Il Doge di Venezia

Monsignor el Doxe, Serenissimo Principe o Sua Serenità

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  1. _SmokY_
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    Il Doge




    Il Doge o dal latino Dux (Duca, comandante) era la suprema magistratura della Repubblica di Venezia, istituito sin dal 697 DC fino alla caduta della Repubblica per mano francese nel 1797.

    Inizialmente Venezia era controllata dall’Esarcato di Ravenna, sotto il dominio bizantino, il Doge era il governatore militare dell’area veneziana.
    Da un primitivo ruolo militare e un tentativo di sottrarsi al controllo bizantino da parte del Doge Orso Ipato poi rientrato sotto il controllo dell’Esercato, l’elettività Ducale venne contesa ai bizantini tra il 726 e il 737 DC fino alla completa autonomia sancendo così l’inizio della monarchia ducale che durerà con alterne vicende fino al XI secolo, periodo in cui l’istituzione si modella sulla forma della monarchia bizantina. Infatti la carica divenne a tratti ereditaria e si accompagnò del titolo di Co-Dux che sarebbe stato il successore al trono.
    Durante i primi tre secoli a Venezia vi furono 28 Dogi, di cui 14 deposti o uccisi in rivolte, 4 abdicarono, 1 perì in battaglia e solo 9 morirono di morte naturale.

    Dopo l’anno 1000 si avviò un inarrestabile processo di limitazione e sottrazione del potere ducale da parte dell’aristocrazia mercantile, durata sin quasi alla fine della Repubblica ma che già nel 1200 aveva reso il Doge una carica del tutto formale. Tra l’800 e il 1100 il Doge tentò di accentrare le cariche su di sé, inserendo il mandato ereditiero e provando ad essere il principe sopra gli altri nobili, tentativo svanito per via dell’aristocrazia che rese il Doge primo servitore della Repubblica anticipando così di secoli la moderna figura del Capo dello Stato:

    1032 - si proibisce al duca di associarsi un co-reggente e gli si affiancano due consiglieri perché ne controllino l’operato;
    1143 - s'istituisce un Collegio dei Savi con l’incarico di controllarne l'attività di governo del doge;
    1148 - s'istituisce la Promissione Ducale, giuramento di fedeltà del doge;
    1172 - l'elezione ducale è affidata a 11 elettori;
    1175 - si aumentano a sei i consiglieri ducali a formare il Consiglio Ducale;
    1178 - Si stabilisce che degli undici elettori ducali ne siano d’ora in poi tratti quattro, col compito di nominarne altri quaranta, ai quali affidare l'elezione definitiva;
    1268 - si riforma definitivamente l'elezione ducale con un complesso sistema di nomine e ballottaggi (spiegata di seguito) e si istituisce un collegio di Promissori incaricati di redigere una formula del giuramento personalizzata per ciasun doge (in modo da cucirgli su misura il giuramento e contrastare più in specifico gli interessi di ciascun principe) e di verificarne il rispetto;
    1275 - si proibisce al doge e ai figli di sposare principesse straniere;
    1339 - si proibisce l’abdicazione ducale;
    1342 - si proibisce al doge e alla dogaressa di svolgere attività commerciali;
    1343 - si escludono i figli del doge da tutte le magistrature dello Stato;
    1367 - si proibisce al doge di possedere terre al di fuori del dogado;
    1391 - il Senato avoca a sé la nomina dei vescovi nel territorio della Repubblica;
    1400 - si stabilisce che gli Avogadori de Comun possano portare in giudizio il Doge, sia per atti pubblici che privati;
    1501 - si istituiscono gli Inquisitori del Doge defunto, per vagliare dopo la morte l'operato condotto dal principe.

    Anche la titolatura ducale variò nel tempo: dall'originale humilis Dux provinciae Veneciarum divina gratia Venetiae Dux (umile duca della provincia di Venezia per grazia divina Duca di Venezia), l'espansione dei domini adriatici portò gli imperatori bizantini a riconoscere prima, nel 1004, il titolo di Dux Venetiae et Dalmatiae, Dux Veneticorum et Dalmatianorum (Duca di Venezia e Dalmazia, Duca dei Veneti e dei Dalmati) e quindi, nel 1085, quello di Dux Venetiae Dalmatiae Chroatiae (Duca di Venezia, Dalmazia, Croazia). Nel 1148 il Papa riconosceva il doge Dominator Marchiae (Signore delle Marche) e questi a partire dal 1150 si proclamava anche Totius Istriae dominator (Signore di tutta l'Istria). Dalla corte di Bisanzio i primi dogi ebbero i titoli onorifici di: Imperialis ipathus, Dux ac spatarius Veneticorum, Imperialis patricius archispatus imperialis protosevastos o protosebaste. Del titolo di spatario rimase il ricordo nello spadone, che veniva portato da un patrizio nel corteo del doge. Tra il 1204 e il 1356 i dogi veneziani si fregiarono anche del titolo aggiuntivo di Dominus quartae partis et dimidiae totius Imperii Romaniae (Signore di un quarto e mezzo dell'Impero di Romània). La pace con gli Ungheresi del 1358 portò ad eliminare i riferimenti a Dalmazia e Croazia con un più sobrio Dux Veneticorum et coetera (Duca dei Veneti ed altri), che persistette sino alla fine della Repubblica.
    Al termine dell'evoluzione dell'istituzione ducale, così descrivevano i Veneziani il loro doge: In Senatu senator, in foro civis, in habitu princeps (in Senato è senatore, nel foro è cittadino, nell'abito è principe) o, più volgarmente, il segno di Taverna del Veneto Stato, cioè null'altro che una bella insegna.

    Il ruolo di Doge era molto ambito tra gli aristocratici veneziani, infatti tutto il fasto e la pompa che circondava la carica venivano desiderate da chi voleva essere più che un normale nobile.
    L’unico potere che non venne mai limitato al Doge fu quello di comandare la flotta e l’esercito, era quindi esso il supremo generale delle forze armate serenissime, per il resto fungeva come rappresentate dello stato, come supremo notaio, presiedeva la Serenissima Signoria come capo e partecipava a tutti i consigli, il suo voto però aveva valore uguale ad un altro membro.

    Con l’arrivo delle spoglie dell’Evangelista Marco a Venezia nell’828 e con la costruzione dell’omonima basilica di stato il Doge che già aveva connotazioni religiose divenne il capo della Chiesa di San Marco. Lo stesso Clemente V riconosceva al Doge prerogative tra le quali vi erano quelle che limitavano il potere pontificio nella nomina dei Vescovi, riducendo la sua scelta ai 3/4 nomi che il doge gli offriva. Nel concilio di Trento del 1545 riconoscendo il Doge rappresentate della chiesa ma non riconoscendolo come un Vescovo ne come solamente un Principe, si dovette quindi precedere alla modifica delle formule per comprendere il Doge affianco ai Vescovi ed ai principi. Proprio per questa autonomia spirituale si ebbero molti sfregi tra il Vaticano e la Serenissima, e molte furono le tensioni con il patriarca che era veneto ma doveva rispondere al Papa. Tutta via per questa indipendenza religiosa fu permesso a molti perseguitati di trovare riparo presso di essa, come Giordano Bruno che per ben 12 anni visse a Venezia e non fu consegnato all'inquisizione che poco dopo lo arse a Roma, o come Galileo Galilei, che a Padova poté lavorare alla teoria eliocentrica che dovette abiurare a Pisa e Roma. Alcuni dogi delle origini divennero anche santi.

    Il metodo di elezione del doge era studiato per impedire brogli e corporativismi. Si facevano diverse estrazioni multiple di palline (chiamate "baote") da un'urna chiamat capeo da cappello. Le palline, metalliche e indistinguibili al tatto, venivano estratte con delle manine di legno, delle specie di pinze, e contenevano il nome del votato. Da queste "baote" deriva la moderna parola ballottaggio. Si facevano inoltre molte estrazioni a cascata, in modo che fosse impossibile (o almeno che occorresse molta fortuna) per corrompere la giuria o fare giuochi di potere per determinare l'eletto. Con un primo ballottaggio veniva sorteggiata una commissione di pochi membri, i quali con un secondo ballottaggio ne eleggevano un'altra più ampia, e poi una più ridotta, e infine una molto più ampia.
    La procedura prevedeva che alla morte del doge si riunisse il Maggior Consiglio e che il consigliere più giovane si recasse fuori dal Palazzo e ne portasse all'interno il primo fanciullo tra gli 8 e i 10 anni trovato. Questi doveva trarre a sorte da un'urna i nomi di 30 consiglieri, col limite che non appartenessero alla stessa famiglia e non avessero alcun legame di sangue, dai quali si sarebbero tratti a sorte 9, col compito di nominare 40, ridotti a 12 per ballottaggio. Questi dovevano eleggere 25 membri, da cui estrarre 9 che eleggessero 45 consiglieri, da cui estrarne 11 che nominassero infine i 41 cui sarebbe spettata l'elezione del nuovo doge. L'elezione del doge era poi ratificata dal Maggior Consiglio e il nuovo principe veniva presentato al popolo con la forma Questi xe monsignor el Doxe, se ve piaxe (Questi è il nostro signore il Doge, se vi piace), prima di assistere alla solenne messa in San Marco e all'incoronazione sulla Scala dei Giganti del Palazzo Ducale, dove era pronunciata la promissione.


    Da quel momento il doge diveniva di fatto prigioniero della propria condizione, circondato dal fasto regale proprio della sua dignità, ma costantemente controllato e sorvegliato in ogni sua mossa. Non poteva mescolarsi alla popolazione, ma non aveva guardie del corpo; non poteva porre la sua residenza fuori da Palazzo Ducale, dove non poteva esibire i propri stemmi, ad esclusione di uno solo all'interno del suo appartamento. Gli eventuali doni che riceveva da parte dei dignitari in visita andavano al Tesoro di San Marco o all'erario pubblico. Non poteva dare udienza né aprire la propria corrispondenza se non alla presenza di almeno quattro dei suoi consiglieri. Gran parte delle spese dovute al mantenimento del palazzo e della sua carica spettavano a lui personalmente, con il proprio patrimonio, cosicché in pochi potevano effettivamente permettersi l'elezione e molte famiglie si trovavano poi in gravi difficoltà se un congiunto raggiungeva la carica ducale.
    Nelle principali cerimonie pubbliche e in special modo nelle grandi processioni ducali i simboli della dignità ducale erano rappresentanti dalla particolare corona, il Corno Ducale, posto al disopra di una cuffia bianca, l'ampio manto in porpora, poi divenuto di broccato d'oro, indossati dal principe, e da tutti i simboli che lo accompagnavano: la spada cerimoniale, il seggio ducale, il grande ombrello parasole, gli otto gonfaloni recanti il leone marciano e le otto trombe d'argento, tutti concessi per privilegio pontificio e per questo ricalcanti in parte lo schema delle cerimonie papali. Aveva a disposizione una ricca nave per le funzioni di Stato, il Bucintoro e con essa partecipava alla più importante cerimonia veneziana lo Sposalizio del Mare, nel quale con un anello gettato tra le acque la città rivendicava il suo indissolubile legame e dominio sull'Adriatico.
    Perfino i funerali del doge erano solenni sì, ma privati: lo stato di Venezia non portava alcun lutto per la morte del doge. Si diceva che si è morto il Doge, no la Signoria (se è morto il Doge, non è morta la Signoria). Per amaro contrappasso l'ultimo doge di Venezia, Ludovico Manin, salverà la vita abdicando e consegnando Venezia a Napoleone: alla fine morì la Signoria e non il doge. Si discute ancora se esso fu legale (mancando il consenso del Maggior Consiglio) o se esso fu il passaggio della sola città di Venezia e non di tutto il dogado.



    Fonti: Wikipedia - www.museiciviciveneziani.it

    Edited by Romeottavio - 22/1/2015, 09:56
     
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