CONGO: IL CAOS DELLA GUERRA DEL KIVU

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. lupog
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    image
    imageIl conflitto interno alla Repubblica democratica del Congo ha come epicentro la regione del Kivu ( Congo orientale)da dove milioni di profughi cercano di andare verso altre parti del paese. Esso vede le forze armate fedeli al presidente Kabila opporsi ai ribelli del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo guidata da Laurent Kunda. Il "generale" Nkunda si era ammutinato nel 2004, è un tutsi e dice di avere costituito queste milizie per proteggere l'etnia tutsi perseguitata dagli hutu. (Ricordiamo a questo proposito il massacro nel Ruanda dei tutsi da parte degli hutu a partire del 94). I ruandesi hanno un ruolo importante perchè entrano in Congo per fare razzie e man bassa di materie prime di cui il paese è ricchissimo. Lo stesso Kunda grazie al controllo di diverse aree minerarie si finanzia e arma i guerriglieri. E commercia illegalmente le materie prime (principalmente oro e coltan, il minerale utilizzato per i condensatori elettrici usati nella telefonia cellulare e nei computer portatili ), e il bestiame col Ruanda, il cui presidente Kagame ( anch'egli un tutsi) che a sua volta è accusato di sostenere i guerriglieri.
    I fedeli di Kunda ammonterebbero secondo stime, a 5000 uomini. Nel corso del 2007 si era giunti a una trattativa a un accordo di pace, ma lo stesso Kunda ha annunciato il suo rifiuto a continuare nel processo di pace (che prevedeva una progressiva smilitarizzazione di parte dei guerriglieri e l'integrazione del rimanente gruppo ribelle nell'esercito congolese) accusando il governo di Kinshasa di non rispettare i passi previsti dell'accordo sottoscritto. Nell’agosto del 2008 è ripresa così la guerra civile. Per cercare di evitare il precipitare della situazione il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha disposto l’invio di altri 3000 caschi blu che si andranno ad aggiungere agli attuali 17.000 'caschi blu' che fanno parte del Monuc, la Missione di pace dell'Onu nella Repubblica Democratica del Congo.
    L’attuale presidente Kabila ha fatto dei grandi contratti di fornitura con la Cina tagliando fuori l’Occidente, per cui si ipotizza che dietro Kunda ci potrebbero essere interessi economici occidentali ( in particolare francesi e inglesi). In realtà dunque dietro la maschera identitaria di Kunda si potrebbe anche nascondere il tentativo di appropriarsi delle enormi ricchezze del paese.

    FONTI: NIGRIZIA; RADIO TRE MONDO; MISSIONI SALESIANE IN CONGO E RWANDA.

    Edited by lupog - 28/11/2008, 22:16
     
    Top
    .
  2. lupog
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    alcune foto del dramma

    image
    image
    image
    image

    SPOILER (click to view)
    image
    image
    image
     
    Top
    .
  3. _SmokY_
        +1   -1
     
    .

    User deleted



    Una Tragedia -_-
     
    Top
    .
  4. lupog
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Arrestato Nkunda, leader dei ribelli congolesi.

    Il capo dei ribelli tutsi congolesi, Laurent Nkunda, è
    stato arrestato ieri in Ruanda. Dal 2004 Nkunda era a capo
    della ribellione nel Nord Kivu, nell'est della Repubblica
    Democratica del Congo (Rdc). Il suo arresto è avvenuto in
    tarda serata nel corso di un'operazione militare congiunta
    degli eserciti congolese e ruandese. Il governo congolese
    ha chiesto l'estradizione.

    FONTE: INTERNAZIONALE

    MAIL & GUARDIAN, Sudafrica
    http://www.mg.co.za
     
    Top
    .
  5. gautier sans avoir
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    TORNIAMO A PARLARE DI AFRICA. :zzzz: :zzzz:

    Nigeria, raccolti 200 corpi dopo scontri in città del nord
    Reuters



    Le autorità nigeriane hanno raccolto oltre 200 corpi dalle strade di Maiduguri, la città del nord teatro di scontri con i militanti di una setta islamica radicale :hmm: . Lo ha detto un funzionario della Croce rossa. Continua a leggere questa notizia

    "Li stanno caricando sui camion... fino a ieri avevamo oltre 200 cadaveri", ha detto a Reuters Aliyu Maikano, responsabile della zona per la Croce rossa nigeriana, precisando che si continua a raccogliere cadaveri.

    :hmm:
     
    Top
    .
  6. Kowal
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Mercanti di armi, signori della guerra e multinazionali

    Kinshasa minacciata dalla polveriera del Kivu


    Decine di migliaia di morti, di feriti e di profughi: dall'agosto 2008 nell'est della Repubblica democratica del Congo è di nuovo scoppiata la guerra. I ribelli affermano di voler rovesciare il governo di Kinshasa. Dietro la tragedia umanitaria, il Kivu si presenta come un condensato della geopolitica regionale legata agli interessi minerari.


    di Mwayila Tshiyembé*

    La recrudescenza dei combattimenti nel Kivu del nord minaccia di destabilizzare di nuovo la Repubblica democratica del Congo (Rdc) e la regione dei Grandi laghi africani. Dall'agosto 2007 i soldati del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) del generale Laurent Nkunda e le Forze armate dell'Rdc (Fardc) sono impegnati in un conflitto molto violento: decine di migliaia di profughi sono obbligati a lasciare le loro terre, lo stupro è utilizzato come strumento di terrore e i saccheggi sono sistematici.
    Zona di frontiera fra Ruanda, Burundi e Uganda, l'est della Rdc costituisce il principale focolaio di tensioni regionali dalla fine del regno di Joseph Mobutu nel 1997. Nel Kivu infatti si sono rifugiati nel 1994 i responsabili del genocidio ruandese, oggi riuniti nelle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr). Sempre in questa regione è cominciata, nell'ottobre 1996, la «lunga marcia» dell'Alleanza delle forze democratiche per la liberazione del Congo (Afdl) di Laurent-Désiré Kabila, diretta a distanza dal Ruanda e dall'Uganda con l'appoggio degli Stati uniti.
    Questa «prima guerra del Congo» (1996-1998) aveva rappresentato la fine del regime di Mobutu, al potere da 32 anni. Membro del Raggruppamento congolese per la democrazia (Rcd) sostenuto da Kigali, il generale Nkunda ha preso parte alla «seconda guerra del Congo» nel 1998, dopo che Kabila, arrivato al potere, aveva rotto i rapporti con i suoi alleati ruandesi (1). Entrato per un breve periodo di tempo nell'esercito nazionale del Congo, dopo gli accordi di pace del 2002-2003(2), Nkunda ha ripreso le armi nel 2004 con i suoi uomini (circa 5 mila soldati) denunciando l'incapacità di Kinshasa e della Missione delle Nazioni unite in Congo (Monuc).
    Di etnia tutsi, Nkunda ritiene che le Fdlr stiano preparando un nuovo genocidio. Di fatto questo generale è vicino ai banyamulenge o tutsi congolesi, perseguitati da Mobutu e ribellatisi alla fine degli anni '90. Nkunda chiede che i congolesi tutsi rifugiatisi in Uganda, in Burundi e in Ruanda a causa delle violenze ricorrenti subite in Congo, possano rientrare nell'Rdc e riprendere i beni che sono stati tolti loro. Il generale sarebbe sostenuto dal Ruanda, dove è stato addestrato negli anni '90.
    Il riferimento etnico del generale sarebbe però solo un pretesto destinato a mascherare delle ambizioni di potere nei confronti di una parte del Congo ambita dai suoi vicini. In realtà il problema della nazionalità dei banyamulenge non è più all'ordine del giorno: è stato risolto di diritto da una legge sulla nazionalità congolese del 2004 e dalla costituzione del 18 febbraio 2006, il cui l'articolo 10 prevede: «È di origine congolese qualunque persona che appartenga ai gruppi etnici le cui persone o territori costituivano quello che è diventato il Congo nel momento della sua indipendenza» (3). Del resto le elezioni politiche e presidenziali del 2006 si sono svolte senza la minima violenza in tutto il Kivu e i tutsi congolesi vi hanno partecipato sia come elettori sia come candidati eleggibili su tutto il territorio nazionale (4). Tuttavia la sola regolamentazione giuridica non basta, è necessaria anche una riconciliazione nazionale capace di consolidare la volontà di vivere insieme. Una volontà compromessa dalla xenofobia o dall'odio dell'altro, che colpisce indistintamente i tutsi congolesi e le altre etnie.
    La strumentalizzazione etnica costituisce un rischio importante per il Congo, dove la vita politica manca di maturità. Un caso evidente è quello della rivendicazione legittima del diritto alla nazionalità dei banyamulenge. Presentata in termini di «diritto della minoranza» - un diritto di fronte al quale l'Occidente è molto sensibile - questa rivendicazione è scollegata dalla realtà sociologica e culturale dell'Rdc, uno stato in cui nessuna etnia è maggioritaria. Le stragi dei congolesi della provincia del Kasai, espulsi dal Katanga dopo l'elezione di Etienne Tshisekedi (anche lui originario del Kasai) al posto di primo ministro (15 agosto 1992) dalla Conferenza nazionale sovrana, a scapito di Nguz Karl I Bond, originario del Katanga, confermano queste strumentalizzazioni a scopo politico. Così come i massacri degli hema e dei lendu in Ituri (provincia orientale) o i soprusi compiuti dal movimento politico-religioso Mbundu dia Kongo nella provincia del Basso Congo (2007-2008) contro gli abitanti non originari della regione. Se non si fa attenzione, l'«autoctonia» rischia di sconvolgere le basi repubblicane e democratiche della costituzione del 2006, adottata per referendum, attraverso un uso errato dei principi di libera amministrazione e di autonomia ottenuti con il decentramento.
    Gli obiettivi di Kigali, generale presidente Minacciando di marciare sulla capitale, il generale Nkunda cerca di risolvere una volta per tutte i rapporti di potere all'interno dell'Afdl, al quale partecipa come membro dell'Rcd. Infatti quando gli alleati di Kabila (il Ruanda e l'Uganda) hanno deciso con le armi in mano di sfidarlo nell'agosto 1998, mobilitando le milizie dell'Rcd e del Movimento di liberazione del Congo (Mlc), non ci sono stati vincitori né vinti. L'accordo di pace di Lusaka (Zambia), firmato il 10 luglio 1999 per mettere fine alla guerra, impegna le parti a trovare delle soluzioni in materia di sicurezza (articolo 2, punto 4) in particolare disarmando i gruppi belligeranti, comprese le forze responsabili del genocidio (articolo 3 punto 22), instaurando una forza delle Nazioni unite (articolo 3, punto 11) e accordandosi sui problemi di nazionalità (articolo 3, punto 16).
    Da allora, nonostante la creazione di un governo di transizione nel 2003 e le elezioni multipartitiche del 2006, nulla è stato veramente risolto. Infatti l'accordo di Goma (gennaio 2008) firmato da Kinshasa, dal Cndp e dai Mai Mai (movimento di resistenza popolare contro l'occupazione ruandese) non è stato firmato dalle Fdlr. Inoltre nessun rappresentante del Ruanda era presente (5). Nkunda, nei cui confronti è stato spiccato un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra e crimini contro l'umanità (6), accusa la Monuc e Kinshasa di fare il doppio gioco in favore dei suoi nemici e di preferire la ripresa dei combattimenti.
    Accanto alle rivendicazioni in favore delle popolazioni tutsi, il generale aggiunge adesso un discorso nazionalista che lascia perplessi gli osservatori.
    La rivolta di Nkunda arriva in un momento in cui le relazioni dell'Rdc con i paesi vicini rimangono fragili. La sicurezza costituisce il principale punto di discordia fra questi e Kinshasa, che denuncia le attività di «forze negative e propense al genocidio», cioè le ex Forze armate ruandesi (Far) e le milizie interhamwe, che dopo il 2004 si sono spostate nell'est dell'Rdc. La responsabilità «di identificare, localizzare, riunire, disarmare e rimpatriare le forze responsabili del genocidio» spetta alle Nazioni unite (accordo di pace di Lusaka), che però non hanno fatto nulla. E Nkunda può tranquillamente denunciare le milizie che continuano a devastare il Kivu. Ma come spiegare l'atteggiamento del Ruanda, che ha occupato l'est dell'Rdc per due anni senza mai attaccare queste forze responsabili del genocidio?
    Il conflitto serve in realtà agli interessi del generale-presidente Paul Kagame. In realtà il suo impegno militare nell'Rdc nel 1997 aveva quattro obiettivi, che ancora oggi continua a perseguire con costanza: impedire il riarmo e il ritorno al potere a Kigali delle ex Far e delle milizie interhamwe; mettere a Kinshasa un uomo di fiducia o un alleato; farsi pagare le spese di guerra attraverso il saccheggio delle risorse congolesi (si legga l'articolo a pagina 17); e privare il Ruanda di qualunque opposizione politica credibile in nome dell'unione sacra contro la minaccia esterna. Kigali sospetta che Kinshasa utilizzi gli uomini delle Fdlr responsabili del genocidio e minaccia di ricorrere di nuovo alla forza, in violazione del protocollo sulla non aggressione e sulla difesa reciproca nella regione dei Grandi laghi, firmato a Nairobi il 14 e il 15 dicembre 2006.
    Anche l'Uganda potrebbe essere tentata di intromettersi nel conflitto.
    Nel 1997 aveva giustificato la sua partecipazione alla guerra contro il regime di Mobutu con la presenza sul territorio congolese di movimenti ribelli, in particolare l'Esercito della resistenza del signore (Lra) (7) e le Forze di difesa del popolo ugandese (Updf). Nonostante l'occupazione per diversi anni del nord dell'Rdc, l'Uganda nonha potuto avere la meglio sull'Lra di Joseph Kony, pur riuscendo a firmare un accordo di pace con l'Updf. Per ora Kampala sembra intenzionata a rimanere defilata. Il paese è stato condannato dalla Corte internazionale di giustizia (Cig) per ingerenza negli affari interni dell'Rdc, per saccheggi delle sue risorse naturali e per violazione dei diritti dell'uomo (8). Inoltre il paese è politicamente e militarmente indebolito dopo la sua disputa con Kigali nella primavera del 2000, poiché il Ruanda la accusava di consentire l'addestramento delle milizie interhamwe nei campi profughi sul suo territorio. Di fronte all'incapacità di sbarazzarsi della rivolta dell'Lra, Kampala è tentata di intervenire, ma per fare questo dovrebbe avere l'accordo del governo dell'Rdc.
    L'internazionalizzazione del conflitto è ancora più preoccupante a causa della presenza di soldati angolani già chiamati in aiuto da Kinshasa.
    In questa «guerra mondiale africana» che avrebbe fatto quattro milioni di morti dal 1997, Kinshasa rimane debole da un punto di vista politico.
    Dall'indipendenza (30 giugno 1960) ai giorni nostri, il Congo è rimasto un soggetto di diritto internazionale molto fragile, il cui potere è spesso anonimo e indefinito allo stesso modo del territorio e della popolazione. Di conseguenza sono gli eserciti stranieri che hanno salvato il regime di Mobutu (prima e seconda guerra dello Shaba, 1977-1978) e hanno portato l'Afdl e Kabila al potere (1997-2001).
    In questa situazione è possibile che l'assenza di una cultura politica sulla soluzione pacifica dei conflitti e di una capacità militare dissuasiva spinga Kinshasa a sollecitare l'intervento militare di paesi amici. Ma un potere politico che si affida a potentati esterni finisce per dipendere da essi.
    Del resto la nuova guerra del Kivu e la sua gestione caotica rischiano di minare la base elettorale del primo regime della terza repubblica nata dal referendum costituzionale e dalle elezioni del 2006. A metà mandato due rivendicazioni sociali fondamentali rimangono ancora insoddisfatte: la pace civile per le popolazioni dell'est del paese fra cui il Kivu, e l'aumento del potere d'acquisto formulata da tutti i congolesi, in particolare dalla classe media in grave difficoltà.
    Monuc, debole esercito dell'Onu Di fatto molti congolesi ignorano che l'Rdc deve la sua unità all'Onu, che grazie a un mandato chiaro ha fatto la guerra contro la secessione del Katanga (1961-1964) (9). Adesso però la Monuc, creata nel novembre 1999 (risoluzione 1.279 del Consiglio di sicurezza) per dare applicazione concreta all'accordo di pace di Lusaka, rimane impotente di fronte alle stragi, attirandosi il risentimento della popolazione. Il suo mandato si basa sugli articoli del capitolo VII della Carta delle Nazioni unite, che le permettono di ricorrere alla forza per proteggere le popolazioni civili, e si tratta della più importante forza internazionale per il mantenimento della pace (17 mila uomini). Ma la Monuc si trova indebolita dal carattere eterogeneo dei suoi contingenti e dalla loro mancanza di accordo: la maggior parte delle truppe è indiana (4.400 uomini) e pachistana (3.500 uomini).
    Inoltre soffre della mancanza di addestramento, del carattere obsoleto del suo equipaggiamento militare e della dispersione dei suoi uomini su un vasto territorio privo di infrastrutture. I suoi mezzi finanziari sono troppo deboli - un miliardo di dollari all'anno (789 milioni di euro). Infine, il coinvolgimento confermato di alcuni caschi blu nei traffici minerari di contrabbando e in alcuni casi di stupro ha discreditato il contingente internazionale. Le dimissioni - ufficialmente per ragioni personali - del generale spagnolo Vicente Diaz Villegas, capo della Monuc, il 27 ottobre dimostrano queste incertezze, visto che è rimasto al suo posto solo sette settimane.
    Infine la confusione e l'opacità prodotta dalle rivolte nel Kivu suscitano alleanze inattese fra mercanti di armi, signori della guerra e imprese multinazionali, come dimostra il rapporto dell'Onu sul saccheggio delle risorse dell'Rdc (10). Secondo questo documento le guerre precedenti hanno messo in luce la collusione di interessi fra le multinazionali americane, canadesi, europee, cinesi, israeliane e africane (ugandesi, ruandesi, burundesi, angolane e zimbabwiane) e i professionisti della violenza che sono molto presenti nella regione settentrionale e orientali dell'Rdc.
    Alla base di questo nuovo commercio della violenza c'è il saccheggio delle risorse minerarie (oro, diamanti, cassiterite, coltan), del bestiame, del caffè e così via. Questo sordido intrico di interessi è ancora irrisolto, mentre la caduta del regime di Mobutu, garante dell'influenza francofona nel paese, ha riaperto la corsa alla leadership regionale. E non è escluso che le reti tentacolari di uomini assetati di potere e di soldi, che in passato avevano collaborato con le forze dell'Afdl, finiscano per alimentare la nuova guerra del Kivu.


    note:
    * Direttore dell'Istituto panafricano di geopolitica di Nancy.

    (1) Si legga Catherine Coquery-Vidrovitch, «Congo dalla ribellione all'insurrezione», Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1999.

    (2) Nel 2002 e nel 2003 diversi trattati firmati fra le potenze regionali e fra i partiti politici congolesi hanno portato agli accordi di Sun City (Sudafrica), che hanno permesso l'instaurazione di un regime di transizione.

    (3) Questa legge si inserisce nello spirito della costituzione del 1964, in base alla quale: «esiste un'unica nazionalità congolese.
    Essa è attribuita, alla data del 30 giugno 1960, a qualunque persona di cui almeno un genitore sia o sia stato membro di una tribù o di una parte di tribù presente sul territorio del Congo prima del 18 ottobre 1908».

    (4) Si legga Prosper Nobirabo, «Fragile gestation de la démocratie en République démocratique du Congo», Le Monde diplomatique, giugno 2007. Dopo aver dichiarato che avrebbe rispettato il verdetto delle urne in occasione delle elezioni generali del 2006, alla vigilia della proclamazione dei risultati il generale Nkunda ha lanciato una sanguinosa offensiva contro l'esercito nazionale e la Monuc.

    (5) Gli accordi di Goma - che prevedevano l'allontanamento delle Fdlr, il disarmo delle milizie (compreso il Cndp) e il ritorno dei profughi tutsi - non sono stati applicati, alimentando i sospetti di Nkunda.

    (6) In occasione degli accordi di Goma (gennaio 2008), Nkunda ha ottenuto una legge di amnistia ma questa non riguarda i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità.

    (7) Si legga André Michel Essoungou, «Giustizia o pace, dilemma ugandese», Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 2007.

    (8) Corte internazionale di giustizia (Cig), 19 dicembre 2005.

    (9) Il Katanga è la provincia più orientale della Repubblica democratica del Congo. Dopo l'indipendenza del Congo nel 1960, la regione aveva proclamato la sua indipendenza. Le Nazioni unite erano dovute intervenire militarmente e il Katanga era stato «reintegrato» nel Congo nel 1963.

    (10) Rapporto del gruppo di esperti dell'Onu sullo sfruttamento illegale delle risorse naturali e delle altre forme di ricchezze della Repubblica democratica del Congo, n. S2003/1027, New York, 23 ottobre 2003.
    (Traduzione di A. D. R.)

    http://www.monde-diplomatique.it/ricerca/r...html&word=congo

    CITAZIONE
    Balcanizzazione e saccheggio nell'est del Congo


    di Delphine Abadie, Alain Deneault e William Sacher*


    In contraddizione con il suo discorso etnicistico, il generale «ribelle» del nord del Kivu Laurent Nkunda ha chiesto il mese scorso la rinegoziazione di tutti i contratti firmati dal governo congolese con le imprese cinesi. Non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: la guerra che interessa la regione, come le due precedenti nel 1996-1997 e nel 1998-2003, non è «etnica», ha l'obiettivo del saccheggio delle enormi risorse del paese da parte di interessi privati. Il sottosuolo congolese infatti rigurgita di prodotti preziosi: vi si trovano il 60% delle riserve mondiali conosciute di tantalio, il 10% del rame, dal 30 al 40% del cobalto, il 10% del niobio, il 30% dei diamanti (nella sola regione del Kasai) oltre a giacimenti d'oro fra i più ricchi del mondo.
    La regolamentazione ambientale internazionale, favorendo la sostituzione dello stagno al piombo nelle saldature dei circuiti stampati in campo elettronico, ha incentivato l'estrazione del minerale dello stagno nel nord e nel sud del Kivu al posto del coltan. Anche l'oro è molto ambito, così come il metano che si troverebbe in abbondanza sotto il lago Kivu, alla frontiera tra Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Ruanda.
    I minerali presenti nella regione sono estratti in modo artigianale da piccoli imprenditori locali, e passano attraverso una lunga trafila di operatori. In questo modo diversi uomini d'affari locali, mercenari, trasportatori e doganieri improvvisati approfittano di questa economia illegale, ma sono i commercianti occidentali, ai quali sono ceduti questi prodotti, a trarne il maggior profitto. In questo contesto il traffico di armi è molto florido, utilizzando gli stessi canali dei prodotti minerari ma in senso inverso.
    È molto difficile determinare quali società straniere presenti nella regione approfittino di questo saccheggio militarizzato del Congo.
    La maggior parte di esse agisce sotto la copertura di filiali con sede in paradisi fiscali, dove il segreto bancario impedisce qualsiasi indagine. La sudafricana Metal Processing Congo (Mpc) ha a lungo tenuto le fila di questo contrabbando (1). Questa situazione non ha però scoraggiato la concorrenza delle società straniere, alimentando i conflitti che contrappongono le diverse fazioni sul terreno.
    Durante la «seconda guerra del Congo» (1998-2003), l'Mpc contendeva alla canadese Banro i giacimenti di oro e di stagno della Società mineraria e industriale del Kivu (Sominki) (2), a sua volta in conflitto con le forze del presidente Laurent-Désiré Kabila. «Almeno tre soggetti diversi rivendicano gli stessi interessi minerari, e ognuno può fare affidamento su un diverso alleato politico. Questo è il risultato delle decisioni ereditate dal governo transitorio di Kinshasa nell'estate 2003. E due anni dopo non si vede alcun segnale di miglioramento, al contrario la guerra continua nelle regioni minerarie» (3).
    Più a nord, nella Provincia orientale, l'Uganda ha moltiplicato le alleanze contraddittorie. In questo modo Kampala ha contribuito a destabilizzare politicamente il nord-est del Congo durante i due conflitti precedenti «approfittando al tempo stesso delle risorse naturali» (4) della regione, dove si trova lo straordinario giacimento aurifero di Kilo-Moto. Durante la «prima guerra del Congo» la canadese Barrick Gold, ricomprata dalla sudafricana AngloGold Ashanti, ha ottenuto le principali concessioni minerarie. Nell'Ituri, la canadese Heritage Oil detiene una concessione petrolifera che si estende fino all'Uganda. Così dal mese scorso i ribelli dell'Esercito di resistenza del signore (Ars) combattono le forze armate congolesi, al punto di costringere l'allontanamento degli operatori umanitari.
    Le società cinesi China Railway Group, Sinohydro ed Exim Bank sono impegnate nel sud-est del paese, nella regione del Katanga. Nell'aprile scorso alcuni imprenditori cinesi hanno ottenuto per nove miliardi di dollari (7 miliardi di euro) la partecipazione in una serie di progetti minerari molto ambiti della Gecamines, una società pubblica del Congo del settore minerario, valutati 80 miliardi di dollari (63 miliardi di euro). L'accordo, controverso, è considerato anticostituzionale, eccessivamente vantaggioso per la parte cinese, rischioso dal punto di vista dell'indebitamento pubblico e lacunoso in materia di trasparenza.
    Tuttavia il direttore della Gecamines, il canadese Paul Fortin, lo difende con ostinazione.
    Questo controllo diretto o indiretto da parte di interessi stranieri sulle risorse naturali - attraverso concessioni o l'apertura di filiali locali - spiega spesso la posizione dei belligeranti e degli stati vicini: i contendenti permettono l'accesso alle risorse o mettono in sicurezza alcune concessioni in favore delle società straniere presenti sul territorio. Eppure molto giornalisti continuano a parlare di «guerre etniche» nella regione senza mai aver indagato sui reali interessi economici.
    Quando non possono sfruttare le loro concessioni in tempo di guerra, le società minerarie utilizzano i conflitti per favorire la rivalutazione dei loro titoli sui mercati finanziari. Dall'inizio del periodo di incertezza in Congo, nel 1996, il valore azionario di alcune imprese, in particolare quelle più coinvolte nella prospezione mineraria, si è impennato dopo ogni annuncio pubblico. In questo modo la First Quantum Minerals, la Katanga Mining (ex Balloch) o il Lundin Group hanno ottenuto enormi profitti in borsa dopo aver firmato dei «patti leonini» negli anni Novanta. «È come se il Congo fosse un quadro comprato per due soldi da un rigattiere e rivenduto nelle gallerie d'arte al suo vero valore di opera di gran pregio», scriveva il giornalista economico Nestor Kisenga (5).
    Il centro principale di questa attività speculativa si trova alla borsa di Toronto, in Canada. Qui sono quotate circa il 60% delle società minerarie mondiali, anche se i loro capitali non sono necessariamente canadesi. Il diritto canadese infatti regola in modo molto favorevole questa industria. I vantaggi fiscali sono considerevoli, gli incentivi spingono gli investitori a mettere i loro capitali nel settore minerario, i ridotti vincoli in materia di divulgazione di informazioni avvantaggiano i titoli speculativi e nessuna seria misura obbliga queste società a spiegare le ragioni pratiche del loro arricchimento.
    Tra il 2001 e il settembre 2004 l'indice Tsx Venture della borsa di Toronto - imperniato sulle società minerarie di esplorazione - indica che il volume delle transazioni di azioni è passato da 800 milioni di dollari (622 milioni di euro) a 4,4 miliardi (3,6 miliardi di euro) (6).
    Ottawa ha sempre sostenuto le sue società minerarie all'estero: il risparmio dei canadesi (fondi pensione e capitalizzazioni di ogni genere) è indicizzato sui valori di questo settore. E nonostante le numerose e circostanziate dichiarazioni di abusi e di crimini compiuti nella regione dei Grandi laghi (7), mai nel passato recente una società mineraria canadese ha avuto delle noie in Canada, sia sul piano politico che su quello giudiziario. Di fatto per le società minerarie questo paese è una sorta di «paradiso fiscale».
    Negli ultimi anni su iniziativa della Banca mondiale, gli stati produttori hanno introdotto codici minerari favorevoli alle società private.
    L'obiettivo era di portare in queste economie indebitate una maggiore concorrenza internazionale. Di fatto la grande richiesta da parte del Nord favorisce politiche che legittimano una vera e propria corsa alle risorse e le varie guerre che ne derivano. In questo contesto i concetti di «buona governance» e di «responsabilità sociale d'impresa», coniati il più delle volte dagli esperti delle istituzioni internazionali, sembrano del tutto inadatti a normalizzare la situazione.


    note:
    * Membri del collettivo Risorse d'Africa e autori del libro Noir Canada. Pillage, corruption et criminalité en Afrique, Ecosociété, Montreal, 2008.

    (1) «La paix sous tension. Dangereux et illicite commerce de la cassitérite dans l'est de la Rdc», Global Witness, Washington, 2005.

    (2) Lo stato congolese e la Banro, azionisti di maggioranza, detengono rispettivamente il 28 e il 36% delle quote della Sominki.

    (3) Dominic Johnson e Aloys Tegera, «Les ressources minées. La faillite de la politique minière de la Rdc», Pole Institute, Goma (Rdc), 2005.

    (4) International Crisis Group, «Congo crisis: Military intervention in Ituri», Africa Report, n. 64, Nairobi, New York e Bruxelles, giugno 2003, p. 3.

    (5) «Mines: des milliards de boni pour le "quatrième pillage"», Congolite (sito internet), 25 luglio 2006.

    (6) Fodé-Moussa Keita, «Les sociétés minières canadiennes d'exploration e de développement du secteur de l'or: les impacts de leurs activités en Afrique de l'Ouest», tesi di laurea, università del Quebec, Montreal, 2007, p. 147.

    (7) Si legga ad esempio, «Observations sur la situation en République démocratique du Congo (Rdc)», Comitato dei diritti dell'uomo delle Nazioni unite, 27 marzo 2006.
    (Traduzione di A.D.R.)

    http://www.monde-diplomatique.it/ricerca/r...html&word=congo
     
    Top
    .
5 replies since 27/11/2008, 23:38   2164 views
  Share  
.