabile spazio” basti pensare che, a sud, 150 miglia di deserto e il Canale di Suez rappresentavano delle ottime barriere in caso di attacco egiziano, mentre a nord le forze giordane avrebbero dovuto attraversare il fiume Giordano per poi spingersi per 40 miglia attraverso il Deserto della Giudea, un territorio estremamente favorevole alla difesa.
    Il confine maggiormente a rischio era quello con la Siria, ma al fascia di territorio sotto il controllo dell'ONU, seppur stretta, dava la possibilità di organizzarsi in modo efficace.
    E' la “variabile tempo” però, ad offrirci un'idea più efficace sui vantaggi di cui lo stato ebraico poté godere dopo la sua schiacciante vittoria: in caso di attacco aereo infatti, il tempo di preavviso elettronico salì da 6 a 16 minuti.
    Tuttavia questa nuova situazione contribuì anche alla fine dell'atmosfera di assedio che fino a quel momento aveva avuto effetti molto salutari sulle scelte strategiche israeliane, e portò ad imboccare delle strade che contrastavano con al vocazione alla guerra di movimento delle forze militari dello stato ebraico.
    Sia nel Sinai che nel Golan infatti furono costruite due linee difensive fortificate.
    Per quanto riguarda il primo settore la decisione fu fortemente dibattuta. Esistevano infatti due strade percorribili per la difesa di quella che veniva considerata una vera e propria “buffer zone” in caso di attacco.
    La prima, sostenuta in maniera decisa dall'allora Capo di Stato il Maggiore Tenente Generale Bar Lev, prevedeva un'occupazione stabile della linea del Canale di Suez, il quale veniva considerato un eccellente fossato anti-carro. Bisogna sottolineare che questa opzione aveva un peso strategico (politico) estremamente rilevante: significava Israele non aveva intenzione di rinunciare a nemmeno un centimetro di penisola.
    La seconda strada, caldeggiata dal Maggiore Generale Ariel Sharon e dai parigrado Gavish e Tal, era incentrata su una difesa mobile ed in profondità: in caso di attacco egiziano cioè, il compito di fermare l'avanzata nemica sarebbe spettato ad una serie di formazioni corazzate che, dopo essersi allontanate dal raggio di tiro delle artiglierie avversarie, avrebbero dovuto attaccare le formazioni che avevano attraversato il Canale e “ripulire” le eventuali teste di ponte.
    La scelta tuttavia, sulla spinta degli eventi della Guerra d'Attrito (di cui parlerò in seguito), cadde sulla prima opzione: nel 1968 dunque iniziarono i lavori per una rete di fortificazioni parallela al Canale di Suez denominata Linea Bar Lev, che terminarono il 15 marzo del 1969.
    Il sistema era organizzato in tre linee.
    La prima era considerata la riva stessa del Canale, capace di ostacolare pesantemente sia la fanteria ma soprattutto i mezzi, essendo alta in parecchi punti più di 60 piedi e provvista di un'inclinazione di 45°.
    La seconda linea era posizionata sopra un terrapieno alto dai 10 ai 25 metri su cui erano collocati 31 capisaldi detti Maozim (fortificazione in ebraico): essi erano a loro volta installati su dei piccoli terrapieni alti alcuni metri ed erano di capaci di contenere una guarnigione delle dimensioni di un plotone (25 uomini circa quindi). Erano inoltre dotati di mitragliatrici pesanti e mortai.
    Questa linea aveva lo scopo di opporre la prima resistenza e di rallentare le avanguardie nemiche.
    La terza invece, posizionata 8 km più indietro, era costituita da 11 Taozim (capisaldi), i quali avrebbero dovuto proteggere i principali assi di comunicazione che procedevano dal canale verso l'interno della penisola.

    image
    Un Maozim con la sua rete di trincee: da notare la collocazione su un terreno nettamente pianeggiante.

    Tuttavia questa rete di fortificazioni, che costò ad Israele circa 500 milioni di dollari dell'epoca, mise da subito in luce i propri limiti.
    Per prima cosa i forti non solo erano troppo distanziati fra loro, ma erano in grado di controllare solamente 800 metri di territorio su ogni fianco. Per questo motivo fra un forte e l'altro dovettero essere edificate numerose opere secondarie (come torri d'osservazione e casematte), che richiesero l'impiego di ulteriori pattuglie e plotoni di carri.
    La questione più scottante però venne messa in luce dal Generale Gavish durante un war game del 1968: le fortificazioni infatti, essendo delle strutture fisse, potevano essere facilmente by-passate (da truppe elitrasportate ma anche da carri e fanteria visto la grande distanza fra un'opera e l'altra) o fatte oggetto di fuoco di soppressione
    La Linea Bar Lev dunque nacque sotto pessimi auspici e sulla spinta delle perdite subite dalle forze israeliane durante la Guerra d'Attrito.
    Assai diversa invece la situazione del Golan; in questa zona infatti lo spazio di manovra in caso di attacco era di soli 500 metri (la fascia di territorio controllata dall'ONU, la così detta Linea Viola).
    Il terreno montuoso inoltre rendeva dunque più che logica l'edificazione di postazioni fisse, le quali potevano essere meglio difese e sempre per questo motivo, se aggirate, potevano continuare a colpire l'avanzata nemica a 360°. Israele edificò 17 fortificazioni denominate Mulzavim, ad un intervallo di 40 km l'una dall'altra e controllate da un minimo di 10 ad un massimo di 40 uomini.
    Nel 1972 poi, su indicazione del Comandante Generale della Regione Nord il Maggiore Generale Ytzhak Hofi, furono edificate due tipologie di opere molto importanti: un fossato anti-carro dell'ampiezza di 6 metri e della profondità di 4 (che si dimostrò fondamentale durante il confronto del 1973) ed una serie di rampe da cui i carri potevano far fuoco direttamente su di esso.

    Edited by onestobender - 2/5/2008, 00:42
     
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  2. onestobender
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    b) Egitto e Siria: la ricostruzione dopo la disfatta, la nuova alleanza e l'opera di pianificazione.


    La sconfitta della Guerra dei Sei Giorni rimase nella memoria della popolazione egiziana con un termine, nakba (calamità) che rappresenta pienamente la situazione di prostrazione psicologica e militare araba: l'Egitto infatti ne uscì con 15000 morti, 30-40000 dispersi, il 75% dell'aviazione persi (di cui circa 186 aerei in poco più di un'ora) e quattro quindi dei propri mezzi corazzati distrutti. Siria e Giordania non se la cavarono meglio: la prima perse il 50% dei propri aerei mentre la seconda praticamente tutta la sua aviazione militare.
    L'Egitto tuttavia non si diede per vinto ed assunse un ruolo guida nella contrapposizione araba ad Israele. Due presidenti egiziani, Nasser prima e Sadat poi, si dedicarono in successione ad una difficile opera di ricostruzione sia delle perdite militari che della fiducia.
    Nasser condensò la sua volontà di riprendere immediatamente il confronto con lo stato ebraico nel Piano 200 che constava in tre fasi:

    I) “Fase della riabilitazione difensiva”: grazie ai massicci rifornimenti sovietici, l'Egitto fu in grado di ripianare le perdite subite dell'80% già entro l'ottobre del 1967.

    II) “Fase della difesa offensiva”: nel settembre del 1967 le forze egiziane ingaggiarono duelli d'artiglieria che provocarono numerose vittime fra le truppe israeliane, che erano collocate in posizioni ancora molto provvisorie.

    III) “Fase di liberazione”, cioè un'occupazione della penisola del Sinai.

    Visti i successi ottenuti, nel marzo del 1969 Nasser decise di intraprendere un vero e proprio conflitto di logoramento in 4 fasi:

    1) Pesanti bombardamenti d'artiglieria per danneggiare il più possibile la Linea Bar Lev.
    2) Operazioni limitate di attraversamento del Canale di Suez con squadre di commando.
    3) Un'operazione di attraversamento estesa che avrebbe dovuto coincidere con la “fase di liberazione” del Piano 200.
    4) Azioni in profondità per occupare porzioni del Sinai.

    Questo conflitto fu definito dagli egiziani “Guerra dello Spargimento di Sangue”, conosciuta poi come la Guerra d'Attrito.
    Durante la prima fase i successi egiziani spinsero Israele ad impiegare l'aviazione per sopperire all'inferiorità nel campo dell'artiglieria: si trattò di azioni talmente efficaci che l'Egitto fu costretto a chiedere l'aiuto dei sovietici. A partire dal gennaio 1970 il numero di consiglieri sovietici sul suolo egiziano era di circa 15000 unità, che non si limitarono a costruire un'efficace sistema di difesa aerea, ma vi assunsero addirittura una parte attiva nel suo utilizzo.
    Si trattò di un momento di svolta per la Guerra d'Attrito che avrebbe avuto influssi anche sul conflitto successivo. Con una mossa molto astuta infatti Nasser riuscì ad ottenere una copertura anti-aerea completa della zona del Canale: grazie a due spostamenti in avanti della barriera missilistica nel settembre del 1970 Egitto era in grado di coprire questa zona con ben 270 rampe di missili SAM (nome NATO per Surface to Air Missile).
    Toccò tuttavia a Sadat implementare la “Fase di liberazione” del Piano 200 dopo la morte del suo predecessore Nasser.
    Bisogna sottolineare che Sadat non era ancora soddisfatto del potenziale bellico egiziano (soprattutto nel settore aeronautico) e riuscì ad ottenere aiuti militari dall'Urss per una valore stimabile fra i 2 e i 4,5 milioni di dollari dell'epoca, ricevendo circa 100 Mig-21 e 55 Mig-17, oltre che un numero imprecisato di batterie di missili anti-aerei.
    Ma l'opera più importante messa in atto da Sadat fu senza dubbio la pianificazione dell'attacco ad Israele, iniziata nel novembre del 1972.
    Il primo piano, formulato dal Tenente Generale Muhammad Sadiq prevedeva un un attacco aereo su Sharm el-Sheikh ed il lancio di una brigata aviotrasportata oltre il Canale di Suez: Sadat tuttavia riteneva questa azione troppo limitata e si affidò ad altri due alti ufficiali, il Generale Ahmed Ismail-Ali, nominato Ministro della Guerra e il Tenente Generale Saad el-Shazly a cui fu affidato lo Stato Maggiore.
    Il primo ebbe il merito di interpretare nella maniera migliore le intenzioni di Sadat attraverso l'individuazione dei principi fondamentali che dovevano essere alla base di una ripresa delle ostilità. L'”Operazione Scintilla”, che doveva consistere in un'azione con scopi strategici limitati ma condotta con mezzi di grandi proporzioni, si basava su un'attenta analisi di diverse variabili.
    La prima era rappresentata da una lucida enucleazione dei punti di forza e dalle debolezze delle forze israeliane. Nella prima categoria rientravano:

    1) Superiorità aerea.
    2) Abilità tecnologica.
    3) Alto livello di preparazione delle truppe.
    4) Rifornimenti da parte degli Stati Uniti.

    Le debolezze individuate erano invece:

    1) Linee di rifornimento lunghe (dopo le conquiste del 1967).
    2) Risorse umane ed economiche limitate nel tempo.
    3) Eccessiva fiducia nei propri mezzi.


    Ismail-Ali mise poi in luce quelli che considerava i tre cardini della “teoria della sicurezza israeliana”:

    1) Supremazia delle forze blindate.
    2) Superiorità aerea.
    3) Dottrina del primo colpo


    Ebbe il grande merito di capire che per mettere in crisi il primo cardine era fondamentale portare avanti un attacco lungo tutte le 110 miglia (176 km) del fronte del canale, in modo da “spalmare” lo sforzo delle formazioni corazzate nemiche.
    Il secondo invece, vista la manifesta inferiorità delle forze aeree egiziane e la tipologia degli armamenti forniti dall'Urss, poteva essere spezzato solo grazie ad un efficace sistema di difesa aerea.
    Il terzo cardine infine richiedeva una attacco a sorpresa, possibilmente su due fronti: per questo motivo era necessario coinvolgere anche la Siria, che grazie all'impegno sovietico aveva avuto modo di riprendersi dalla batosta del 1967. Per organizzare un'azione congiunta il presidente egiziano Assad, decise di sfruttare la struttura della FAR (Federazione delle Repubbliche Arabe Unite), un'alleanza esistente dall'aprile del 1971 che inizialmente comprendeva anche la Libia.
    Nel fra il 21 ed il 22 aprile del 1973 il Generale Ismail-Ali, designato come comandante in capo delle forze armate della FAR, riuscì in un'abile opera di convincimento nei confronti dell'alleato siriano.
    Se Ismail-Ali ebbe il merito di individuare i principi generali su cui avrebbe dovuto basarsi una ripresa delle ostilità contro Israele, il Generale Shazly (coadiuvato dal Direttore delle Operazioni il Tenente Generale el-Gamasy) fu in grado di tradurlo in un piano estremamente complesso, i cui contorni erano già stati da lui delineati in un vecchio piano denominato “Alti Minareti” datato 1971 che fu poi ufficialmente approvato ed implementato nel corso dell'anno seguente.
    Esso aveva come cardini il passaggio del Canale di Suez, la distruzione della Linea Bar Lev e la difesa delle teste di ponte. Le fasi principali dell'attacco erano le seguenti:

    I) Attacco aereo preparatorio su fortificazioni, centri di comando e di comunicazione.
    II) Attraversamento del canale di Suez lungo tutti i 176 km di fronte da parte di 5 divisioni di fanteria.
    III) Assalto e sfondamento della Linea Bar Lev con creazione di 5 teste di ponte per respingere i primi contrattacchi.
    IV) Ampliamento delle teste di ponte per una profondità di 5 miglia.
    V) Formazione di un'unica testa di ponte.
    VI) Trinceramento e assunzione dell'assetto difensivo.
    VII) Neutralizzazione dei comandi nemici tramite truppe anfibie e aviotrasportate.


    Per quanto riguarda il fronte siriano, il piano era costituito da 3 fasi principali:

    1) Attacco aereo e di artiglieria sulle concentrazioni di truppe nemiche.
    2) Massiccia offensiva corazzata della durata di 3 giorni con il raggiungimento del fiume Giordano e del Mare di Galilea.
    3) Assetto difensivo e spostamento in avanti dell'ombrello anti-aereo.


    Il giorno dell'attacco fu deciso nell'agosto del 1973. La scelta cadde sul 6 ottobre per i seguenti motivi:

    - Era necessaria una notte con la luna sorgente, necessaria per illuminare l'operato dei genieri nelle ore decisive.

    - La velocità della corrente del canale doveva essere favorevole ad un suo attraversamento.

    - L'attacco doveva risultare il più inatteso possibile per il nemico.

    L'ora definitiva dell'inizio di quella che fu poi battezzata in maniera definitiva col nome di Operazione Badr (quello stesso giorno del 623 d.C. Maometto preparò la battaglia di Badr, decisiva per la conquista della Mecca), cadde sulle 14:05 e fu il frutto di un arduo compromesso fra Sadat ed il presidente siriano Assad.


    Il merito maggiore del Generale Shazly va a mio avviso individuato sia nella sua capacità di risolvere brillantemente una serie di problemi pratici relativi all'attraversamento del Canale di Suez, sia nella sua opera di ricostruzione del morale e dell'addestramento dell'esercito egiziano.
    Per quanto riguarda il primo punto la questione più onerosa era costituita da terrapieno che costituiva la riva stessa del corso d'acqua: si trattava di una vera e propria scalata (la riva era alta 60 piedi con un'inclinazione che variava dai 45 ai 60°) che i soldati egiziani avrebbero dovuto affrontare con un peso sulle spalle fra le 50 e le 70 libbre (per resistere fino a 36 ore sulla riva opposta senza ricevere rifornimenti).
    Shazly ricorse allora a 2440 carrelli dotati di 4 ruote (l'Egitto ne ordinò migliaia dalla Piaggio e dalla Lambretta), i quali potevano trasportare 375 libbre di materiale trainate da 2 uomini.

    image
    Quest'immagine ci offre un'idea del problema che la pendenza del terrapieno rappresentava per la fanteria.

    Restava tuttavia aperto il problema dei mezzi: nessun carro o mezzo anfibio infatti era in grado di affrontare all'epoca una pendenza del genere: era quindi necessario aprire delle brecce nel terrapieno in modo da potervi poi poggiare i primi ponti. L'apertura delle brecce restò per lungo tempo un problema aperto, visto che l'esplosivo ed i bulldozer si dimostravano oltremodo inefficaci.
    Shazly intuì che la soluzione stava nell'acqua: attraverso l'uso di idranti era infatti possibile aprire una breccia in 3-4 ore.
    Sul fronte del morale e dell'addestramento invece fu in grado rifondare un esercito distrutto dalla disfatta del 1967: la Direttiva n°41 definiva in maniera chiara i compiti e le tipologie di equipaggiamento di ciascuna tipologia di soldato, mentre l'adventure training (si trattava di una serie di speciali missioni di addestramento di marcata influenza britannica , spesso di natura non militare, per rinsaldare il legame fra gli uomini) fu fondamentale per costruire solidi legami fra gli ufficiali ed i loro sottoposti.


    Per meglio comprendere la colossale opera di pianificazione e di ricostruzione dell'esercito egiziano basti pensare che la possibilità del passaggio del Canale di Suez da parte egiziana veniva considerata prima della guerra dal premier israeliano Golda Meir “Un insulto all'intelligenza”. Questa posizione era condivisa da moltissimi analisti, che consideravano il canale una sorta di fossato invalicabile da parte di uomini e mezzi.
    L'esercito egiziano fu invece in grado di compiere quello che il Colonnello americano Trevor Dupuy ha definito “uno dei più memorabili attraversamenti di una via d'acqua negli annali della guerra moderna”.

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    Le menti del piano egiziano (da sinistra a destra): Shazly, Sadat ed Ismail-Ali.

    Edited by onestobender - 2/5/2008, 00:50
     
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    2) IL PIANO DI COPERTURA ARABO E GLI ERRORI DELL'INTELLIGENCE ISRAELIANA


    Gli egiziani, i quali avevano saldamente nelle proprie mani le redini della futura guerra, erano ben consci che affrontare le forze armate israeliane completamente mobilitate sarebbe stato un vero e proprio suicidio. Il Generale Shazly in particolare era convinto che senza il fattore sorpresa le sue forze avrebbero sofferto di uno svantaggio numerico della proporzione di 1:2 in favore delle FDI (Forze di Difesa Israeliane): questo punto di vista era condiviso anche dal Generale Ismail-Ali, il quale diede una spinta importante per un piano esca ed in favore di una campagna di copertura.
    Per quanto riguarda il primo punto, lo scopo principale era di creare una massiccia campagna di mistificazione da portare avanti sui media internazionali, con l'obiettivo di offrire all'opinione pubblica internazionale l'immagine di un Egitto (ed una Siria) completamente impreparato alla guerra. Vennero quindi diffuse ad esempio numerose false informazioni riguardo la mancanza di munizioni o lo stato di abbandono in cui venivano lasciati i jet da combattimento forniti dall'Unione Sovietica. Questa abilissima campagna, orchestrata da un gruppo di esperti egiziani, fece vittime delle illustri nel campo dell'informazione come il Washington Post, il Financial Times, la United Press ed il Corriere della Sera, che si fecero facilmente “anestetizzare” dalle false notizie e probabilmente, dai propri pregiudizi sulle capacità militari arabe.
    Per quanto concerne il piano di copertura, l'obiettivo arabo era ancora più ambizioso: celare i massicci movimenti di truppe e continuare a rassicurare gli israeliani sulle proprie capacità di attacco. In questo settore scese in campo magistralmente anche il presidente egiziano Sadat che, recitando la parte dell'indeciso, annunciava continuamente la sua volontà di iniziare una nuova guerra con Israele, riuscendo in questo modo a guadagnarsi rapidamente la fama del proverbiale cane che abbaia ma non morde. Tuttavia il problema più consistente per l'Egitto era coprire la concentrazione delle proprie truppe in vista dell'attacco. Fu per questo inventata, per il periodo immediatamente antecedente all'attacco, un'esercitazione dal nome esplicito, Tahrir (ovvero “Liberazione”) 41: vennero inoltre implementate, per abbassare ulteriormente la soglia di attenzione israeliana, le seguenti misure:

    - Fra il gennaio e l'ottobre del 1973 i riservisti furono richiamati e congedati per ben 22 volte.

    - Nel maggio del 1973 fu implementata una mobilitazione generale (la terza dall'insediamento di Sadat), che causò in Israele lo stato d'allerta.

    - Il 2 ottobre 1973 vennero diramate sul quotidiano cairota Al Ahram, le liste degli ufficiali autorizzati al pellegrinaggio alla Mecca.

    - Furono programmate visite ufficiali all'estero per diversi ministri.

    - Nella zona del Canale di Suez l'equipaggiamento d'assalto venne movimentato solo di notte e nascosto in speciali crateri, mentre il movimento di mezzi fu convogliato in profonde trincee. Nelle ore precedenti all'attacco poi, diversi soldati ricevettero l'ordine di aggirarsi a ridosso del canale senza elmetto per pescare o mangiare arance.

    E' interessante sottolineare però che uno dei bersagli principali del piano di copertura furono le stesse forze egiziane.
    Da uno studio israeliano effettuato su circa 8000 prigionieri infatti, dopo la guerra venne alla luce che addirittura il 95% di loro fu informato dell'attacco solo la mattina del 6 ottobre.
    Bisogna sottolineare poi che anche la Siria fece ottimamente la sua parte, sviando l'attenzione israeliana nei giorni precedenti all'attacco, grazie a quello che oggi viene ricordato come l'Episodio di Schonau, dal nome di un castello austriaco utilizzato come campo di transito per gli ebrei provenienti dall'Urss.
    Il 28 settembre del 1973 due terroristi arabi assalirono un treno speciale che trasportava gli emigranti e ne presero in ostaggio 7, chiedendo in cambio della loro liberazione la chiusura del campo austriaco. Il cancelliere austriaco Kreisky acconsentì immediatamente e spinse il premier israeliano Golda Meir ad una visita fuori programma in Austria per chiedere chiarimenti.
    L'ombra della Siria sembra stagliarsi dietro questo episodio: i due terroristi facevano infatti parte dell'organizzazione As Saiqua la quale era si inserita nell'OLP, ma per molti era in pratica gestita dal governo di Damasco. L'episodio fu molto utile per sviare l'attenzione israeliana (memore del massacro di Monaco) ed internazionale.
    L'azione mistificatoria araba tuttavia non avrebbe mai potuto avere l'effetto sortito senza un involontario collaboratore, ovvero lo stesso stato di Israele.
    Lo stato ebraico infatti disponeva di numerosissime informazioni relative ad un possibile nuovo attacco arabo, ma finì incredibilmente per ignorarle.
    I motivi che ho individuato sono principalmente due.

    1) Una grave sottovalutazione del nemico.
    Dopo la Guerra dei Sei Giorni si diffuse un insieme di pregiudizi, che fu definito dalla commissione di inchiesta israeliana sui fallimenti delle Guerra dello Yom Kippur (la Commissione Agranat), Kontzeptziya, ovvero “il Concetto”: questa parola racchiude in pratica la convinzione che i paesi arabi non sarebbero riusciti ad iniziare una nuova guerra prima del 1975. Alla base di questa convinzione vi erano tre presupposti:

    I) Dopo il 1967 Israele aveva guadagnato una posizione di vantaggio strategico tale da scoraggiare nel breve periodo un'azione araba.

    II) L'Egitto e la Siria non avrebbero mai attaccato Israele singolarmente: nel caso poi fosse sorta una nuova alleanza i servizi segreti avrebbero sicuramente saputo cogliere i segnali.

    III) Dopo la batosta del 1967 l'Egitto non sarebbe mai entrato in guerra senza un potere aereo sufficiente ad effettuare attacchi in profondità sul suolo israeliano.

    E' curioso vedere come i tre presupposti non fossero completamente errati: tuttavia essi impedirono all'intelligence, e di conseguenza ai vertici politici israeliani, di cogliere i cambiamenti che avvenivano sotto i loro occhi, complice anche la generale atmosfera di sottovalutazione nei confronti degli arabi che vigeva in quel periodo in quasi tutto l'occidente.


    2) Lo strapotere dell'AMAN, i servizi segreti militari israeliani, che sottovalutarono o addirittura non presero nemmeno in considerazione i segnali di pericolo che si accumularono nei mesi precedenti all'attacco. I motivi di queste errate valutazioni sono da ricercare nella struttura interna dell'agenzia che concentrava troppi poteri nelle mani del suo direttore, il Generale Zeira e nel ruolo di monopolio che essa assunse nel panorama dell'intelligence israeliana.
    L'AMAN divenne in pratica l'unica voce a cui i vertici politici e militari israeliani prestavano attenzione, a scapito del Mossad, che in quel periodo fu invece messo decisamente in ombra. Questo clima di monopolio causò quindi gravissimi danni soprattutto grazie al fatto che la stessa struttura interna del monopolista era troppo accentrata nelle mani di un direttore così tenacemente convinto dei presupposti della Kontzeptziya, da non essere in grado di giudicare correttamente la realtà delle cose.
    Di conseguenza anche le autorità militari e politiche israeliane, essendosi affidate ad un'unica fonte di valutazioni oltretutto distorte, non furono capaci di cogliere i numerosi segnali di un nuovo ed imminente conflitto.
    Alcuni di essi, nonostante la bontà del piano di copertura arabo, furono addirittura eclatanti.

    - Il 25 settembre del 1973 Re Hussein di Giordania incontrò Golda Meir durante una visita segreta richiesta con grande insistenza, durante la quale affermò che Siria ed Egitto stavano collaborando. Nonostante una copia scritta delle rivelazioni fosse stata trasmessa al Ministro della Difesa Dayan, al Capo di stato Maggiore Elazar ed al direttore dell'AMAN il Generale Zeira, queste rivelazioni non furono prese sul serio.
    L'episodio ebbe forse un seguito: fra il 29 ed il 30 settembre infatti la CIA avvertì il Mossad che la Siria stava preparando un attacco contro lo stato ebraico per la fine del mese. Dietro questo avvertimento sembra esserci stata ancora la mano di Re Hussein, poiché le informazioni passate al Mossad erano molto simili a quelle rivelate durante l'incontro col premier israeliano. Anche questo avvertimento tuttavia non ebbe un seguito.

    - Il 5 ottobre 1973, alle 2:30 del mattino, il Mossad ricevette dall'Europa la parola in codice Tson (ravanello), che stava ad indicare un attacco imminente. Nonostante la fonte da cui era pervenuto il messaggio fosse unanimemente riconosciuta come estremamente affidabile, il capo del Mossad Zvi Zamir decise di andare in Europa a verificare di persona. Si verificò quindi una prima perdita di tempo per la conferma (giunta alle 3:45) a cui si deve però aggiungere una seconda dovuta al direttore dell'AMAN, che tenne al notizia per sé per diverse ore.


    A questi due episodi emblematici se ne potrebbero aggiungere diversi altri non meno eclatanti, in cui segnalazioni molto attendibili riguardanti movimenti di truppe presso il Canale di Suez o a ridosso della Linea Viola furono ignorate con grande leggerezza.
    Nonostante sia molto difficile credere che si possano ignorare simili segnali di pericolo i tipi di spiegazione sono diversi.
    Le spiegazioni di tipo accademico si concentrano molto sull'abilità araba nel conciliare i propri piani con ciò che gli israeliani desideravano sentirsi dire, ovvero che la guerra era lontana.
    La Commissione Agranat invece si concentrò su tre fattori principali:

    I) La troppa fiducia nelle proprie capacità di sconfiggere il nemico anche senza un avvertimento strategico. Questa presunzione si rivelò fatale anche alla luce della natura dei piani di difesa israeliani (che vedremo in seguito).

    II) Il metodo di lavoro dell'AMAN, basato sulla creazione di rapporti che presentavano ai fruitori (autorità politiche e militari) un quadro della situazione omogeneo e coerente, senza inserire elementi di contrasto nei confronti della tesi principale.
    In pratica non essendoci spazio per le diverse interpretazioni di un singolo fatto, era molto facile distorcere la realtà.
    Si tratta di un metodo che elimina diversi problemi interpretativi per coloro che fruiscono di queste informazioni e che fornisce loro un quadro artificialmente chiaro della situazione.

    III) Il monopolio dell'AMAN ed al suo interno della Sezione Ricerche nel produrre valutazioni sulla sicurezza nazionale, che di fatto soffocò il ruolo le altre agenzie come i servizi segreti della marina, dell'aviazione o addirittura il Mossad.
    A questo fattore va aggiunto il ruolo quasi tirannico del direttore Zeira e di suoi altri importanti ufficiali, i quali non inoltrarono alle autorità politiche e militari diversi rapporti fondamentali, prodotti dai loro sottoposti, che contrastavano con il Concetto.

    Si verificò insomma una situazione molto simile a quella vissuta dagli Stati Uniti durante il conflitto del Vietnam: in quel periodo infatti la CIA ridimensionò in maniera molto forte il ruolo sul campo dei servizi segreti dell'esercito e dell'aviazione, influendo in maniera molto negativa sull'andamento del conflitto.
    Nel mondo dell'intelligence il clima del monopolio non produce solo una visione monoliticamente distorta della realtà, ma blocca tutti i sani meccanismi competitivi fra agenzie che spesso permettono di raccogliere le informazioni migliori e di trasmettere il quadro della situazione più attendibile.
     
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  4. bradipo1
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    Estremamente interessante, avevo sempre pensato che la guerra di ottobre fosse un altro sucesso militare di Israele.

    CITAZIONE (onestobender @ 14/3/2008, 00:11)
    Nel mondo dell'intelligence il clima del monopolio non produce solo una visione monoliticamente distorta della realtà, ma blocca tutti i sani meccanismi competitivi fra agenzie che spesso permettono di raccogliere le informazioni migliori e di trasmettere il quadro della situazione più attendibile.

    E' la prima volta che sento esprimere questa opinione, ho più volte sentito una tesi opposta: la eccessiva suddivisione favorisce la confusione. Dalle informazioni giornalistiche in mio possesso la divisione che esiste in Italia nei vari corpi investigativi, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, perfino la polizia locale, non è utile, anzi dannosa.
     
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  5. onestobender
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    CITAZIONE
    E' la prima volta che sento esprimere questa opinione, ho più volte sentito una tesi opposta: la eccessiva suddivisione favorisce la confusione.
    Dalle informazioni giornalistiche in mio possesso la divisione che esiste in Italia nei vari corpi investigativi, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza,
    perfino la polizia locale, non è utile, anzi dannosa.

    In effetti per il caso che hai citato mi sento di darti ragione; in Italia i vari corpi investigativi sono fin troppo frammentati e spesso sono anche protagonisti di "concorrenza sleale" (soprattutto informazioni cruciali non condivise), come ho potuto evincere più volte da testimonianze dirette.
    Quindi quella che dovrebbe essere una sana competizione che potrebbe essere sfruttata positivamente dagli organi giudiziari, diventa spesso (non sempre) una gara fine a sé stessa.

    Nel caso da me citato invece l'AMAN (Agaf ha-Modi'in), che si era guadagnato la stima soprattutto dei vertici politici e militari israeliani durante la Guerra d'Attrito, fu scelto da questi ultimi come fonte principe delle valutazioni sulle intenzioni del nemico, anche perchè condivideva ed assecondava la loro visione della situazione del periodo (la Kontzeptziya) determinata, a mio personalissimo avviso, dal forte desiderio di una pace duratura dopo il trionfo del 1967.
    La scelta di una sola fonte di valutazione di un argomento (magari selezionata deliberatamente in base alla propria Weltanschauung) è un fenomeno molto diffuso e sperimentabile anche nella vita di tutti i giorni (nell'informazione politica ma anche nel mondo dell'economia e nel campo della storia): ci permette di usufruire di un quadro coerente della situazione che però, eliminano tutti gli elementi della contraddittorietà, elimina anche le letture alternative.
    Io ad esempio amo molto i liberi di Keegan, ma per diversi aspetti tendo a diffidarne soprattutto per quanto riguarda la sua ricostruzione di alcune grandi battaglie che risultano fin troppo coerenti.
    Se nel campo dell'economia, della politica o degli studi storici le conseguenze di questa "faciloneria" possono essere minime (almeno nel breve termine), in quello dell'intelligence essa può segnare la differenza fra la pace e la guerra, fra la vita e la morte (di uno stato e dei propri uomini.
    In Israele i vertici militari e politici, si fidarono di una sola fonte (oltretutto affetta da forti pregiudizi e che "tiranneggiava" le altre): se avessero preso in considerazione le "altre campane" come il Mossad o i servizi ssegreti dell'aviazione e della marine, che fra l'altro avevano accumulato informazioni e valutazioni molto vicine alla realtà, forse lo stato ebraico non si sarebbe fatto cogliere di sorpresa.


    Ma, andando oltre le mie considerazioni personali, ti sei meritato un'anticipazione delle mie fonti (almeno quelle utilizzate per gli errori dell'intelligence israeliana)!

    - Morris, Benny e Black, Ian, Mossad: le guerre segrete di Israele, Milano, BUR, 2004.

    - Bregman, Ahron, Israel’s wars. A History Since 1947, London, New York, Routledge, 2002.

    - Seale, Patrick, Il leone di Damasco. Viaggio nel pianeta Siria attraverso la biografia del presidente Hafez Assad, Roma, Gamberetti, 1995.


    La fonte fondamentale è stata però questa (in particolare l'eccellente saggio di Bar-Joseph che, sul monopolio negativo dell'AMAN, concorda con la Commissione Agranat):

    - Kumarswamy, P.R., (a cura di), Revisiting the Yom Kippur war, Londra, Frank Cass, 2000.

    - Bar-Joseph, Uri., Israel’s 1973 Intelligence Failure, in Kumarswamy, P.R., (a cura di), Revisiting the Yom Kippur war.



    CITAZIONE
    Estremamente interessante, avevo sempre pensato che la guerra di ottobre fosse un altro sucesso militare di Israele.

    Questo a mio avviso dipende dal fatto che gran parte delle fonti occidentali dell'epoca sono molto sbilanciate verso Israele (alcune ai limiti del razzismo): questa visione parziale nell'ultimo periodo si è aggravata ulteriormente a causa di un immaginario collettivo che attribuisce ai mussulmani capacità belliche legate esclusivamente alla pratica della guerriglia (o anche peggio).

    Personalmente sono convinto che Israele abbia perso la Guerra dello Yom Kippur, soprattutto nei confronti dell'Egitto.
    Infatti nel Golan, come vedremo in seguito, lo stato ebraico andò si vicino alla disfatta, ma, dopo essere stato "graziato" dalla Siria per motivi ancora molto dibattuti (state sintonizzati per saperne di più) riuscì grosso modo a ristabilire lo status quo nella regione con importanti vittorie.
    La penisola del Sinai invece, nonostante Israele fosse riuscita a ribaltare la difficilissima situazione iniziale, fu persa anche se in pratica al tavolo dei negoziati.
    Gli israeliani erano ben consci che se gli egiziani fossero riusciti a mettere anche solo un piede oltre il Canale la situazione sarebbe stata difficile da sbrogliare sia dal punto di vista militare che da quello diplomatico.
    L'obiettivo di Israele era di conseguenza questo: non lasciare conquistare nemmeno un centimetro del Sinai. Questo obiettivo, come vedremo in seguito, fallì e per questo motivo lo stato ebraico perse la guerra.
    Attenzione però, si tratta di un mio personalissimo giudizio basato sulla mia concezione di sconfitta in campo bellico: essa infatti non è secondo me un valore assoluto (in senso latino, cioè sciolta da vincoli), ma va inserita in un contesto, determinato dagli obiettivi generali di chi combatte.
    Chi falliscie nel raggiungimento dei propri obiettivi perde, al contrario chi riesce vince.
    L'obiettivo egiziano, come abbiamo visto nella sezione dei piani arabi, era mettere un piede nel Sinai e restarvici (pienamente raggiunto), quello israeliano era invece imperdire che ciò accadesse (non raggiunto).

    Edited by onestobender - 15/9/2008, 01:21
     
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  6. bradipo1
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    CITAZIONE (onestobender @ 14/3/2008, 12:07)
    La scelta di una sola fonte di valutazione di un argomento (magari selezionata deliberatamente in base alla propria Weltanschauung) è un fenomeno molto diffuso e sperimentabile anche nella vita di tutti i giorni (nell'informazione politica ma anche nel mondo dell'economia e nel campo della storia): ci permette di usufruire di un quadro coerente della situazione che però, eliminano tutti gli elementi della contraddittorietà, elimina anche le letture alternative.

    Premessa: questo mio intervento è off topic, forse off forum, se lo ritenessi tale e lo cancelassi, lo comprenderei.
    Se ho ben capito sei uno storico, senza una specifica formazione in psicologia o neuroscienze, ma la tua osservazione è assolutamente corretta, si preferisce essere coerenti con se stessi piuttosto che aderenti alla realtà.
    "Ora, se l'occhio tuo destro ti fa intoppare, cavalo, e gettalo via da te; perciocchè egli val meglio per te che un de' tuoi membri perisca, che non che tutto il tuo corpo sia gettato nella geenna." Matteo, 5:29, il può essere interpretrato come: "se la tua esperienza empirica va contro i tuoi convincimenti, non basarti sulla tua esperiernza empirica", il che può talvolta persino essere corretto: se un prestigiatore fa uscire una moneta dal tuo orecchio è perchè ha ingannato i tuoi sensi, la tua esperienza empirica.
    Come ho riportato in altro topic sono molto interessato alle scelte stupide o irrazionali che conducono a disastri, tanto più gravi quanta maggiore è il potere decisionale di chi le compie: se mi curo affidandomi ad un mago ne soffro solo io, se uso imbarcazioni fluviali nell'oceano Pacifico ottengo il più grande disastro navale della storia.
    Ti segnalo un articolo nella rivista "Focus" per ora in edicola, superficiale ma interessante.
    Io, che ho una formazione di tipo biologico, credo che sia dovuto a ragioni di economicità: cioè che cambiare opinione dopo essere fatta una sia costoso per il nostro cervello, e quindi si preferisce continuare ad utilizzare strumenti cognitivi validi in passato.
    Se non ti ho troppo annoiato potremo tornare sull'argomento.
     
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  7. onestobender
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    CITAZIONE
    Se ho ben capito sei uno storico, senza una specifica formazione in psicologia o neuroscienze

    Eh eh, diciamo pure, senza nessuna formazione nei due campi che hai citato! :lol:


    CITAZIONE
    Io, che ho una formazione di tipo biologico, credo che sia dovuto a ragioni di economicità: cioè che cambiare opinione dopo essere fatta una sia costoso per il nostro cervello, e quindi si preferisce continuare ad utilizzare strumenti cognitivi validi in passato.

    Verissimo, sono totalmente d'accordo con te, hai portato a galla un aspetto molto interessante!
    Molto spesso ci si dimentica che l'uomo è sostanzialmente un animale, con un "bilancio energetico" da tenere d'occhio che vale sia per l'aspetto del movimento che per quello del pensiero.
    Pensare costa fatica, figuriamoci rivoluzionare il proprio modo di pensare o solo cambiare idea su un argomento.
    Parlando da profanissimo uomo della strada io la chiamerei una endemica "pigrizia mentale", che ci spinge a rimanere nel porto tranquillo delle nostre convinzioni perchè, andare oltre, richiederebbe un grosso sforzo.
    Questo secondo me (sempre parlando da uomo della strada) avviene soprattutto in ambito analitico e quando bisogna prendere delel decisioni e qui ci ricolleghiamo alla Kontzeptziya, il cui edificio ha retto sino a poche ore prima dell'attacco, che per Zeira deve essere stato un vero e proprio trauma, perchè tutto il suo sistema di valutazioni è crollato in poche ore.

     
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  8. onestobender
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    3) L'ATTACCO.

    Dopo aver fin'ora analizzato le condizioni in cui Israele da una parte e Siria ed Egitto dall'altra affrontarono il conflitto, è giunto il momento di descrivere le sue fasi iniziali e, successivamente, i suoi momenti strategicamente più significativi. La mia trattazione dell'argomento non sarà quindi caratterizzata da una mera cronaca degli avvenimenti (i riassunti completi dello svolgimento del conflitto in rete non mancano di certo, a partire dalla voce su wikipedia che considero nel complesso piuttosto buona), quanto piuttosto un'analisi delle giornate maggiormente interessanti in relazione ai seguenti argomenti (strettamente legati a quelli trattati in precedenza):

    - Le dottrina della difesa israeliana (soprattutto l'efficacia delle due linee di fortificazione nel Sinai e nel Golan).

    - Successi e fallimenti dei piani d'attacco arabi (compresi gli effetti del fattore sorpresa).


    In questa “puntata” mi soffermerò sul giorno dell'attacco su entrambi i fronti*, mentre successivamente tratterò due momenti decisivi della guerra nel Sinai:

    - I primi contrattacchi israeliani.

    - Il disastro egiziano del 14 ottobre.

    * In merito al fronte del Golan invece mi fermerò ai primi due giorni di combattimento (dal 6 al 7 ottobre), quando l'ondata siriana, che era riuscita a spingersi sino a 10 km dalla città di Tiberiade, si infranse nell'eroica difesa israeliana.




    a) Fronte del Sinai.


    I) Il campo di battaglia.

    La penisola del Sinai è caratterizzata a nord da distesa sabbiose, mentre a sud da alte dune oltre che da formazioni montuose frastagliate.
    Le tre caratteristiche tattiche più importanti della penisola sono:

    1) Il terreno ampio e aperto a nord e quello montuoso a sud rendono entrambe le zone scarsamente adatte all'uso dei carri: nel settore settentrionale infatti l'assenza di ripari naturali rende i mezzi corazzati facili una facile preda per l'aviazione nemica, mentre il terreno montuoso a sud ostacola il loro movimento.

    2) Il potere aereo può essere applicato con notevole vantaggio sull'intera penisola, sopratutto sulle colonne di rifornimenti, le quali sono costrette a concentrarsi sulle poche strade percorribili.

    3) Vulnerabilità delle difese statiche, sia per le caratteristiche morfologiche sopra elencate, ma anche per la forte necessità di rifornimenti e per la facilità con cui le opere, per l'ampio terreno possono essere isolate.



    II) Le forze in campo.

    1) Egitto.

    Totale: 1200000 uomini (66000 ufficiali e 1134000 fra sottufficiali e coscritti).

    Per l'attacco furono schierate tre armate, ognuna con una rispettiva zona di competenza.

    - Seconda Armata: essa copriva la zona nord del Canale (da Fort Said alla parte settentrionale del Grande Lago Amaro) con la 18ª la 16ª e la 2ª Divizione Corazzata.

    - Terza Armata: era posizionata fra il Grande Lago Amaro e la città di Suez e comprendeva la 7ª e la 19ª Divisione di Fanteria.

    - Riserva: possono essere considerate un'ulteriore armata che le forze di riserva tattica, il cui fulcro era rappresentato dalla 3ª Divisione Meccanizzata.

    Per quanto riguarda i mezzi furono impiegati:

    - 4000 pezzi d'artiglieria.
    - 1700 carri pesanti.
    - 2000 altri veicoli corazzati da combattimento.
    - 150 batterie di SAM.
    - 2500 pezzi di artiglieria contraerea.
    - 627 velivoli da combattimento.
    - 77 aerei da trasporto.
    - 194 elicotteri.

    A questi mezzi vanno aggiunti i contingenti dei paesi alleati:

    - 3 squadriglie di Mig-17, Mig-21 e SU-7 inviate dall'Algeria.
    - 2 squadriglie di Mirage III inviate dalla Libia.
    - 1 squadriglia di Hawker Hunter inviata dall'Iraq.

    - La struttura di comando egiziana (in maniera riassuntiva):

    - Presidente Anwar Sadat: Comandante in Capo.
    - Generale Ahmend Ismail Ali: Ministro della Guerra.
    - Tenente Generale Mohamed Abd El Ghani Al Gamassy: Capo delle operazioni.
    - Tenente Generale Saìad Al Shazly: Capo di Stato Maggiore.
    - Vice Maresciallo dell'Aria Mohammed Mubarak: Comandante delle Forze Aeree.
    - Maggiore Generale Mohammed Sa'ad Ma'amnon: Comandante della Seconda Armata.
    - Maggiore Generale Abd El Al Mona'am Wesel: Comandante della Terza Armata.



    2) Israele.

    Nel 1973 le forze israeliane erano costituite complessivamente da 75000 uomini (15 brigate in totale): in caso di mobilitazione la cifra da raggiungere era 350000 effettivi (30 brigate in totale), da impiegare nelle così dette Ugda, cioè delle vere e proprie task force.
    In tempo di pace erano costantemente schierate due Ugda, rispettivamente nel Settore Nord (Golan) ed in quello Sud (Sinai).
    Al momento dell'attacco l'Ugda dispiegata in quest'ultimo settore era costituita da:

    - 3 brigate corazzate (composte ognuna da 3 battaglioni per un totale di 111 carri per brigata).
    - La 252ª Divisione Corazzata con 290 carri.
    - La Brigata di fanteria Gerusalemme con 436 uomini dislocati nella fortificazioni lungo il Canale.
    - 7 batterie d'artiglieria (per un totale di 70 pezzi circa).

    A queste forze vanno aggiunti i 476 aerei da combattimento in dotazione all'aviazione.

    La struttura di comando israeliana (sempre in maniera riassuntiva):

    - Golda Meir: Primo Ministro.
    - Generale Moshe Dayan: Ministro della Difesa.
    - Generale David Elazar: Capo di Stato Maggiore.
    - Maggiore Generale Eliezer Zeira: Capo dell'AMAN.
    - Maggiore Generale Shmuel Gonen: Comandante della Regione Sud.
    - Maggiore Generale Yeshaya Gavish: Comandante del Distretto del Sinai.
    - Maggiore Generale Avrham Mandler: Comandante della 252ª Divisione Corazzata.



    III) L'attacco egiziano (6 ottobre 1973).

    - (h 13:45) Le forze egiziane diedero inizio all'operazione Awasef (Tempeste): 200 aerei da combattimento superarono il Canale di Suez per colpire stazioni radio, batterie anti-aereee, centri di comando, postazioni d'artiglieria e tre campi d'aviazione. Nello stesso momento fu ordinato a 2000
    pezzi d'artiglieria di far fuoco sulla Linea Bar Lev: nei primi minuti di bombardamento caddero circa 10500 proiettili (175 al secondo), che avevano lo scopo primario di tenere le guarnigioni israeliane inchiodate nei forti, in modo da permettere alle unità di commando e di fanteria anti-carro (che nel frattempo avevano già iniziato ad attraversare il Canale sui loro gommoni) di preparare le prime imboscate ai carri israeliani.

    - (h 14:15) La prima ondata di fanteria d'assalto egiziana, costituita da 4000 unità e 720 imbarcazioni, iniziò l'attraversamento della via d'acqua in cinque scaglioni.
    Il primo, armato di fucili d'assalto AKM calibro 7.62, aveva l'obiettivo di stabilirsi in territorio nemico entro 2 o 3 km di profondità, dopo aver superato il terrapieno grazie alle scale ed ai carrelli in dotazione.
    Il secondo scaglione giunse sull'altra riva dopo 6 minuti per consolidare le posizioni acquisite mentre dopo altri 12 minuti giunse il terzo con le armi pesanti.
    Alle ore 14:40 giunse il quarto scaglione con un rifornimento completo di munizioni, mentre alle ore 15:00 attraversarono il Canale gli ultimi battaglioni della prima ondata.
    Nel frattempo erano iniziate due operazioni piuttosto azzardate, risoltesi infatti in altrettanti fallimenti: la prima fu un lancio di commando elitrasportati che avevano l'obiettivo di organizzare imboscate alle unità corazzate israeliane che si muovevano verso il canale per tamponare l'avanzata egiziana: gran parte degli elicotteri Mi-8 fu abbattuta dall'aviazione.
    La seconda fu una grande operazione anfibia condotta dalla 130ª Brigata di Fanteria attraverso il Grande Lago Amaro con lo scopo di raggiungere i passi di Gidi e Mitla, che tuttavia fu neutralizzata.

    - (h 15:00) Gli egiziani lanciarono la seconda ondata di fanteria d'assalto attraverso il Canale e nel frattempo furono aperti i primi varchi nel terrapieno per la costruzione i ponti galleggianti, operazione che a nord andò secondo i piani, mentre a sud, a causa del terreno friabile, subì notevoli ritardi.

    - (h 15: 30) Prese avvio la costruzione dei ponti galleggianti (i sovietici avevano fornito i PMP ed i TTP). Le parti venivano scaricate in acqua in questo modo (una tecnica che potrebbe sembrare piuttosto grezza, ma richiedeva un addestramento continuo): i mezzi di trasporto effettuavano una brusca frenata in retromarcia, in modo da buttare letteralmente in acqua le sezioni galleggianti, le quali poi venivano assemblate direttamente nel canale dai genieri.


    image
    Equipaggiamento sovietico da ponte PMP.

    - (h 16:15) Avevano attraversato il Canale già 25000 uomini divisi in 10 brigate, avevano stabilito 5 teste di ponte dell'ampiezza complessiva di 7 km.


    image
    I mezzi egiziani attraversano un ponte galleggiante sul Canale di Suez.

    L'attacco attraverso il Canale fu un grande successo.
    Il genio egiziano riuscì non solo ad aprire, nel giro di sole 9 ore, ben 60 varchi all'interno del terrapieno, ma anche a costruire, entro la notte fra il 6 ed il 7 ottobre, 10 ponti funzionanti (3 nell'area di Kantara, 3 nella zona fra Ismailia e il Deversoir e 4 nell'area fra Genefa e Suez).
    Questi ponti permisero di far passare sull'altra sponda del Canale 850 carri, 11000 veicoli e diverse batterie di SAM durante la notte fra il 6 ed il 7 ottobre.
    Nel giro di 18 ore insomma attraversarono il Canale di Suez ben 90000 uomini con perdite irrisorie rispetto alle previsioni (5 aerei, 20 carri e 208 effettivi rispetto alle 25-30000 unità previste dal comando egiziano).



    IV) La risposta israeliana.

    L'esercito Israeliano si trovò, al momento dell'attacco, in stato di shock.
    Innanzitutto mancavano informazioni chiare su ciò che stava succedendo sul campo: sembra infatti che diverse postazioni d'artiglieria, in diverse occasioni fecero fuoco in pieno deserto, poichè utilizzavano parole chiave obsolete per designare i bersagli sul campo,.
    Dal punto di vista tattico però il problema maggiore fu che i comandanti israeliani persero troppo tempo a cercare di capire da dove arrivasse la principale spinta nemica; tamponare l'avanzata avversaria nel punto in cui essa è più forte rappresenta, in caso di attacco, una pratica standard che definirei “da manuale”.
    In questo caso però si trattava di un attacco coordinato su tutta la linea del Canale: di ciò si rese conto già alle ore 15:00 il Generale Mandler, Comandante della 252ª Divisione Corazzata, mentre il Comandante della Regione Sud ebbe bisogno di almeno un'altra ora per capire la situazione.
    A questo errore contribuì, come detto in precedenza, anche la scarsa accuratezza dei rapporti provenienti dalla prima linea, che fornirono ai comandi un quadro della situazione estremamente distorto (tanto che Elazar verso sera arrivò addirittura a definire la situazione “ragionevole”).
    La conseguenza delle informazioni distorte e della reazione “da manuale” da parte del comando israeliano, fu che molte formazioni corazzate vennero lanciate verso il Canale senza avere alcuna indicazione su ciò che andavano ad affrontare.
    Le forze vennero suddivise in questo modo: la 460ª Brigata del Colonnello Amir fu inviata verso nord, la 14ª del Colonnello Reshef verso ovest (nel settore centrale), mentre la 401ª, comandata dal Colonnello Shomron ricevette l'ordine di posizionarsi a sud del Grande Lago Amaro passando attraverso il passo di Gidi.
    I risultati furono disastrosi.
    I carri del Colonnello Reshef furono fatti oggetto di un micidiale “doppio fuoco” proveniente sia dalle squadre anti-carro egiziane dotate di missili Sagger che avevano guadagnato la riva est del Canale sia dai carri nemici posizionati sul terrapieno della sponda opposta.
    I corazzati sopravvissuti a questo fuoco micidiale furono decimati nel tentativo di ricongiungersi con la fortificazione denominata Hizayon.
    Per dare l'idea delle perdite subite da Reshef basta dire che la mattina del 7 ottobre egli si ritrovò con soli 20 carri.
    Non andò meglio alla 401ª di Brigata di Shomron, a cui fu dato l'ordine sia di fermare l'avanzata egiziana lungo una linea di 56 km in chiara inferiorità numerica (1:6, 100 carri contro circa 650 corazzati egiziani) sia di ricongiungersi con le fortificazioni della zona: essendo risultato da subito chiaro che le sue unità non erano in grado di dividersi in questo doppio compito, Shomron contattò il Generale Mandler chiedendogli letteralmente di esentare i suoi carri da uno dei due compiti. Mandler tuttavia non cambiò idea fino alle ore 11:00 del giorno successivo, col risultato che la 401ª di Brigata il 7 ottobre si ritrovò con soli 23 carri: con questi 3 battaglioni però Shomron fu in grado non solo di fronteggiare il fulcro della Terza Armata egiziana, ma addirittura di fermare il primo attacco concentrato egiziano condotto da due brigate meccanizzate, che si ritirarono disordinatamente (questo successo fu il frutto sia della nuova libertà operativa sia di un'eccellente applicazione della tattica denominata “fuoco e movimento”: un gruppo di carri inchioda con il proprio fuco il nemico, mentre un altro lo affianca e lo distrugge).
    La 460ª Brigata del Colonnello Amir, che aveva l'ordine di raggiungere due fortificazioni denominate Mifreket e Milano ebbe decisamente meno fortuna: essa fu costretta a rifare la stessa strada diverse volte durante tutta la notte per evacuare i forti ed in questo modo fu praticamente distrutta dalla continue imboscate nemiche (la mattina seguente si ritrovò con soli 20 carri, ovvero un quarto delle sue unità).
    La mattina di domenica 7 ottobre la situazione sulla Linea Bar Lev era un vero disastro: due forti si erano arresi mentre 5 erano stati abbandonati (con i loro uomini costretti a farsi strada da soli attraverso la fanteria nemica). La 252ª Divisione Corazzata aveva perso 153 carri, cioè il 60% del suo organico.
    Per tirare le fila del discorso, la battaglia del Canale di Suez mise in evidenza i seguenti elementi:

    - Il fattore sorpresa fu sfruttato benissimo dall'Egitto che fu in grado anche di condurre la complicata operazione di attraversamento della linea d'acqua in maniera eccellente.
    La scelta di attaccare su tutta la linea inoltre si rivelò determinante nel confondere e dividere le forze corazzate israeliane.

    - La Linea Bar Lev si rivelò un vero e proprio colabrodo.
    Va però aggiunto che il comando israeliano compì due gravi errori strategici: per prima cosa perse molto tempo cercando di capire da dove provenisse la principale spinta nemica, ma soprattutto gravò le formazioni corazzate col duplice compito sia di soccorrere le fortificazioni che di tamponare l'avanzata egiziana. Come abbiamo visto, nel momento in cui fu dato l'ordine di occuparsi solo delle truppe nemiche, i risultati arrivarono, grazie anche all'abilità dei carristi dello stato ebraico.
    La Linea Bar Lev dunque risultò non solo inutile ma addirittura dannosa per la difesa israeliana.


    image
    Questa mappa (wikipedia) mette in luce la consistenza delle teste di ponte egiziane ed anticipa gli argomenti della mia trattazione successiva (i primi contrattacchi israeliani e il disastro egiziano del 14 ottobre).

    Edited by onestobender - 2/5/2008, 00:35
     
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  9. bradipo1
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    CITAZIONE (onestobender @ 30/4/2008, 01:58)
    .....
    Per quanto riguarda i mezzi furono impiegati:

    - 4000 pezzi d'artiglieria.
    - 1700 carri pesanti.
    - 2000 altri veicoli corazzati da combattimento.
    - 150 batterie di SAM.
    - 2500 pezzi di artiglieria contraerea.
    - 627 velivoli da combattimento.
    - 77 aerei da trasporto.
    - 194 elicotteri.

    A questi mezzi vanno aggiunti i contingenti dei paesi alleati:

    - 3 squadriglie di Mig-17, Mig-21 e SU-7 inviate dall'Algeria.
    - 2 squadriglie di Mirage III inviate dalla Libia.
    - 1 squadriglia di Hawker Hunter inviata dall'Iraq.

    .....


    III) L'attacco egiziano (6 ottobre 1973).

    - (h 13:45) Le forze egiziane diedero inizio all'operazione Awasef (Tempeste): 200 aerei da combattimento superarono il Canale di Suez per colpire stazioni radio, batterie anti-aereee, centri di comando, postazioni d'artiglieria e tre campi d'aviazione.....

    Veramente ottimo, ma non ho chiaro

    1- i 200 aerei delle forze arabe sono tutti non egiziani?

    2- che ha fatto nel frattempo l'avazione israeliana (che io abbia capito hanno sempre avuto la supremazia aerea)? In quanto tempo possono essere essere operativi gli aerei israeliani? Hanno impegnato gli aerei arabi? Sono stati usati in ricognizione?

    3- SAM?
     
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  10. onestobender
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    CITAZIONE
    1- i 200 aerei delle forze arabe sono tutti non egiziani?

    Tutti egiziani: l'operazione Awasef è un classico esempio di raid preliminare atto a mettere in crisi l'aviazione, la contraerea e gli apparati di comunicazione nemici (in questo caso israeliani).



    CITAZIONE
    2- che ha fatto nel frattempo l'avazione israeliana (che io abbia capito hanno sempre avuto la supremazia aerea)? In quanto tempo possono essere essere operativi gli aerei israeliani? Hanno impegnato gli aerei arabi? Sono stati usati in ricognizione?

    Bradipo anticipa sempre, è troppo assetato di conoscenza... :P
    La guerra aerea sarà protagonista di una puntata speciale (anche perchè secondo me è la parte più sostanziosa e forse migliore del mio lavoro).


    CITAZIONE
    3- SAM?

    SAM= nome NATO per Surface to Air Missile (missile contraereo).

    E io che accuso sempre i militari di usare troppe sigle... :doh: scusate... :D

     
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  11. bradipo1
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    CITAZIONE (onestobender @ 4/5/2008, 12:59)
    CITAZIONE
    1- i 200 aerei delle forze arabe sono tutti non egiziani?

    Tutti egiziani: l'operazione Awasef è un classico esempio di raid preliminare atto a mettere in crisi l'aviazione, la contraerea e gli apparati di comunicazione nemici (in questo caso israeliani).

    Ok, non mi tornavano i conti, non li hai citati nell'elenco delle forze egiziane.
     
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  12. onestobender
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    Aaaah, adesso ho capito! Quei 200 aerei utilizzati per il raid preliminare facevano parte dei 627 velivoli da combattimento (ti anticipo che però non erano tutti operativi).

    CITAZIONE
    Per quanto riguarda i mezzi furono impiegati:

    - 4000 pezzi d'artiglieria.
    - 1700 carri pesanti.
    - 2000 altri veicoli corazzati da combattimento.
    - 150 batterie di SAM.
    - 2500 pezzi di artiglieria contraerea.
    - 627 velivoli da combattimento.
    - 77 aerei da trasporto.
    - 194 elicotteri.

     
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  13. onestobender
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    b) Fronte del Golan.


    I) Il campo di battaglia.

    Il Golan è un altopiano che si estende su un’area di 1243 km² delimitata a ovest da una scarpata dell’altezza di 1700 metri che cade nel Mare di Galilea e nel fiume Giordano, a sud dal fiume Yarmouk e a nord dal confine col Libano. Il paesaggio è caratterizzato da una copertura di basalto nero oltre che da grandi crateri di lava solidificata. Il più lato di essi è Tel Faris che si alza di 1000 metri sopra il livello del mare. Le direttrici d’accesso principali sono due: una conduce da Israele alle alture con tre strade principali, quella che va da Temach a El-Al, un’altra che scavalca il fiume Giordano col ponte Arik e la terza che conduce dalla Galilea a Damasco. La seconda direttrice che da Sud punta verso Nord-Ovest è costituita dalla strada per Kuneitra e dalla così detta Tapline Route.
    Dal punto di vista tattico si tratta di un terreno poco adatto all’utilizzo dei carri ma solo in chiave offensiva, poiché in posizione difensiva i coni vulcanici possono essere utilizzati come vere e proprie rampe di tiro.


    II) Le forze in campo.

    1) Siria.

    Totale effettivi schierati nel Golan: 60000 uomini.

    Per l'attacco vennero messe in campo 3 divisioni di fanteria, ognuna con una sua zona di competenza:

    - La 7ª Divisione di Fanteria, rafforzata dalla 68ª e dalla 33ª Brigata di Fanteria, fu schierata a nord di Kuneitra.

    - La 9ª Divisione di Fanteria, supportata dalla 52ª e dalla 33ª Brigata di Fanteria, teneva il settore centrale fra Tel Hara e Kuneitra.

    - La 5ª Divisione di Fanteria, che includeva anche la 112ª e la 61ª Brigata di Fanteria, era disposta a sud da Rafid a Yarmouk.

    Queste tre divisioni di prima linea comprendevano un totale di 540 corazzati ed erano seguite da altre due divisioni corazzate con 460 carri.


    Per quanto riguarda i mezzi la Siria schierò nel Golan complessivamente:

    - 1400 carri.

    - 800 pezzi d'artiglieria.

    - 354 jet da combattimento (soprattutto intercettori Mig-21 e bombardieri Mig-17).


    La struttura di comando può essere sintetizzata in questo modo:

    - Hafaz al Assad: Presidente.
    - Maggiore Generale Mustafa Tlas: Ministro della Difesa.
    - Maggiore Generale Chakkour: Capo di Stato Maggiore.
    - Maggiore Generale Abdul Razzaq Dardary: Capo delle Operazioni.
    - Maggiore Generale Jibrael Bitar: Direttore dell’intelligence.
    - Colonnello Tewfiq Jhuni: Comandante della 1ª Divisione Corazzata.
    - Brigadiere Generale Mustafa Sharba: Comandante della 3ª Divisione Corazzata.
    - Brigadiere Generale Ali Aslan: Comandante della 5ª Divisione di Fanteria.
    - Brigadiere Generale Omar Abrash: Comandante della 7ª Divisione di Fanteria.
    - Colonnello Hassan Tourkmani: Comandante della 9ª Divisione di Fanteria.



    2) Israele.


    L'Ugda schierata nel Golan comprendeva al momento dell'attacco:

    - Due brigate corazzate (la 7ª e la 188ª detta Barak, Fulmine) con 177 carri.

    - Due battaglioni di fanteria.

    - 4 batterie di artiglieria semovente.

    Va sottolineato che, oltre alla scarsità di personale, le truppe israeliane stanziate nella regione dovettero fare i conti con un equipaggiamento di qualità tutt’altro che eccelsa. La fanteria infatti era dotata di armi personali antiquate e di semicingolati del tipo M3, un modello utilizzato nella Seconda Guerra Mondiale, mentre i nuovi APC (nome NATO per Armored Personnel Carrier, mezzo blindato di trasporto truppe) del tipo M113 erano stati forniti in scarse quantità.
    Ancora peggiore la situazione degli artiglieri, dotati di un numero molto limitato di moderni pezzi semoventi come l’M107, M109 e l’M110.


    La catena di comando del Golan era invece composta in questo modo:

    - Maggiore Generale Hofi: Comandante della Regione Nord.
    - Maggiore Generale Rafael Eitan: Comandante della 36ª Divisione Corazzata.
    - Brigadiere Generale Dan Laner: Comandante della 240ª Divisione Corazzata di Riserva.
    - Brigadiere Generale Moshe Peled: Comandante della 146ª Divisione Corazzata di Riserva.



    In generale si può dire che lo schieramento siriano privilegiasse in modo deciso la fanteria, anche se essa era caratterizzata da un altissimo grado di mobilità. In un certo senso non è azzardato affermare che ogni divisione di fanteria era in pratica una formazione meccanizzata, data la forte incidenza di mezzi di trasporto truppe ad ogni livello. Bisogna poi sottolineare l’integrazione all’interno di ogni divisione di una brigata corazzata e un battaglione di artiglieria semovente di supporto, che mette in luce la vocazione interarmi delle forze siriane. Ben diversa invece la situazione israeliana in cui fanteria ed artiglieria erano considerate delle formazioni accessorie di quelle corazzate.




    III) L'attacco siriano e la risposta israeliana (6-7 ottobre 1973).

    Piccola premessa: a differenza del Sinai, per quanto riguarda il fronte del Golan ho privilegiato particolarmente il punto di vista delle forze israeliane, impegnate in una difesa disperata.


    - (h 13:55) Nell'ambito dell'operazione congiunta denominata Awasef, cento batterie d'artiglieria siriane (schierate secondo la dottrina sovietica, cioè con una altissima densità di pezzi per kilometro) iniziarono a far fuoco sulle postazioni israeliane (il fuoco durò complessivamente 50 minuti). Pochi minuti dopo 5 Mig-17 attaccarono le strutture nemiche più settentrionali, mentre altre due formazioni (composte da 15/20 velivoli ciascuna), colpirono l'area a sud di Rafid ed il quartier generale israeliano di Nafekh.

    - (h 14:00) Le tre divisioni siriane si spinsero oltre la linea del cessate il fuoco del 1967: la 7ª e la 5ª Divisione erano condotte in avanti da due colonne parallele, capeggiate da carri dotati di flagelli per sgombrare il campo dalle mine seguiti dalla fanteria trasportata su APC e armata di missili anti-carro Sagger e di RPG-7.
    Dietro di loro pezzi d’artiglieria semovente del tipo SU-100 montata sugli scafi dei carri T-34 e numerosi AFV (nome NATO per Armored Fighting Vehicle, ovvero veicoli corazzati in grado di offrire fuoco di copertura, soprattutto alla fanteria).
    Va sottolineato che la strategia siriana era piuttosto rudimentale; si trattava in pratica di un’avanzata ad ondate incurante delle perdite.
    Per questo motivo le cose non funzionarono sempre nel migliore dei modi: mentre la 5ª Divisione si muoveva in avanti con buon ordine, le colonne della 7ª e della 9ª, dirette rispettivamente a nord e a sud di Kuneitra, entrarono subito in confusione.
    I carri con l’equipaggiamento da ponte infatti, bersaglio prioritario (insieme ai carri sminatori) per gli artiglieri e i carristi israeliani che li ingaggiavano abilmente da una distanza di 2000 metri, furono colpiti mentre erano ancora nelle retrovie, causando ingorghi colossali nel resto della colonna. Non è difficile immaginare la confusione in cui caddero queste formazioni siriane che, pressate dal fuoco nemico, furono costrette a far scendere i carri e gli APC dalla strada, mentre gli ufficiali tentavano in tutti i modi di ricreare l’ordine. Molti corazzati inoltre furono lanciati attraverso i campi minati per aprire la strada ai mezzi da ponte, i quali, al costo di pesantissime perdite, riuscirono a raggiungere il fossato anti-carro. A questo punto però i genieri erano costretti a scendere dai propri veicoli e, sempre sotto l’intenso fuoco nemico, iniziavano a costruire una serie di strade rialzate, spesso con l’utilizzo di semplici pale.


    image
    Il fossato anti-carro israeliano. Questa eccezionale e allo stesso tempo terribile immagine dimostra tutta l'efficacia del fuoco israeliano: in basso troviamo un plotone di T-62 che è stato probabilmente colpito mentre, colto dal panico, ha tentato una disordinata fuga (da notare che tutti i carri hanno il forontale rivolto verso la via di fuga, una manovra dettata dalla paura visto in questo modo hanno esposto la parte più vulnerabile del carro al fuoco nemico). In alto invece un corazzato è caduto nel fossato a seguito del crollo del rudimentale ponte su cui transitava.


    La risposta israeliana era nelle mani del Generale Hofi, il quale nelle prime ore della battaglia, divise il fronte in due: il settore nord, dalla fortificazione A5 a Tel Hazeika, fu affidato alla 7ª Brigata, mentre quello a sud alla 188ª Brigata Barak.
    A Nord di Kuneitra la 7ª Divisione siriana dovette vedersela proprio con un battaglione di questa ultima formazione, il 74° che, agli ordini del Tenente Colonnello Yair Nafshi, appostò i suoi corazzati su un promontorio denominato Booster. Il fuoco concentrato dei carristi israeliani, che, sistemati su una posizione dominante che conferiva loro un grande vantaggio tattico, ingaggiavano il nemico da grandi distanze, mise fuori combattimento numerosi corazzati siriani. Nonostante ciò essi riuscirono a piazzare due ponti sul fossato anti-carro, il quale fu poi superato da una compagnia di 10 carri, i quali però furono successivamente neutralizzati.
    Tuttavia, durante la notte, mentre il 74° Battaglione veniva posto sotto il comando della 7ª Brigata, i siriani riuscirono ad avanzare oltre il fossato con l’aiuto dell’equipaggiamento di visione notturna che gli israeliani non possedevano: nonostante diversi carri arabi fossero incappati nel campo minato, molti altri continuavano ad penetrare.
    Malgrado la fiera opposizione dei difensori, i siriani riuscirono quindi a sfondare nel settore centrale della 7ª Brigata fra Booster e il monte Hermonit, tenuto dal 5° Battaglione. Il Colonnello Avigodr, Comandante del 4° Battaglione, ordinando ai suoi uomini di ingaggiare il nemico a 800 metri, fu però capace in qualche modo a fermare l’avanzata della 78ª Brigata Corazzata e della 7ª Divisione di Fanteria siriane che avevano attaccato ad ondate per tutta la notte.
    A sud tuttavia, nell’area di Tel Kudne ( dove si concentrava la maggiore spinta siriana), l’opera A6 era ormai tagliata fuori, mentre A8, A9 e A10 ricevettero l’ordine di evacuazione.

    - (h 16:00) La 188ª Brigata, che nelle prime ore dell’attacco era riuscita agevolmente a tenere a bada il nemico, dalle 16 del pomeriggio dovette fare i conti con una forza siriana di 100 carri che nel frattempo aveva aggirato A6 da sud.

    - (h 17:00) Alle ore 17 arrivò al comando della brigata la notizia che il nemico stava sfondando in altri due punti, nella zona di A9, dove puntavano avanzando lungo la strada denominata Tapline verso il promontorio denominato Juhader e in quella di A10. A

    - (h 18:00) Alle ore 18 la gravità della situazione era ormai evidente. I siriani avevano aperto tre brecce nella linea: nel settore sud con 100 carri, nella zona di Kudne con altri 100 e nell’area di A10. Il comandante della brigata, il Colonnello Ytzhak Ben Shoam, prese la gravosa decisione di spostare il quartier generale avanzato della brigata da Nafekh a Juhader, da dove avrebbe potuto controllare la battaglia. Il suo Vice, il Tenente Colonnello Ysraeli rimase invece sul posto.
    La brigata fu quindi costretta ad affrontare con i suoi 15 carri una forza nemica di 450 corazzati: a difesa della Tapline Road, una strada di fondamentale importanza strategica, era interamente nelle mani del giovane Tenente Zwicka Gringold e della forza improvvisata al suo comando, conosciuta poi come “Forza Zwicka”, che, con grande flessibilità ed audacia, fu in grado di contenere l’urto della 90ª Brigata Corazzata siriana, nonostante lo svantaggio numerico di 50:1.

    In quel momento l’Alto Comando siriano, dopo la batosta ricevuta dalla 7ª Brigata, decise logicamente di spostare quasi tutto il peso dell’offensiva nel settore sud del Golan, sfruttando la maggiore penetrazione ottenuta. Per questo a 10 km da Juhader la 5ª Divisione di Fanteria si spinse con decisione verso il Mar di Galilea dopo aver sfondato nella zona di Ramat Magshimim , mentre la 46ª Brigata Corazzata, che faceva parte della 5ª Divisione di Fanteria, dopo essere penetrata durante la notte del 6 ottobre nell’area di Rafid, si congiunse il giorno successivo con la 132ª Brigata Meccanizzata. A nord della strada Rafid-El Al fu fatta avanzare parallelamente anche la 47ª Brigata Corazzata: il comando siriano aveva riversato nel sud del Golan circa 600 carri e avvicinandosi al Mare di Galilea, iniziava ad assaporare la vittoria. La situazione per gli israeliani iniziava a farsi disperata: Ben Shoham tuttavia, dopo essere stato tagliato fuori a lungo dalle proprie forze poteva iniziare finalmente a far ritorno a Nafekh, la quale però era minacciata da due direzioni dal nemico che si trovava ormai a circa 3 km dalla base.
    La difesa di Nafekh si rivelò fondamentale per le sorti della guerra. Generale Eitan ordinò a Ysraeli di coprire il ritorno del suo comandante, ma durante questa azione rimase ucciso e la stessa sorte toccò al Colonnello Ben Shoham a soli 200 metri dalla base.
    Dopo circa un’ora, elementi avanzati della 1ª Divisione Corazzata siriana iniziarono ad attaccare Nafekh. La difesa della base fu condotta in modo esemplare dal Vice Comandante della Brigata del Distretto, il Tenente Colonnello Pinie, ma la situazione fu salvata dal provvidenziale intervento della 679ª Brigata Corazzata di Riserva, che durante la notte ripulì l’area intorno alla base e respinse la 7ª Divisione di Fanteria che attaccava da ovest di Kuneitra.
    L’intervento di questa brigata si rivelò cruciale per le sorti della guerra nel Golan; se i siriani avessero sfondato anche in quella zona, la parte meridionale della regione sarebbe stata perduta.

    - (7 ottobre) La situazione continuava ad essere molto precaria per le forze israeliane: nel pomeriggio infatti le truppe siriane erano a 1 km da El Al e a 10 km da una delle più popolose città ebraiche, Tiberiade. Bisogna poi aggiungere che le munizioni iniziavano pericolosamente a scarseggiare, poiché all’inizio del conflitto erano state accantonate riserve per soli 7-14 giorni: per questo furono create delle apposite squadre dotate di jeep che le recuperavano dai carri colpiti.
    D’altra parte le forze arabe avevano subito perdite pesantissime, calcolabili intorno ai 400 carri, soprattutto quando si erano avventurate oltre l’ombrello missilistico anti-aereo che nelle prime ore li aveva protetti dagli attacchi dell’aviazione avversaria.
    Tuttavia va sottolineato che Israele continuava ad essere sull’orlo del baratro.
    Il costo della disperata difesa fu infatti altissimo: entro mezzogiorno del 7 ottobre la Brigata Barak era stata quasi completamente distrutta. Il 90% dei suoi ufficiali, incluso il Comandante e il suo Vice, erano stati uccisi o feriti.
    Il Ministro della Difesa Moshe Dayan, dopo una ricognizione aerea del fronte nord, suggerì al Primo Ministro di ritirare le forze fino alla scarpata che controllava la Valle del Giordano. A questo punto Golda Meir, rendendosi conto che un tale provvedimento avrebbe avuto conseguenze catastrofiche sul destino della Galilea, si rivolse al Generale Bar Lev al quale furono affidati poteri speciali. Egli decise una rapida disposizione nel Golan di due divisioni di riserva, comandate rispettivamente dai generali Dan Laner e Moshe Peled. Il fronte fu poi diviso in due zone di competenza: il settore nord fu affidato ad Eitan mentre quello sud al Generale Laner. Questo ultimo ricevette immediatamente sotto il suo comando 4 brigate corazzate, le prime tre di riserva, per un totale di 90 carri: la 17ª, la 14ª e la 19ª e i resti della 188ª. La 19ª Brigata fu schierata a sud di El Al e la 17ª sulla strada per Yehudia. Queste forze ingaggiarono una disperata difesa con gli elementi corazzati della 5ª Divisione di Fanteria siriana che alla fine lasciò sul campo 250 carri.

    In quei momenti, a Katana, sede dell’Alto Comando siriano situata a 40 km dal fronte, fu presa una delle decisioni più gravide di conseguenze non solo per la battaglia nel Golan, ma per l’intero conflitto. Durante una riunione ai massimi livelli, a cui parteciparono il Generale Tlas, il Maggiore Generale Chakkour e il Comandante delle forze aeree Generale Maji Jamil, fu deciso di fermare l’avanzata nel settore sud del Golan alle ore 17 dello stesso giorno. Non esistono dei documenti ufficiali che forniscano una spiegazione certa riguardo questo gravoso provvedimento e per questo motivo è necessario affidarsi a delle supposizioni che si basano su “prove indiziarie”. Si possono fare tre tipi di congetture.
    1)Potrebbe essersi trattato di una pausa operativa per permettere alle forze siriane di riorganizzarsi dopo una serie di combattimenti durissimi che avevano causato delle perdite molto pesanti. Questa ipotesi è in linea con la situazione in cui si venne a trovare la 1ª Divisione Corazzata che aveva subito una grave batosta da Eitan a Nafekh.
    2)Si può ipotizzare un blocco precedentemente programmato all’interno dei piani d’attacco per rafforzare l’avanzata con nuove unità fino a quel momento rimaste nelle retrovie. Con questa ipotesi è possibile spiegare il mancato sfruttamento della penetrazione nella zona di El Al ed è in linea con la rigida organizzazione che le forze arabe si erano date.
    3)La spiegazione più convincente sembra essere legata al timore nell’Alto Comando siriano di una possibile azione israeliana ai fianchi della 5ª Divisione di Fanteria e della 1ª Divisione Corazzata. L’offensiva araba si era sviluppata lungo il fronte in modo poco equilibrato, indipendentemente dall’entità dello sforzo profuso: a nord infatti, la 7ª Brigata Corazzata israeliana era stata in grado di reggere ad un urto enorme, mentre a sud era riuscito uno sfondamento in tre punti contro una quantità maggiore di forze. Il timore era dunque che gran parte delle formazioni nemiche fossero state tenute in riserva per effettuare un contrattacco trappola.

    Un’altra ipotesi, propugnata da Martin Van Creveld, inserisce un punto di vista molto diverso sulla questione: secondo lo studioso di origini olandesi (ma che vive in Israele dal 1950), il blocco siriano sarebbe connesso con la minaccia da parte israeliana di una ritorsione nucleare. Va sottolineato il fatto che al momento non esistono ancora prove ufficiali del possesso di un’arma atomica da parte di Israele, anche se bisogna tenere conto dell’autorevolezza del Professor Van Creveld e della convinzione con cui presenta il suo punto di vista.


    image
    Questa mappa ci da un'idea della penetrazione siriana nel sud del Golan fra il 6 e l'8 ottobre.


    Discussioni sulle cause a parte, questa decisione ebbe effetti molto importanti: infatti, quando i siriani decisero di rinnovare l’avanzata, le porte per il Mare di Galilea erano ormai chiuse. Il Generale Tlas fece poi un altro errore: utilizzò la 3ª Divisione Corazzata, che fino a quel momento aveva tenuto in riserva, per tentare un altro attacco a nord, piuttosto che sfruttare i successi ottenuti a sud. Questa divisione inoltre fu messa in campo nel modo peggiore; essa fu divisa per rinforzare la 7ª e la 9ª Divisione di Fanteria, con lo scopo rispettivamente di superare Booster e di affiancare Rafid per ricongiungersi con la 1ª Divisione Corazzata.
    In più, il nuovo tentativo di sfondare nella zona fra il Monte Hermonit e Booster, operato dalle ore 8:00 del 7 ottobre nella così detta Valle delle Lacrime, non ebbe successo, grazie alla fiera opposizione della 7ª Brigata condotta dal Colonnello Avigdor Ben Gal. La battaglia nella così detta Valle delle Lacrime fu uno degli episodi più importanti della guerra sul fronte del Golan. I siriani fecero ben 4 tentativi di sfondamento: alle ore 8:00 lungo le pendici del Monte Hermonit verso Wasset con la 78ª Brigata Corazzata che fu respinta dopo poche ore dai carri israeliani che ingaggiarono quelli arabi da una distanza di 2,500 metri. Il pomeriggio un altro tentativo fu respinto dal 77° Battaglione comandato dal Colonnello Avigdor Kahalani e come del resto anche alle ore 22:00 quando la 7ª Divisione di Fanteria siriana poté godere dell’appoggio della 3ª Divisione corazzata supportata da una brigata, l81ª, equipaggiata con i nuovi carri T-62 forniti dai sovietici. In questo caso i combattimenti furono durissimi ed opposero i 40 carri dei difensori contro i 500 degli arabi, i cui equipaggi potevano utilizzare anche i visori notturni. Il quarto e ultimo attacco iniziò alle ore 4:00 dell’8 ottobre e fu condotto di nuovo nella Valle delle Lacrime: ad esso parteciparono anche un gruppo di commando elitrasportati vicino a El Rom e la Guardia Repubblicana di Assad. La situazione si fece nuovamente molto delicata per gli israeliani i quali, nel caso in cui non fossero riusciti a bloccare in tempo il ricongiungimento della Guardia Repubblicana con la fanteria nei pressi di El Rom, non avrebbero potuto più opporre nessuna forza in grado di bloccare l’avanzata siriana nel nord di Israele. Nonostante la forza di élite dell’esercito siriano fosse stata fermata dai 15 carri a disposizione del Colonnello Avigdor Kahalani, il resto della 7ª Brigata sarebbe stato spacciato se non fosse intervenuta una forza improvvisata messa insieme dal Tenente Colonnello Yosi Ben Hannan che aiutò il resto della brigata a respingere l’ultimo attacco. La battaglia per Booster era finita: nella Valle delle Lacrime, un terreno dell’ampiezza di 15 km e della profondità di 3, restarono 260 carri siriani oltre che 500 altri veicoli.

    I resti della 7ª Brigata Corazzata israeliana avevano combattuto per 50 ore consecutive.
    La decisione di fermare l’avanzata proprio nel momento di massimo slancio e l’utilizzo errato delle truppe tenute in riserva che avrebbero potuto dare la spallata finale ai pochi carri rimasti nelle file dei difensori, aiutarono le Forze di Difesa Israeliane a riorganizzarsi, riarmarsi e soprattutto a rinforzarsi con le prime riserve che iniziavano ad arrivare al fronte.
    Se i siriani avessero perseverato nell’avanzata, avrebbero avuto una possibilità estremamente concreta di arrivare al Mare di Galilea e di tagliare quindi in due le forze israeliane, che con ogni probabilità avrebbero perso definitivamente il sud del Golan. Tuttavia non bisogna cadere nell’errore di imputare tutte le responsabilità agli arabi. Le forze israeliane infatti combatterono, e in un certo modo, vinsero la battaglia più difficile della loro storia nonostante le molte e gravose difficoltà. Innanzitutto l’inferiorità numerica, che in certe fasi del confronto raggiunse la proporzione di 50:1 a favore degli arabi. Bisogna poi ricordare che l’intensità della battaglia fu tale da costringere i carristi a combattere senza sosta per giorni per respingere, ondata dopo ondata, gli attacchi nemici. Le forze israeliane dovettero inoltre fare i conti con la mancanza di equipaggiamento per la visione notturna, il quale invece fu largamente utilizzato dagli arabi soprattutto contro la 7ª Brigata. Un ultimo svantaggio molto importante era poi legato alla natura statica della battaglia, che favoriva i siriani dotati di grandi quantità di artiglieria: per questo motivo molti ufficiali delle FDI rimasero uccisi o feriti mentre tentavano di dirigere il combattimento dalla torretta dei carri.

    Per concludere si può dire che, nonostante gli svantaggi iniziali si può affermare che la difesa del Golan, a differenza di quella del Sinai, fu un successo, poiché riuscì a logorare in modo pesante le forze degli attaccanti e spesso a fermare addirittura la loro avanzata.
    La Linea Viola dunque svolse il suo compito nel migliore dei modi grazie soprattutto alla natura del terreno che rendeva le fortificazioni difendibili da poche unità anche nel caso di un accerchiamento completo. Le opere furono in grado sia di fornire informazioni molto utili sull’avanzata nemica sia di dirigere il fuoco della poche batterie d’artiglieria possedute da Israele nella zona. Si può quindi affermare che il sistema difensivo del Golan, così come fu concepito, contribuì in modo importante alla difesa della regione.

    Edited by onestobender - 20/5/2008, 21:17
     
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  14. bradipo1
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    Estremamente intressante.
    Puoi dire di più sullle carattreristiche dei carri usati dalle due parti?
     
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  15. onestobender
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    CITAZIONE (bradipo1 @ 21/5/2008, 01:08)
    Estremamente intressante.
    Puoi dire di più sullle carattreristiche dei carri usati dalle due parti?

    Nella prossima puntata ci sarà un "focus on".
     
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40 replies since 5/2/2008, 21:19   7622 views
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