L'Inghilterra verso la monarchia parlamentare

Dal contrattualismo al costituzionalismo

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    AVVERTENZA. Questo approfondimento è una tesina, scritta da me per il corso di storia delle istituzioni e delle dottrine politiche, e per questo è diverso dagli altri inseriti da me sul forum: è molto più lungo e tocca argomenti che, normalmente, dividerei in più topic. Per questo motivo consiglio la lettura solo a chi abbia un interesse particolare per il tema o a chi sia realmente motivato.
    Ricordo la possibilità di contattarmi per avere chiarimenti su temi e fonti e, soprattutto, sottolineo che desidero essere avvertito via mail o messaggio privato qualora qualcuno volesse utilizzare il mio lavoro come spunto o materiale per percorsi o tesine. Grazie, buona lettura.

    IL CONTRATTUALISMO: LA CATEGORIA STORIOGRAFICA
    Con il termine "contratti di governo" si fa convenzionalmente riferimento agli accordi scritti stipulati tra alcuni sovrani europei e i loro sudditi più abbienti a partire dai secoli XV-XVI e definitivamente dal XVII. Essi sono stati definiti tali dalla storiografia in quanto facevano esplicitamente riferimento all' esercizio del governo e all' attuazione di jura et libertates dei sovrani, all' epoca legibus soluti, i quali, per motivi di ordine e tranquillità interna, concedevano dei privilegi (libertates) ad alcuni signori locali o ad alcuni territori. Alcuni storici hanno letto questi accordi, originariamente di tipo privatistico, in una chiave di "proto-costituzionalismo" in quanto per la prima volta degli accordi scritti comportavano la limitazione legale del potere monarchico anche se a vantaggio, inizialmente, solo di ceti numericamente insignificanti. E' questa la tesi dello studioso Antonio Marongiu che sostiene: "tali accordi diventarono norme di diritto pubblico" e, in quanto tali, vere leggi "costituzionali" che legavano anche il sovrano al rispetto dei patti, affermando il diritto dei sudditi di sottrarsi alla fedeltà verso la corona nel caso in cui essi non fossero stati rispettati. E' questa anche la tesi di John Locke, autore inglese del XVII secolo, padre del liberalismo contrattualistico, la cui riflessione illustrerò in seguito. Inoltre era comunemente accolta la teoria formulata da Pietro Belluga nello "Speculum principum" che sosteneva che nessun sovrano avrebbe potuto emanare atti e leggi che fossero in contrasto con i patti liberamente accettati da un suo predecessore per la legge della continuità dell' operato della corona. Dello stesso avviso furono anche gli studiosi francesi Bodin e Grégoire. Insomma il sovrano, pur essendo un princeps legibus solutus, dal momento in cui accettava di legarsi liberamente ad un patto non poteva essere considerato anche pactis solutus.
    La dottrina alla base dei "contratti di governo" dell' epoca moderna è stata chiamata, dai diversi studiosi, "pattismo" o "contrattualismo" senza tuttavia denotare concetti diversi. Il concetto di pattismo appartiene maggiormente alla storiografia iberica mentre quello di contrattualismo è, tradizionalmente, applicato allo studio della storia dell' Inghilterra ed è il caso che prenderò in esame.
    Il contrattualismo è, dunque, una dottrina filosofico-giuridica secondo la quale l' organizzazione della società si fonda su un accordo, sotto forma di contratto, tra il sovrano e gli individui suoi sudditi. Pur essendo sorta già in epoca medievale, la dottrina contrattualistica si affermò solo in seguito, tra il '500 e il '600, ovvero nel momento storico in cui iniziò a declinare l' idea dell' origine divina del potere politico; i sovrani europei si trovarono nella necessità di ricercare una nuova fonte di legittimazione del loro potere e la trovarono appunto nei "contratti di governo". Fu probabilmente proprio questa chiave di lettura del contrattualismo dell' epoca moderna a indurre lo studioso spagnolo José Antonio Maravall a definire il pattismo e il contrattualismo come fenomeni storici da collocarsi interamente all' interno dell' assolutismo. "Il re infatti", secondo Maravall, "aveva sempre e comunque l' ultima parola sulle decisioni e sull' interpretazione dei patti". Questa analisi, pur valida in alcuni specifici contesti storici, soprattutto alle origini del contrattualismo, risulta tuttavia parziale: i sovrani europei infatti nel corso dei secoli furono costretti a concedere, contro la loro libera volontà, accordi sempre più limitativi dei loro poteri, (si veda come esempio la Carte octroyée 'strappata' a Luigi XVIII dopo la Restaurazione) e, inoltre, la loro autonomia nell' interpretazione storicamente si è mostrata alquanto limitata.
    Il caso inglese, che ora prenderò in esame, risulta il più emblematico, benché non l'unico, per la nascita, lo sviluppo, le crisi e il definitivo affermarsi delle dottrine contrattualistiche e pattistiche. E sarà mio intento cercare di dimostrare quanto il caso inglese si differenzi dai casi degli altri paesi europei per la ricerca pacifica di compromessi politici e giuridici tramite quegli accordi scritti che costituiranno il nucleo della futura "costituzione" inglese.

    INGHILTERRA: LE ORIGINI MEDIEVALI DEL CONTRATTUALISMO DI EPOCA MODERNA
    Come detto il contrattualismo trova le sue origini già nel Medioevo. Ed è proprio in Inghilterra che già nel XIII secolo si ha l' elaborazione del primo grande documento della tradizione del contrattualismo europeo: la Magna Charta Libertatum, ovvero la "Grande Carta delle Libertà" (intese sempre come privilegi di tipo feudale), del 1215. La Magna Charta Libertatum rappresenta a tutti gli effetti l' inizio della grande tradizione contrattualistica inglese; il fatto poi che essa risalga alla prima metà del XIII secolo va a confermare la tesi, condivisa da molti studiosi, che sostiene che le origini dello stato moderno siano da ricercare nel Medioevo. La Magna Charta Libertatum infatti è unanimemente considerata come il documento precursore di altri quali la Petition of Rights e il Bill of Rights, entrambi redatti nel XVII secolo, che prenderò in esame in seguito. Essa rappresenta la prima vera concessione accettata da un sovrano inglese nei confronti di parte dei suoi sudditi. Il sovrano in questione è Giovanni Senza Terra che giunge ad un compromesso scritto con i baroni contro i quali aveva in precedenza combattuto a lungo arrivando così ad una conclusione pacifica dei contrasti interni, come (quasi) sempre nella storia inglese.
    L' accordo in sé non costituiva alcuna nuova legge ma era il suggello delle antiche 'libertà' (privilegi feudali) dei signori inglesi, che già esistevano nel diritto consuetudinario dell' Inghilterra feudale. Esso riconosceva e garantiva i diritti dell' aristocrazia inglese, della Chiesa e dei comuni di fronte al re: i più significativi da citare sono quello dell' impegno che prendeva il sovrano di non esigere nuovo tributi e/o aiuti militari senza il Consiglio Comune del regno, e quello del rispetto da parte del re della libertà personale, ovvero la garanzia che nessuno avrebbe potuto essere imprigionato senza il giudizio di un tribunale di suoi pari. Insomma, tutti gli aspetti della vita dei signori e degli ecclesiastici erano garantiti: i tributi economici, l' impegno nelle guerre e le garanzie giuridiche. In cambio da essi il re avrebbe avuto un' assoluta lealtà.
    La carta fu confermata due volte (nel 1217 e nel 1225) dal successore di Giovanni, Enrico III e, in seguito da Edoardo I e da Edoardo III. Col tempo, con l' avvicendarsi dei sovrani, e non senza contrasti, i privilegi sanciti dalla Magna Charta Libertatum diventarono realmente delle libertà poiché progressivamente furono estesi a tutti i cittadini inglesi.

    GLI STUART E LA ROTTURA CON I CONTRATTI DI GOVERNO
    A seguito dell ' approvazione della Magna Charta Libertatum l' Inghilterra conobbe secoli di guerre, contro la Francia (la Guerra dei cent' anni), e al suo stesso interno per la successione dinastica al trono (la Guerra delle due rose: Lancaster contro York). Tuttavia l' istituzione monarchica, grazie al sostanziale rispetto degli accordi tra il sovrano e gli aristocratici che sedevano nel Parliament di sua maestà, non conobbe reali crisi interne fino al XVII secolo.
    Nel 1603 il re di Scozia, Giacomo VI Stuart, divenne per eredità re d' Inghilterra con il nome di Giacomo I: egli, attuata l' unione personale delle due corone (ma non quella nazionale), suscitò l' ostilità del Parlamento a causa della sua politica mirata al raggiungimento dell' assolutismo monarchico. Le cose precipitarono con il regno di suo figlio, Carlo I Stuart, iniziato nel 1625. Questi, incurante degli accordi presi dai suoi predecessori, continuò ad imporre, scavalcando il Parlamento, nuovi tributi, il prestito forzoso, l'arresto arbitrario e l' arruolamento forzato dei cittadini, nonchè l' alloggiamento di soldati e marinai nelle case private, in aperta violazione della Magna Charta Libertatum. L' opposizione della Camera dei Comuni si fece evidente in occasione della sua convocazione nel 1628. Approfittando delle difficoltà economiche in cui il sovrano si trovava a seguito dei rovesci subiti in Francia per l' aiuto prestato agli Ugonotti contro Richelieu, la Camera presentò e impose un nuovo contratto di governo: la Petition of Rights, la Petizione dei diritti. In cambio dei sussidi necessari all' esercito, la Camera dei Comuni pretese dal sovrano l' osservanza delle 'libertà' sancite dalla Magna Charta Libertatum e più volte confermate da diversi sovrani d' Inghilterra. Carlo I fu costretto ad accettare il nuovo contratto di governo che, in realtà, non faceva altro che ribadire gli accordi già presi fra Lords spirituali e temporali e i Comuni e il re oltre quattro secoli prima. Tuttavia la Petiton of Rights, pur approvata, rimase inoperante poiché il re, una volta sciolto il Parlamento, tornò alla prassi del governo personale: così si consumò la prima vera rottura tra la corona e il Parlamento e la prima aperta prevaricazione da parte di un sovrano inglese dei contratti di governo liberamente stipulati con i Lords suoi sudditi.
    Fu prorpio in questo contesto che si consumò la prima e unica crisi dell' istituzione monarchica in Inghilterra tale da minacciarne la stessa sopravvivenza. Carlo I, contravvenendo ancora una volta ai suoi obblighi, non convocò più il Parlamento fino al 1640 quando fu costretto a riconvocare le camere per ottenere ulteriori fondi per fronteggiare l' insurrezione calvinista della Scozia. Dopo averlo immediatamente sciolto (per questo fu denominato'short parliament'), fu costretto a riconvocarne uno nuovo che rimase in carica fino al 1653 (il cosiddetto 'long parliament'). Questo Parlamento riuscì ad imporre al sovrano una serie di limitazioni al suo potere.
    Due anni dopo Carlo I tentò un nuovo colpo di stato. Questa volta però, caso più unico che raro, i Lords inglesi non cercarono più di protestare mediante una carta che costituisse un compromesso con la corona ma scelsero la strada dell' insurrezione violenta. Così nel 1642 scoppiò la guerra civile tra il re e il Parlamento, guidato dal puritano Oliver Cromwell. Si tratta dell' episodio passato alla storia come Prima Rivoluzione inglese. Dopo numerose sconfitte il re fu catturato dagli scozzesi e consegnato al Parlamento nel 1647. Nel 1649 riuscì a fuggire ma fu nuovamente catturato e processato da un tribunale allestito dalla Camera dei Comuni pur con l' opposizione di quella conservatrice dei Lords. I resoconti del processo che portò infine alla decapitazione di Carlo I costituiscono alcuni dei più interessanti documenti per comprendere quale importanza la corte dei Comuni inglesi desse ai contratti di governo stipulati con la corona. Nel corso del processo, infatti, la Corte afferma più volte che neanche il sovrano è al di sopra delle leggi e che, anzi, egli deve governare nel pieno rispetto delle leggi stesse. E qui è chiaro il rimando alla mancata applicazione delle 'libertà' sancite dalla Magna Charta Libertatum, ribadite dalla Petition of Rights, e regolarmente non osservate dal sovrano. Inoltre essa ribadisce l' importanza del Parlamento, non convocato da Carlo I per ben undici anni, come suprema Corte di giustizia. Infine la Corte si spinge storicamente oltre la verità dei fatti sostenendo che il re è stato "chiamato" a regnare, affermazione che costituisce un importante appiglio per Carlo I per cercare di metterne in dubbio l' autorità e la credibilità, sua unica linea di difesa nel corso di tutto il processo. La Corte però afferma di operare nel nome di tutto il popolo inglese cui il re chiamato in giudizio risulta minore pur essendo un cittadino superiore agli altri singolarmente presi. Così Carlo I Stuart, il primo re della storia dell' Inghilterra a tradire apertamente i patti sottoscritti con i suoi sudditi fu decapitato in seguito a a sentenza pronunciata da un' alta Corte di nomina parlamentare. Successivamente per un decennio il governo fu assunto da Cromwell, il generale che con la sua 'New model army' aveva vinto la guerra civile. Questi istituì un regime repubblicano, il Commonwealth, nel tentativo di ridare importanza al Parlamento e abolì la chiesa anglicana di stato istituendo una avanzatissima libertà religiosa. Tuttavia, anche a causa di una politica estera aggressiva che coinvolse l' Inghilterra in continue guerre, la nuova repubblica voluta dal lord inglese si rivelò ancora una volta, nei fatti, un governo personale e autoritario. Così alla morte di Cromwell nel 1656 sfumò l' unico momento storico nel quale l' Inghilterra sarebbe potuta diventare una repubblica.

    LA RESTAURAZIONE DEGLI STUART E IL RITORNO DEI CONTRATTI DI GOVERNO
    Nel 1660 in Inghilterra fu restaurata la monarchia e con essa la dinastia degli Stuart nella persona di Carlo II Stuart, figlio di Carlo I e capo della resistenza monarchica alla repubblica di Cromwell. Così il processo rivoluzionario inglese si compì. Nonostante ai nostri occhi ciò possa sembrare un fallimento della rivoluzione storicamente non è tale. Le nostre categorie storiografiche, figlie della rivoluzione francese, ci hanno abituato a pensare alla rivoluzione come ad un cambiamento rapido, profondo e duraturo dello status quo. Al contrario gli inglesi vissero la rivoluzione in senso, si può dire, 'letterario': come un movimento circolare in cui al cambiamento delle cose seguisse il ritorno alla situazione passata. Carlo I si era macchiato del reato di aver deliberatamente ignorato i patti stipulati con i suoi sudditi e di aver così violato la stato delle cose che durava in Inghilterra da oltre quattro secoli. Per questo si era resa necessaria una rivoluzione che riportasse la situazione allo stato precedente al colpo si stato del sovrano. E così fu: Carlo II divenne re sotto giuramento di rispettare le garanzie costituzionali concesse alla vigilia della restaurazione, tra le quali spiccava una moderata libertà religiosa.
    Tuttavia egli, come il padre, esercitò una politica assolutistica esautorando il Parlamento per lunghi periodi. Inoltre tentò una grande restaurazione cattolica alla quale il Parlamento rispose con il Test act del 1673 che escludeva proprio i cattolici dagli uffici pubblici. Morto Carlo II gli succedette al trono suo figlio, Giacomo II, che tentò una nuova restaurazione cattolica. A questo ulteriore atto di prevaricazione delle camere, delle leggi e degli accordi di governo il Parlamento rispose allontanando Giacomo II e dichiarandolo decaduto dalla carica di re. Al suo posto instaurò come regnanti Maria, figlia di Giacomo II, e suo marito, Guglielmo III d' Orange, statolder di Olanda, ricorrendo al più significativo dei contratti di governo dell' Inghilterra nell' epoca moderna: il Bill of Rights. Questo episodio è passato alla storia come Seconda rivoluzione inglese o 'gloriosa rivoluzione', poiché non comportò spargimenti di sangue. Il Parlamento inglese riuscì infatti a vincere i tentativi assolutistici di re Giacomo II semplicemente allontanandolo e instaurando al suo posto sua figlia e suo genero facendo loro sottoscrivere un nuovo contratto di governo e, soprattutto, senza dover impugnare le armi. Nella 'gloriosa rivoluzione' non fu insomma l' istituzione della monarchia ad essere messa in discussione quanto piuttosto un singolo sovrano che aveva cercato di ignorare gli accordi presi dalla corona con i suoi sudditi.
    Il Bill of Rights del 1689 rappresenta per molti versi il contratto di governo più importante della storia inglese. Un vero e proprio patto vincolante per i nuovi sovrani. Grazie ad esso, infatti, per la prima volta nella storia inglese sono esplicitamente i Lords spirituali e temporali e i Comuni riuniti in un Parlamento legittimato da elezioni, seppure a base fortemente censuaria, ad insediare i sovrani d' Inghilterra, nelle persone di Guglielmo d' Orange e Maria Stuart. Inoltre il loro insediamento è esplicitamente subordinato all' osservanza da parte dei nuovi sovrani di tutte le rivendicazione espresse nei tredici punti della Carta dei diritti. Tra esse spicca la prima che afferma che "il preteso potere di sospendere le leggi, o l' esecuzione delle leggi, per autorità regia, senza il consenso del Parlamento è illegale. Che il preteso potere di dispensare dalle leggi, o dall' esecuzione delle leggi, per autorità regia, come è stato affermato ed esercitato recentemente (da Giacomo II e prima ancora da Carlo I ndr) è illegale". Poi si ribadiscono alcune antiche 'libertà', ovvero degli antichi privilegi, del Parlamento: quello secondo il quale il sovrano non può imporre nuove tasse senza l' approvazione delle camere e quello secondo il quale il re non può avere un esercito perennemente mobilitato se non in tempo di guerra. Inoltre il Parlamento ribadisce il diritto per i cittadini ad avere dei giusti processi; in più si affermano la libertà nell' elezione del Parlamento e la libertà di parola e di dibattito all' interno di esso.
    Insomma il Bill of Rights legava inscindibilmente l' attività della corona a quella del Parlamento trasformando definitivamente l' Inghilterra in una moderna monarchia parlamentare, dando nello stesso tempo i fondamenti del liberalismo inglese dei secoli successivi quando le 'libertà' di tipo feudale diventeranno autentiche libertà, per tutti.

    LE BASI FILOSOFICHE DEL CONTRATTUALISMO INGLESE: THOMAS HOBBES E JOHN LOCKE
    Nell' Inghilterra del XVII secolo le dottrine contrattualistiche trovano la massima espressione non solo nella pratica di governo con i contratti tra re e Parlamento, ma anche nella loro dimensione puramente filosofica. Nella tradizione filosofica inglese di epoca moderna si segnalano infatti i due padri del contrattualismo: Thomas Hobbes e John Locke, in ordine cronologico. L' evoluzione nel pensiero contrattualista da Hobbes a Locke riflette diacronicamente lo sviluppo storico inglese e dimostra come, nel contempo, nel XVII secolo in Inghilterra gli sviluppi storico-politici avessero una forte base filosofica alle spalle.
    Thomas Hobbes nasce nel 1588 e pubblica la sua opera più importante, il "Leviatano", nel 1651, ovvero all' epoca della prima rivoluzione inglese, solo due anni dopo la storica condanna a morte di re Carlo I. Pensatore partigiano della monarchia assoluta, Hobbes cerca di conferirle un fondamento legittimante nel contrattualismo. Con la sua riflessione si apre 'ufficialmente' il dibattito filosofico sulla natura della legittimità del potere monarchico: come già detto infatti le spiegazioni contrattualistiche appaiono quando il riconoscimento della natura divina del potere del monarca viene a scomparire. E' proprio in quel momento storico che diviene necessaria una "razionalizzazione del potere", come la chiama Portinaro, ovvero una ricerca di fonti che lo legittimino: se il 'mito' del potere divino, e perciò assoluto, mostra la sua insufficienza, allora i pensatori filo-monarchici come Hobbes devono trovare nuovi fondamenti per tutelare l' istituzione della corona. Ovviamente il problema appena illustrato è di antica origine, soprattutto in Inghilterra: proprio in questo senso si può leggere l' approvazione della Magna Charta Libertatum. E' però altresì evidente che esso si presenta in maniera ben più imponente in un momento di crisi delle autorità quale il contesto rivoluzionario della metà del '600 in Inghilterra. Così l' obiettivo di Hobbes è quello di passare da un potere regale di tipo tradizionale a uno di tipo legale-razionale, senza però cambiarne le prerogative assolute. Ed è qui che sta l' insufficienza del pur fondamentale pensiero del filosofo inglese padre del contrattualismo.
    Hobbes cerca i fondamenti della necessità del contratto sociale nello stato di natura collegandosi così alla dottrina filosofica che sta alla base del contrattualismo, ovvero il giusnaturalismo. Tale dottrina, che trova in Jean Bodin e Ugo Grozio i suoi massimi esponenti nel '500-'600, postula l' esistenza di un diritto naturale anteriore alle stesse leggi delle quali dovrebbe anzi essere il fondamento. Essa teorizza così l' esistenza di una serie di diritti inalienabili dell' uomo delegittimando teoricamente l' assolutismo regio. La dottrina giusnaturalistica costituirà proprio con il contrattualismo la base filosofica per le grandi dichiarazioni dei diritti di fine '700. Ovviamente Hobbes, con il fine di legittimare la monarchia assoluta, fornisce una nuova chiave di lettura dei diritti naturali dell' uomo e dello stato di natura. Egli infatti sostiene che lo stato di natura corrisponde a uno stato di guerra permanente, tutti contro tutti, che è necessario superare per costruire la società. Lo stato di natura contrappone tra loro gli uomini e genera parallelamente in essi il terrore della morte: "l' uomo è un lupo per l' altro uomo", sostiene Hobbes. Per queste ragioni, secondo il filosofo inglese, si rende necessario un contratto tra gli individui i quali rinunciano ai loro diritti naturali a vantaggio di un terzo estraneo, lo Stato, il "grande Leviatano" , rappresentato spesso come un' enorme balena che assorbe tutto. In cambio lo stato, utilizzando i poteri pubblici che gli derivano dalla cessione dei diritti individuali di ciascuno, garantisce la sicurezza della collettività e del suo unico diritto residuo: quello alla vita. Questa impostazione, secondo Hobbes, è anche una ricetta contro la tirannia, fonte di insicurezza e, quindi, di rottura del contratto e della fine della legittimazione razionale del potere dello Stato. Ovviamente l' enorme potere che Hobbes vede concentrato legittimamente secondo contratto nelle mani del 'Leviatano' è sottointeso essere nelle mani di colui che è a capo dello Stato, ovvero il re.
    Appare evidente l' importanza di queste teorie in un momento storico nel quale il re era appena stato giustiziato per aver esercitato per anni un potere assoluto, ovvero sciolto dalle limitazioni previste dai contratti di governo e dal potere del Parlamento. Hobbes si produce in un tentativo di legittimazione teorica del potere assoluto del sovrano al fine di perorarne una restaurazione. Appare però altrettanto evidente come il suo pensiero risulti superato dagli avvenimenti che si susseguirono nel XVII secolo e che portarono infine alla nascita di una compiuta monarchia parlamentare in Inghilterra. Detto questo occorre anche riconoscere che le riflessioni di Hobbes hanno il grande merito di aver posto al centro del dibattito filosofico il tema della legittimazione razionale del potere e di aver costituito la prima forma di contrattualismo teorico compiuta, aprendo la strada a Locke, oltre ad aver introdotto il concetto di legittimazione popolare, anche se solo in un momento pre-contrattuale.
    John Locke, che nasce nel 1632 e scrive intorno al 1690, è unanimemente riconosciuto come il filosofo della seconda rivoluzione inglese e come il padre del liberalismo. La sua opera più importante, il "Secondo trattato sul governo" o "Saggio sul governo civile", si muove nel solco delle dottrine contrattualistiche e si dimostra come una naturale evoluzione di stampo liberale del pensiero di Hobbes. Locke ha anch' egli come punto di partenza per la sua riflessione lo stato di natura e i diritti naturali dell' individuo che, però, riconosce come inalienabili perchè insiti nella natura stessa dell' essere umano: questi diritti sono per Locke l' integrità personale e la proprietà privata derivante dal lavoro. Per questo egli è a ragione considerato il padre del liberalismo individualistico. I diritti inalienabili dell' individuo devono essere sanciti con dei contratti di governo e qualora il governo, nel caso inglese il sovrano, non li rispetti, il popolo è autorizzato a ribellarsi grazie al diritto alla disobbedienza civile. Insomma la riflessione di Locke è una grande arma contro l' assolutismo e per questo si pone in contrasto con il pensiero di Hobbes.
    Così come appariva evidente l' importanza del pensiero di Hobbes nel contesto delle prima rivoluzione inglese altrettanto appare basilare l' apporto teorico di Locke nel contesto della 'gloriosa rivoluzione'. Le conclusioni a cui arriva il Bill of Rights, le sue conquiste di tipo liberale, il diritto alla delegittimazione popolare del sovrano assoluto, espresso già nel processo a Carlo I e poi nella destituzione di Giacomo II, trovano infatti la loro definitiva legittimazione filosofica nel pensiero del padre del liberalismo, l' inglese John Locke.
    Le riflessioni di Hobbes prima e di Locke poi costituiranno nei successivi secoli la base per le riflessioni che porteranno all' elaborazione compiuta del concetto si sovranità popolare, su tutte quella di Jean-Jacques Rousseau, che troverà la sua espressione politica inizialmente nella Rivoluzione francese e poi nel contrattualismo inglese di epoca contemporanea.

    DAL CONTRATTUALISMO AL COSTITUZIONALISMO: L' INGHITLERRA IN PROSPETTIVA COMPARATA
    Dopo aver illustrato i principali contratti di governo inglesi di epoca medievale e moderna e averne ricercato le basi filosofiche in due grandi pensatori, sarà ora mio intento fornire una convincente chiave di lettura di essi come documenti che hanno aperto la strada al costituzionalismo in Inghilterra. Cercherò inoltre di dimostrare come, proprio grazie ai contratti di governo, il caso inglese si sia domostrato nel suo percorso e nei suoi sviluppi assai differente da quello di altri paesi nel percorso che porta ad un moderno stato costituzionale e liberale.
    Per farlo credo sia utile partire dalla definizione di contrattualismo, ovvero: "complesso dei principi e delle regole che contraddistinguono la forma di governo detta costituzionale, sorta come reazione allo stato assoluto e fondata su un insieme di norme stabili, scritte e contenute appunto in una costituzione". Il concetto di costituzionalismo, categoria storica e storiografica su cui gli storiografi hanno a lungo dibattuto, è ora quasi unanimemente messo in stretta correlazione con la libertà e, soprattutto, con la separazione dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Insomma, le caratteristiche di uno stato che si fonda sulla dottrina costituzionalista sono: separazione dei poteri come risposta all' assolutismo monarchico, libertà e presenza di norme scritte in una costituzione, tre elementi che l' Inghilterra ha sviluppato per prima proprio grazie ai contratti di governo, alle Carte di cui ho già avuto modo di parlare.
    Partiamo dalla separazione dei poteri. In Inghilterra il Parlamento fa la sua comparsa ufficialmente, ovvero in un contratto di governo, già con la Magna Charta Libertatum seppur ad uno stadio embrionale. Il Consiglio comune del regno infatti, come detto, sarà il nucleo del futuro Parliament inglese. Proprio con esso inizia la compartecipazione delle Camere al potere legislativo e a quello giudiziario che, insieme all' esecutivo, erano da sempre stati ad appannaggio del sovrano assoluto. Le altre Carte hanno seguito nei secoli la medesima linea. Con la Petition of Rights e, soprattutto, con il Bill of Rights il Parlamento inglese ha rivendicato e ribadito l' impossibilità del sovrano di legiferare senza l' approvazione del Parlamento.
    Per quanto riguarda il potere giudiziario il solo fatto che un re sia stato processato e condannato a morte da una Corte di nomina parlamentare indica che non era più nelle mani della corona fin dal XVI secolo. Dunque solo il potere esecutivo rimane nelle mani del sovrano. Per quanto riguarda le obiezioni circa l' esistenza di poteri legislativi concorrenti al Parlamento in Inghilterra risultano convincenti le contro-argomentazioni del costituzionalista Albert Dicey: Egli sostiene: "il Parlamento inglese, ovvero l' unione del re e delle Camere (il 'king in Parliament') non ha più avuto poteri concorrenti legalmente dall' abrogazione dell' Atto 31 del 1539" di Enrico VIII, avvenuta nel 1610. L' Atto 31 conferiva alla corona il diritto di legiferare da sola, tramite proclami. Dopo decenni di contestazioni fu abolito da una corte di giudici che lo decretarono incompatibile con la separazione dei poteri e con il ruolo del Parlamento, detentore unico del potere legislativo. I tentativi dei sovrani di scavalcare il Parlamento e la sua autorità dopo la sentenza del 1610 sono da considerarsi illegali. Insomma si può con sicurezza affermare che la separazione dei poteri in Inghilterra, iniziata con la Magna Charta Libertatum, trova definitivamente le basi per il suo compimento ottocentesco già nel Bill of Rights.
    Per quanto riguarda la libertà le sue origini in Inghilterra vanno ancora una volta ricercate nella Magna Charta Libertatum. Qui troviamo teorizzate per la prima volta in maniera scritta le 'antiche libertà' dei lords inglesi, che all' epoca non erano che privilegi di tipo feudale. Tuttavia con il Bill of Rights e con la filosofia liberale di Locke esse iniziano a diventare il nucleo della libertà individuale, civile e politica, dei cittadini inglesi che, nel corso dell' '800 e del '900, saranno progressivamente compresi nel computo dei cittadini a tutti gli effetti. Per questi motivi si può affermare che il concetto di libertà sia stato introdotto con forza dai contratti di governo medievali e di epoca moderna.
    Infine, per quanto riguarda la presenza di norme scritte raccolte in una carta costituzionale, i contratti di governo sono le prime. L' Inghilterra infatti non ha una vera e propria Costituzione, ma si basa su un insieme di Carte sovrapposte che trovano la loro legittimità nel diritto consuetudinario inglese. Esse sono sempre valide, salvo una loro abrogazione e, dato che i contratti di governo di cui abbiamo parlato non sono mai stati abrogati, essi sono appunto da considerare le prime Carte di quella che possiamo chiamare la 'Costituzione inglese'.
    Per tutti questi motivi si può sostenere con convinzione che è proprio grazie agli accordi presi nelle Carte di governo che l' Inghilterra ha abbracciato, per prima e in maniera pressoché completa nelle sue linee di base, il costituzionalismo.
    La particolarità che rende il caso inglese estremamente interessante dal punto di vista storiografico è che l' approdo inglese al costituzionalismo e a un moderno stato parlamentare e liberale è avvenuto con anticipo rispetto al resto d' Europa e, soprattutto in maniera (quasi) sempre pacifica e graduale, attraverso patti e compromessi. La stessa prima rivoluzione inglese, unico momento di aperto conflitto tra istituzioni nel percorso inglese verso la democrazia liberale e la monarchia parlamentare costituzionale, scoppiò per la responsabilità personale di un sovrano che volle prevaricare i contratti sottoscritti dalla corona.
    Questo particolare percorso verso il moderno costituzionalismo è pressoché unico nel contesto europeo, (e non solo europeo), di epoca moderna e, perciò, fonte di grande dibattito storiografico. La spiegazione storica più diffusa, ma insufficiente, è quella che vede nell' insularità dell' Inghilterra la principale ragione della sua straordinaria peculiarità. Ma, andando più a fondo, emergono ben altre ragioni oltre a quella dell' isolamento geografico.
    Compagna evidenzia: "nel costituzionalismo inglese manca un elemento portante: il potere costituente", fondamentale nel caso della Francia e in quello dell' America post-rivoluzionarie. Ciò fa sì che studiosi come Sieyès definiscano "vero costituzionalismo" solo quello francese e americano. Tuttavia l' Inghilterra non ha avuto un potere costituente solo perchè non ne ha mai avuto davvero la necessità storica. L' Inghilterra, come afferma Burke, ha contrapposto ai cambiamenti tumultuosi e violenti del resto del mondo una valorizzazione costante degli insegnamenti dell' esperienza. Ha prediletto la conservazione e il compromesso ai cambiamenti ex novo e alle insurrezioni armate. Ha preferito mantenere i poteri tradizionali venendo a patti con essi invece che combatterli e cambiarli. Ha preferito avere fiducia nella tradizione che nella ragione.
    Così facendo gli inglesi hanno lasciato il primato culturale e teorico al sentiero francese e, in parte, americano; in compenso hanno costruito un percorso assolutamente lineare e senza spargimenti di sangue, fatta eccezione per il caso della rivoluzione di Cromwell che, per i motivi già detti, può essere considerata una sorta di "eccezione che conferma la regola". Ma un altro elemento ha contraddistinto il sentiero inglese verso il costituzionalismo, ovvero la capacità dei lords di non scendere mai a compromessi che rappresentassero un passo indietro rispetto alle conquiste già ottenute. La capacità di guardare sempre in avanti e mai indietro ha permesso agli inglesi di precedere di diversi secoli i francesi, i tedeschi, gli spagnoli e gli italiani nell' approdo a un moderno stato costituzionale e parlamentare; parallelamente ciò li ha messi al riparo da ogni rovescio di stampo totalitario o autoritario.
    Non è un caso che, nel corso del '900, l' unica nazione europea per nulla tentata dai venti totalitari che spiravano nel vecchio continente sia stata l' Inghilterra: quel vento non potè scalfire le basi rocciose e secolari su cui si era progressivamente sedimentata in oltre sette secoli la democrazia liberale, parlamentare e costituzionale inglese.

    FONTI BIBLIOGRAFICHE:
    -A. De Benedictis, "Politica, governo e istituzioni nell' Europa moderna", il Mulino, Bologna 2001
    -Enciclopedia della storia a cura di Renzo De Felice e altri, De Agostini, Novara 1995
    -G. Dall' Olio, "Storia moderna", Carocci, Roma 2004
    -A. Giardina, "Profili storici", Laterza, Roma 2004
    -M. Lallement, "Le idee della sociologia", Edizioni Dedalo, Bari 1996
    -Albert V. Dicey, "Introduzione allo studio del diritto costituzionale-Le basi del costituzionalismo inglese", il Mulino, Bologna 2003
    -L. Compagna, "Gli opposti sentieri del costituzionalismo", il Mulino, Bologna 1998
    -P. Portinaro, "Stato", il Mulino, Bologna 1999
     
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    ho riletto questo bel lavoro di Oskar perchè volevo fare alcune segnalazioni sul tema della restaurazione degli Stuart , ma con troppe poche documentazioni - a mio avviso- per aprire una discussione ad hoc . meglio riprendere questo bel lavoro.
    purtroppo una bellissima puntata di aC dC su Rai Storia con Barbero andata in onda venerdì 4 e sabato 5/8/23 non è (ancora?) disponibile per l' ascolto (non ho capito con quale criterio Ray replay rende alcuni programmi riproducibili ed altri no).
    Devo dire che la curiosità mi era venuta leggendo un romanzo storico di Robert Harris "oblio e perdono" che parte da fatti reali confermati sia da alcuni testi che dalla trasmissione citata : dopo la restaurazione di Monck Carlo II e e lealisti accettarono una amnistia generalizzata (l'oblio e perdono di cui al titolo del romanzo) meno che per una cinquantina di esponenti del "partito del parlamento" considerati "regicidi" . Quelli già morti subirono la devastazione delle salme , quelli vivi sottoposti a un supplizio particolarmente raccapricciante (iniziati ad essere impiccati, rianimati, castrati , sventrati, finalmente decapitati e poi smembrati. Questo supplizio fu abolito in GB solo all'inizio dell'800) che la trasmissione rai edulcora, ma di cui ho trovato conferma.
    Alcuni dei regicidi fuggirono all'estero o nelle colonie americane e il romanzo parla della caccia che subirono due di essi nei territori dei futuri Stati uniti . E' la parte, a mio avviso, più interessante del romanzo con una descrizione abbastanza realistica dei rapporti fra madre patria e colonie nel XVII secolo, non facilmente reperibile. Nella nota finale Harris illustra l'esito storicamente accertato di quella caccia e ciò che ha aggiunto lui per fini narrativi.
    Un elemento storico illustrato dalla trasmissione RAI e che non conoscevo se non per accenni è la contrapposizione fra il periodo di Cromwell particolarmente austero nell'ottica puritana , con fortissime limitazioni allo spettacolo, comprese le celebrazioni del Natale e l'esplosione culturale successiva alla reastuarazione , sconfinando nell'edonismo, specie a corte
     
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    Buon lavoro, quello di Oskar, non l'avevo letto.

    Carlo II fu infatti soprannominato Merrie Monarch , lodato dai Tory e accusato di autoritarismo e bellicismo dai Whig .
    E sì, la vita culturale riprese senz'altro; quanto alla moralità si passò forse da un eccesso all'altro. Il re dette per così dire il buon esempio: privo di figli legittimi, ne ebbe ben dodici dalle varie relazioni.
     
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    spero per l'Inghilterra una monarchia medievali impostata su Re e Famiglia, come dovrebbe essere
     
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