L'ITALIA ENTRA IN RECESSIONE

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  1. lupog
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    Anche l'Italia dopo la Germania entra in recessione. Secondo le stime dell'Istat c'è stata una contrazione del Pil per il secondo trimestre consecutivo: -0,5% nel terzo trimestre dopo il -0,3% del trimestre precedente. E quando si ha una caduta del Pil per due trimestri consecutivi si deve parlare di recessione tecnica. Non è che gli altri paesi dell'Europa se la passino molto meglio: Gran Bretagna e Spagna anch'esse hanno fatto registrare delle contrazioni del PIL nel terzo trimestre rispetto al secondo trimestre, e ci si aspetta che entrino in recessione anch'esse nel quarto trimestre; la Francia ha avuto una crescita di un misero 0,1% ed è probabile che anch'essa cominci a osservare dei segni meno a partire dal quarto trimestre. nessuno sa quanto durerà. Tutti si aspettano che la recessione prosegua a causa della stretta del settore creditizio seguita alla crisi dei mutui. E potremmo essere solo all'inizio perchè si teme che la crisi possa allargarsi al settore dell'hedge funds ( i fondi speculativi) e quello delle carte di credito.
    E nel frattempo non si capisce quale misure voglia adottare il governo per limitare gli effetti della recessione. Il governo ha fatto bene ha garantire a suo tempo le banche ma queste misure non sono sufficienti a difendere l'economia reale. Tremonti aveva previsto la crisi, ma da un ministro dell'Economia è dovveroso attendersi anche delle misure idonee ad affrontarla.
    http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsID=88271


    ASCOLTA IL COMMENTO DI FRANCESCO DAVERI SU LAVOCE.INFO
     
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  2. silvercloud87
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    Sempre un passo in dietro, sempre la periferia d'Europa purtroppo. Non è un attenuante il fatto che gli altri paesi abbiano una similare recessione o crisi strisciante. Il fattore distintivo è che l'Italia crescere sempre meno degli altri, e decresce sempre di più rispetto al resto d'Europa, ovviamente l'Europa forte, non la Grecia.
     
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  3. lupog
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    RISTRUTTURARE LA SPESA CONTRO LA CRISI

    di Tito Boeri

    E' possibile intervenire per ridurre l'entità e la durata della recessione senza peggiorare i conti pubblici del dopo-crisi. Ma bisogna concentrare le poche risorse disponibili su due o tre misure destinate a durare nel tempo. Le briciole sparse per accontentare un po' tutti che sono state elencate all'incontro del governo con le parti sociali sono inefficaci. Le coperture delle politiche espansive dovranno essere parimenti selettive. Si può sfruttare la recessione per avviare un processo di ristrutturazione della spesa pubblica che porti a consistenti risparmi nel corso del tempo, non necessariamente subito.

    Il governo ieri sera ha presentato un piano di 3-4 miliardi di euro per contrastare la recessione. Sono troppo pochi e vengono dispersi, come al solito, in mille rivoli. Quindi saranno del tutto inefficaci. È possibile invece attuare interventi più ambiziosi senza mettere a rischio i nostri conti pubblici. Per farlo però ci vogliono due condizioni. La prima è saper scegliere le priorità, le cose da fare e quelle da non fare. Solo pochi interventi mirati, consistenti e duraturi sono in grado di avere un impatto sul comportamento di famiglie e imprese riducendo la durata della crisi, contribuendo in questo modo a migliorare i nostri conti pubblici. La seconda condizione è saper approfittare della recessione per rimettere la casa in ordine, come stanno facendo tutte le famiglie e le imprese italiane. È possibile avviare subito un processo di ristrutturazione della spesa pubblica che porti a risparmi consistenti quando saremo usciti dalla crisi. Nessuno ci chiede di ridurre il nostro indebitamento oggi, nel mezzo della crisi. Possiamo permetterci di agire su due tempi: oggi stimolare l’economia, preparando le condizioni per riduzioni di spesa che si materializzeranno domani, completando il risanamento dei nostri conti pubblici.

    I VERI VINCOLI SONO POLITICI

    L’impressione è che i veri vincoli contro i quali oggi si scontra l’azione di governo siano politici. Da settimane si succedono gli annunci di grandi piani a sostegno di banche, imprese e famiglie o per grandi infrastrutture. Poi, tutti questi piani faraonici, il giorno prima di essere varati, vengono rinviati o derubricati. Il fatto è che non si è trovata una sintesi. I costi delle indecisioni sono altissimi. In un periodo in cui grande è solo l’incertezza, con le famiglie italiane terrorizzate dalla crisi, questi continui rinvii alimentano il sospetto che alla fine tutti questi annunci si risolveranno nel nulla. Così le banche continuano a disfarsi di attività e a stringere il credito, le imprese a tagliare costi e personale e le famiglie a stringere la cinghia.

    QUALI PRIORITÀ NEL CONTRASTARE LA RECESSIONE?

    La riforma degli ammortizzatori sociali, come ormai riconosciuto da tutti (incluso il Fondo monetario internazionale)è la priorità numero uno per il nostro paese. Ma non per il ministro del Welfare. Secondo Maurizio Sacconi ci sono al massimo le risorse per ampliare i cosiddetti “fondi in deroga” e per concedere una copertura una-tantum “di emergenza” ai lavoratori del parasubordinato. (1) Chi propone una riforma definitiva degli ammortizzatori sociali, sempre secondo il ministro, “non si confronta con i numeri di finanza pubblica”.
    Vediamoli allora questi numeri. Nel 2009 scadranno titoli di Stato per un quinto del nostro debito. La crisi ha fatto scendere il loro rendimento di circa uno-due punti, a seconda delle scadenze. Come stimano Angelo Baglioni e Luca Colombo su lavoce.info questo significa risparmi dell’ordine di 3,8 miliardi di euro di spesa per interessi sul debito. Sommando a questi le risorse che si risparmierebbero abrogando l’anacronistica detassazione degli straordinari, che sta contribuendo a distruggere posti di lavoro, vorrebbe dire avere a disposizione più di 4 miliardi di euro per riformare gli ammortizzatori. Bastano e avanzano per introdurre un sussidio unico di disoccupazione allargato ai lavoratori parasubordinati (costo nella recessione di 2 miliardi e mezzo) e per allungare i sussidi forniti ai lavoratori delle piccole imprese (circa un altro miliardo e mezzo di euro). A regime, queste risorse potranno essere reperite razionalizzando la spesa per le cosiddette politiche attive, molto costose e di dubbia efficacia, specie in periodi di recessione. Quindi la riforma degli ammortizzatori si può fare senza aumentare le spese rispetto a quanto previsto a settembre. Se non la si fa, è per pura scelta politica.

    CI SONO RISORSE PER ALTRI INTERVENTI?

    I nostri conti pubblici sono fortemente peggiorati nel 2008. Il rapporto deficit-Pil è quasi raddoppiato dal 2007 (1,6 per cento) al 2008: dovrebbe attestarsi al 2,7-2,8 per cento. Non è solo colpa della congiuntura. Nel 2008 le entrate fiscali sono cresciute meno che in passato in rapporto all’andamento dell’economia e dei prezzi. Soprattutto le entrate dell’Iva sono state deludenti. Il governo ha abolito una serie di misure anti-evasione introdotte nella passata legislatura: dall’obbligo di tenere l’elenco clienti fornitori alla tracciabilità dei compensi, dall’innalzamento del tetto per i trasferimenti in contante all’eliminazione dell’invio telematico dei corrispettivi. Il messaggio di lassismo fiscale è stato forte e chiaro, anche alla luce delle decisioni dell’attuale ministro dell’Economia nel quinquennio 2001-6.
    L’aumento dell’evasione finisce anche oggi per concentrare il prelievo fiscale sul lavoro dipendente, la cui quota sulle entrate tributarie dovrebbe quest’anno raggiungere il massimo assoluto: 26,5 per cento, più di un euro su quattro. Quindi le minori entrate non riducono la necessità di riduzioni del carico fiscale del lavoro dipendente, che finirebbero per beneficiare subito le famiglie e, gradualmente, anche le imprese. Ad esempio, un incremento permanente di 500 euro delle detrazioni fiscali a favore di lavoratori dipendenti e parasubordinati costerebbe circa 6 miliardi. Sarebbe di gran lunga più efficace di interventi estemporanei, che essendo percepiti come tali, finirebbero per alimentare soprattutto i risparmi delle famiglie. L’aumento delle detrazioni beneficerà soprattutto chi ha redditi più bassi, stimolando maggiormente i consumi.

    COME FINANZIARE LE RIDUZIONI DEL PRELIEVO SUL LAVORO?

    Sia la Commissione europea che il Fondo monetario internazionale ci chiedono di rinviare l’aggiustamento a dopo il 2009. Si potranno trovare le coperture dopo. Ma questo non significa non cercare subito di procurarsele. Al contrario, bene approfittare della crisi per avviare un processo di ristrutturazione della spesa pubblica che può portare a consistenti risparmi e a un miglioramento dei servizi forniti ai cittadini. Si tratta qui di entrare nei dettagli, capitolo di spesa per capitolo. Non sono possibili generalizzazioni. Solo il metodo è lo stesso. Occorre individuare i tagli di spesa fatti bene, che permettano riduzioni di tasse migliorando la qualità dei servizi resi ai cittadini, rimuovendo i vincoli legislativi e agendo sugli incentivi delle amministrazioni e sul controllo sociale che viene esercitato su di loro dalle famiglie. Nelle prossime settimane cominceremo a fare questa ricognizione, prendendo in considerazione una varietà di voci. Partiremo da scuola ed edilizia scolastica (il 9 per cento del bilancio dello Stato) per occuparci poi di giustizia (1,6 per cento), trasporti (1,7 per cento), infrastrutture (0,8 per cento), ordine pubblico e sicurezza (2 per cento) previdenza (14,7 per cento) e, infine, rapporti con le autonomie locali (22,6 per cento). In tutto copriremo così più del 50 per cento del bilancio pubblico, addirittura due terzi di quello al netto degli oneri sul debito.

    fonte: LAVOCE.INFO
     
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  4. lupog
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    PERCHE' LE GRANDI OPERE NON SERVONO CONTRO LA RECESSIONE

    Il ponte di Donghai, vicino a Shanghai (oltre 32 chilometri, a 8 corsie, sul mare) è stato costruito in 3 anni e 6 mesi circa. In Italia, in quei tempi si costruiscono, in media, solo infrastrutture di trasporto di valore compreso tra 10 e 50 milioni di euro (45 milioni ci vogliono per un km di alta velocità ferroviaria, tanto per intendersi). Se si guarda non solo ai tempi di costruzione ma anche a quelli di progettazione e appalto, bisogna aggiungere altri 3 anni e 4 mesi, per un totale di circa 7 anni. Per opere di valore superiore ai 50 milioni di euro (cioè per i lotti di opere sul serio “grandi”) i tempi di realizzazione salgono a 10 anni e 8 mesi, di cui 4 anni e tre mesi per la progettazione e l’appalto.
    Questi dati sono contenuti in uno studio (del novembre 2007) condotto dal Dipartimento per le politiche dello sviluppo del Ministero dello sviluppo economico. Studio, peraltro, ormai rimosso dal sito internet del Ministero. Sono dati su cui dovrebbe riflettere chi invoca più spese per nuove grandi opere come strumento anti-recessione. La riflessione potrebbe essere arricchita osservando che solo opere di valore inferiore al milione di euro vengono cantierate in poco più di un anno dall’approvazione e completate in 2 anni. Già per opere di valore compreso tra 1 e 2,5 milioni l’effettiva costruzione inizia solo dopo oltre 2 anni. In generale, quindi, la spesa per nuove grandi opere sarà domanda effettiva solo quando, con ogni probabilità saremo fuori dalla fase negativa del ciclo. Morale: se si vuole veramente fare una politica fiscale anticiclica è bene dimenticare le grandi opere, a parte garantire le risorse per completare in tempi decenti quelle già cantierate. Se proprio si vuole spendere denaro in nuovi lavori pubblici, meglio finanziare piccole e piccolissime opere: per esempio le manutenzioni straordinarie delle scuole e degli ospedali. Di questi tempi, oltre a dare ossigeno subito al Pil, si rischia anche di salvare qualche vita umana da eventi troppo frequenti per essere definiti “fatalità”.

    FONTE: LAVOCE.INFO
     
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  5. Cornelio Scipione.
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    Berlusconi ha tolto i finanziamenti stanziati gòi incentivi a coloro che scelgono di costruire un impianto energetico che ricava energia rinnovabile, quindi: gli incentivi per i pannelli solari per l'acqua calda, per i pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, per piccoli impianti eolici a livello familiare, per la costruzione di impianti sempre a livello familiare che ricavano energia dal calore del sottosuolo...ecc

    anche questa manovra non aiuta certo a far tornare il PIL in positivo.

    sono d'accordo che qualche taglio è necessario..ma che credo i campi in cui questi vengono applicati , siano sbagliati!
     
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  6. lupog
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    MISURE ANTICRISI? MA LO STATO CI GUADAGNA

    di Tito Boeri 10.12.2008

    Il decreto anticrisi ha un saldo netto in positivo di 390 milioni. Un risultato sorprendente. Pur con la prudenza dovuta al livello del debito pubblico, sarebbe stato fondamentale aumentare la spesa pubblica o ridurre la pressione fiscale. Invece, il provvedimento prevede un incremento netto delle entrate, in gran parte tributarie, per compensare quello delle spese. In recessione l'unico modo per migliorare i conti pubblici è far ripartire l'economia. E il governo dovrà presumibilmente intervenire in corso d'opera perché le misure di spesa appaiono sotto finanziate.

    Grazie all’ottimo lavoro del servizio bilancio della Camera, abbiamo finalmente un quadro completo del decreto anticrisi varato quasi due settimane fa dal nostro Consiglio dei ministri. Il risultato è però sorprendente. Dopo che a Washington il 16 novembre scorso era stato annunciato dal ministro Tremonti un piano da 80 miliardi, ridotto solo tre giorni dopo a 12,7 miliardi, poi sceso a 7 miliardi, a 6,5 e, infine, il 29 novembre a 3,7 miliardi, ci ritroviamo ad avere un intervento a saldo zero. Più precisamente, il decreto anticrisi ha un saldo netto in positivo, tra variazioni nette nelle entrate e nelle uscite, di 390 milioni. Non solo non c’è una riduzione della pressione fiscale, ma vi è un incremento netto delle entrate, in gran parte tributarie, di 3 miliardi e mezzo che serve più che a compensare l’aumento netto delle spese.

    CRESCE SOLO LA BUROCRAZIA

    Dal punto di vista macroeconomico, questo significa che ci stiamo preparando alla peggiore recessione del Dopoguerra sparando a salve. Una manovra antirecessiva può, infatti, avere un significativo impatto macroeconomico solo se varia i saldi. In un contesto come quello attuale, sarebbe stato fondamentale aumentare la spesa pubblica o ridurre la pressione fiscale per rilanciare l’economia. Certo, tutto questo andava fatto con prudenza, dato il livello del nostro debito pubblico. E mettendo subito in atto piani che ci portassero, quando la crisi sarà finita, a finanziare stabilmente le minori entrate (o maggiori spese) decise oggi con riduzioni permanenti della spesa, come quelle che stiamo proponendo sulle varie missioni del bilancio pubblico. Il decreto anticrisi, invece, finanzia le maggiori spese con maggiori entrate, innalzando ancora di più la pressione fiscale. C’è da chiedersi come reagiranno gli altri governi del G20 e il Fondo monetario, che da tempo chiedono una forte azione di stimolo fiscale coordinata tra i diversi paesi, cui anche l’Italia è chiamata a dare un contributo.
    I dettagli riguardo all’impatto della manovra sul bilancio dello Stato (la tabella sul bilancio della pubblica amministrazione è più complessa, ma comunque consegna un saldo positivo) vengono forniti dalla tabella qui sotto. La parte del leone viene svolta dalla rivalutazione dei valori contabili Ias, una misura di riallineamento dei valori fiscali e contabili che in parte anticipa entrate future. Oggi, semmai, dovrebbe essere compiuta l’operazione opposta, immediate riduzioni di tasse oggi compensati da riduzioni di spesa domani. Vi sono poi circa 500 milioni che derivano da inasprimenti dell’Iva. Si noti che negli altri paesi si sta procedendo in direzione diametralmente opposta, riducendo l’Iva, come consentito dalla Commissione europea.
    Il decreto anticrisi si limita così a redistribuire risorse. E la redistribuzione, modesta peraltro, avviene con costi amministrativi molto elevati soprattutto in rapporto alle erogazioni concesse ai cittadini, come mettono in luce Massimo Baldini, Simone Pellegrino e Paola Monti. Si crea tanta burocrazia, ma nessun posto di lavoro con manovre di questo tipo. E non si offre protezione alla grande platea di lavoratori con contratti a termine che rischia di rimanere senza lavoro nei prossimi mesi.
    Si dirà che una manovra a saldo zero non peggiora i conti pubblici, a differenza di quanto sta avvenendo in altri paesi. Ma non è così. Primo, perché in fasi di crisi come questa i conti peggiorano comunque e l’unico modo per migliorarli è far ripartire al più presto l’economia, creando le condizioni per cui i tagli alle tasse e le nuove spese decise oggi siano sostenibili, possano durare nel tempo. Secondo, perché il governo rischia di doversi trovare fra qualche mese a spendere molto di più di quanto previsto. Le misure di spesa appaiono sotto finanziate: a esempio, stimiamo che la social card costerà almeno 600 milioni, 150 in più di quelli stanziati per questa misura. E i fondi aggiuntivi per gli ammortizzatori sociali non sono comunque adeguati, anche mantenendo le regole attuali, per tassi di disoccupazione a due cifre. Questo significa che il governo dovrà presumibilmente intervenire in corso d’opera, come esplicitamente previsto dal decreto attuativo della social card, per chiudere il rubinetto delle erogazioni oppure per ampliare le dotazioni dei vari fondi, rendendo così discorsivi gli effetti della spesa.

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    FONTE. LAVOCE.INFO
     
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  7. lupog
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    CROLLO DEL PIL: -5,9% NEL PRIMO TRIMESTRE


    Sulla base delle informazioni finora disponibili, nel primo trimestre del 2009 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2000, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito del 2,4 per cento rispetto al trimestre precedente e del 5,9 per cento rispetto al primo trimestre del 2008. Il risultato congiunturale del PIL è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto dell’agricoltura, dell’industria e dei servizi.

    Il primo trimestre del 2009 ha avuto una giornata lavorativa in meno rispetto sia al trimestre precedente sia al primo trimestre del 2008. Nel primo trimestre il PIL è diminuito in termini congiunturali dell’1,9 per cento nel Regno Unito e dell’1,6 per cento negli Stati Uniti. In termini tendenziali, il PIL è diminuito del 4,1 per cento nel Regno Unito e del 2,6 per cento negli Stati Uniti.

    FONTE: ISTAT

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    E' il peggior risultato dal 1980. E andiamo molto peggio rispetto a Usa e GBR :(
     
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  8. _SmokY_
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    Me ne sono accorto ma dovrebbe esserci una piccola ripresa da giugno, almeno così si vocifera :)
     
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  9. Armilio
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    Ripresa che accomunerà tutti i paesi occidentali. Com'era prevedibile il fatto che l'italia soffrisse meno era una cavolata, non avremmo avuto crolli finanziari, ma l'export(per noi molto importante) gambizzato e alle un declino quindicennale sì.
     
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  10. lupog
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    ho molti dubbi che la ripresa ci sia e in così breve tempo...... non vorrei che ci venisse spacciato un crollo meno verticale di quello attuale come l'inizio della ripresa.....

    E nel frattempo il nostro presidente del Consiglio visto che evidentemente le misure da lui prese non solo non funzionano ma ottengono risultati peggiori di tutti gli altri paesi ( Germania esclusa), dovrebbe indicare quali provvedimenti intende prendere oltre alle solite sterili dichiarazioni di ottimismo di maniera.

    Sarebbe opportuno che l'opinione pubblica si facesse un pochino più sentire.

    Edited by lupog - 15/5/2009, 20:38
     
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  11. Armilio
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    CITAZIONE (lupog @ 15/5/2009, 19:22)
    ho molti dubbi che la ripresa ci sia e in così breve tempo...... non vorrei che ci venisse spacciato un crollo meno verticale di quello attuale come l'inizio della ripresa.....

    E nel frattempo il nostro presidente del Consiglio visto che evidentemente le misure da lui prese non solo non funzionano ma ottengono risultati peggiori di tutti gli altri paesi ( Germania esclusa), dovrebbe indicare quali provvedimenti intende prendere oltre alle solite sterili dichiarazioni di ottimismo di maniera.

    Sarebbe opportuno che l'opinione pubblica si facesse un pochino più sentire.

    Bhè questo è ovvio! la ripresa è un crollo meno verticale...
     
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  12. lupog
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    CITAZIONE (Armilio @ 15/5/2009, 21:20)
    la ripresa è un crollo meno verticale...

    qui sta la fregatura.... la ripresa significa avere tassi di crescita rilevanti in modo da recuperare il crollo attuale.

    faccio un esempio chiarificatore: si prevede per l'Italia una caduta del 4, 6% del PIL per il 2009, e una crescita 0- 0,1 % nel 2010. Quella crescita ridottissima del 2010 avrebbe come parametro di riferimento i valori del 2009. Quindi si rimarrebbe sullo stesso livello di PIL dell'attuale recessione.
    Se tu un giorno caschi in un pozzo profondo centinaia di metri non credo che ti sentiresti consolato se chi ti deve soccorrere ti dovesse indicare come segno di ottimismo il fatto che più in basso non puoi cadere , perchè l'urgenza è quella di tirarti fuori dal pozzo al più presto prima di tirare le cuoia. :) Con l'economia è lo stesso: uscire fuori dal fondo in cui ci si è cacciati al più presto e in maniera vigorosa è l'ossigeno per le nostre imprese sopratutto perché se gli altri paesi riusciranno a farlo prima di noi , questo significherà perdere parecchio in competitività .
    E bisognerebbe cominciare a incalzare il nostro premier su quali soluzioni ha in mente visto che peggio di noi sta solo la Germania che ha un governo di grande coalizione in scadenza di mandato. ( per il bundestag si voterà in autunno)

    Liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro, corretto utilizzo delle risorse pubbliche per reinvertire il ciclo economico. Ci si può muovere in molti punti e molto meglio di come ha fatto sinora il governo

    Edited by lupog - 16/5/2009, 00:05
     
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  13. Armilio
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    CITAZIONE (lupog @ 15/5/2009, 21:55)
    CITAZIONE (Armilio @ 15/5/2009, 21:20)
    la ripresa è un crollo meno verticale...

    qui sta la fregatura.... la ripresa significa avere tassi di crescita rilevanti in modo da recuperare il crollo attuale.

    faccio un esempio chiarificatore: si prevede per l'Italia una caduta del 4, 6% del PIL per il 2009, e una crescita 0- 0,1 % nel 2010. Quella crescita ridottissima del 2010 avrebbe come parametro di riferimento i valori del 2009. Quindi si rimarrebbe sullo stesso livello di PIL dell'attuale recessione.
    Se tu un giorno caschi in un pozzo profondo centinaia di metri non credo che ti sentiresti consolato se chi ti deve soccorrere ti dovesse indicare come segno di ottimismo il fatto che più in basso non puoi cadere , perchè l'urgenza è quella di tirarti fuori dal pozzo al più presto prima di tirare le cuoia. :) Con l'economia è lo stesso: uscire fuori dal fondo in cui ci si è cacciati al più presto e in maniera vigorosa è l'ossigeno per le nostre imprese sopratutto perché se gli altri paesi riusciranno a farlo prima di noi , questo significherà perdere parecchio in competitività .
    E bisognerebbe cominciare a incalzare il nostro premier su quali soluzioni ha in mente visto che peggio di noi sta solo la Germania che ha un governo di grande coalizione in scadenza di mandato. ( per il bundestag si voterà in autunno)

    Liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro, corretto utilizzo delle risorse pubbliche per reinvertire il ciclo economico. Ci si può muovere in molti punti e molto meglio di come ha fatto sinora il governo

    Sì certo, la mia era una frase ironica! :D

    Comunque non credo che i punti che dici tu bastino. Sono punti che perfezionano un'economia, ma che non risolvono i problemi strutturali di un paese come il nostro che dovrebbe reinventare tutto il proprio sistema manifatturiero, come fece l'UK durante gli anni '70-80. Dobbiamo avere il coraggio di fare delle scelte, di dire "quello che una volta era la nostra forza ora è la nostra debolezza". Dobbiamo capire che l'unico modo per continuare a competere in un mondo globalizzato è specializzarsi, puntare sui prodotti hi-tech, sul capitale umano. Se per fare questo c'è bisogno di uno stato dirigista, ben venga. Il problema è che noi siamo legati in una morsa che ci tiene legati da 15 anni: abbiamo bisogno di investire/togliere tasse, ma allo stesso tempo non possiamo indebitarci ancora, e sempre allo stesso tempo abbiamo le tasse già troppo alte e non possiamo aumentarle considerevolmente per pagare il debito. E il debito con il suo effetto spiazzamento toglie capitali che potrebbero invece essere investiti. E quindi rimaniamo bloccati, mentre lentamente andiamo verso il declino. Con un programma decennale e con un governo con una salda forza e volontà politica si potrebbe fare qualcosa, ma fino ad adesso non ne ho visti. Ora poi è arrivata pure la crisi che ha vanificato tutti gli sforzi degli ultimi 20 anni nell'abbassare il debito pubblico, sforzi sempre costosi politicamente( gli italiani se ne frega del debito, e si incazzano se gli togli soldi per abbassarlo) e quindi abbastanza lenti.

    Insomma, siamo nella merda fino al collo... :lollosso:
     
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  14. _SmokY_
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    Sono d'accordo con Fabrizio tranne che sulle liberalizzazioni (se le si può associare alle privatizzazoni altrimenti quello che sto dicendo non avrebbe senso) che devono essere fatte con criterio e con intelligenza.
    E' semplice liberalizzare, ma poi chi è in grado di sopportare quel peso ecnomico-fiscale? Sono sempre le grande aziende che rischiano di instaurare un altro regime di monopolio ben più pericoloso di uno statale, a mio giudizio.
    Un altra cosa, la troppa concorrenza abbassa i prezzi, ma con i prezzi bassi si rischia moltissimo che se ne vada a farsi friggere anche la qualità ed una certa sicurezza aziendale.
     
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  15. lupog
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    CITAZIONE (Armilio @ 16/5/2009, 16:49)
    Dobbiamo capire che l'unico modo per continuare a competere in un mondo globalizzato è specializzarsi, puntare sui prodotti hi-tech, sul capitale umano.

    sono d'accordo. il ridimensionamento dell'Olivetti ad esempio è stato davvero un colpo pesante per la nostra industria hi-tech

    CITAZIONE (_SmokY_ @ 16/5/2009, 18:59)
    Sono d'accordo con Fabrizio tranne che sulle liberalizzazioni (se le si può associare alle privatizzazoni altrimenti quello che sto dicendo non avrebbe senso) che devono essere fatte con criterio e con intelligenza.

    infatti una cosa sono le privatizzazioni mentre quando parlo di liberalizzazioni mi riferisco agli ordini , albi e corporativismi che pullulano in Italia e al sistema opaco di gestione dell'industria e della finanza.

    CITAZIONE
    Un altra cosa, la troppa concorrenza abbassa i prezzi, ma con i prezzi bassi si rischia moltissimo che se ne vada a farsi friggere anche la qualità ed una certa sicurezza aziendale.

    In Italia in genere non si corre certo il rischio di avere troppa concorrenza. Quanto alla sicurezza aziendale occorre che le norme vengano fatte rispettare e che ci siano i dovuti controlli e le dovute sanzioni a tutela dei lavoratori e degli imprenditori corretti che non devono essere danneggiati da chi compete assumendo in nero e risparmiando sulle garanzie dovute ai lavoratori. Ma in quest'ultimo caso non si tratta di concorrenza sana ma di concorrenza sleale

    Edited by lupog - 17/5/2009, 01:26
     
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26 replies since 16/11/2008, 16:41   377 views
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