Le navigazioni in Africa di Alvise da ca' da Mosto, mercante veneziano al servizio del Portogallo

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  1. Cornelio Scipione.
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    ALVISE DA CA’ DA MOSTO

    Di famiglia patrizia, Alvise da Ca’ da Mosto, era stato educato come tutti i rampolli delle nobili casate veneziane a formarsi al di fuori della sua città e ad affrontare grandi prove per ottenere , in età matura onore e ricchezza.
    La famiglia paterna del giovane proveniva dalla città di Lodi ed erano secoli che si era stabilita a Venezia; la madre discendeva dall’illustre famiglia dei Quercini.
    Alvise aveva cinque fratelli, e la madre morì prematuramente quando il giovane non aveva neanche dieci anni, e il padre non era riuscito a dare la serenità e il conforto necessario per coprire la mancanza della madre.
    I guai per la famiglia di Alvise non erano finiti qui, perché il padre dovette affrontare delle cause legali negative per l’andamento economico della famiglia; Il Giovane Veneziano era quindi cresciuto in un’atmosfera non certo favorevole e non era certo d’aiutato la seconda moglie del padre che invece di fare da madre ai figli di Giovanni(padre di Alvise), era più interessata ad impossessarsi dei beni del marito.
    Il primo viaggio commerciale in mare il giovane veneziano lo fece all’età di 14 anni.
    Alvise aveva da sempre amato il mare , era nella natura dei veneziani guardare al di là dell’Adriatico e intraprendere viaggi commerciali con popoli lontani , perché la natura politica ed economica della Serenissima era quella di sviluppare una tradizione di grandi viaggiatori e mercanti intraprendenti.
    Venezia viveva di galee che tornavano nella laguna cariche di prodotti di ogni gente provenienti dalle Fiandre, dall’Africa magrebina e dall’Oriente.
    Nel suo primo viaggio per mare, Alvise si era inserito come agente di commercio del mercante Andrea Barbarico, insieme al cugino Andrea figlio del fratello del Padre.
    Il modello di riferimento per i 2 cugini era proprio il mercante per cui per il primo viaggio erano al servizio, perché era riuscito a diventare potente e ricchissimo grazie al commercio, e a Venezia questo voleva dire raggiungere il culmine massimo del prestigio.
    In questa esperienza Alvise rimase estasiato nell’aver conosciuto città come Tunisi , in cui Venezia aveva un Fondaco e un accordo commerciale con la città, nell’intensissimo traffico di mercanti , merci e navi che dimostravano di quanto era florido il commercio con queste città sulla costa del Magreb.
    Tunisi era infatti, per la sua centralità nel Mediterraneo, uno dei principali centri di scambio che interessavano sia le vie carovaniere provenienti dall’entroterra Africano, sia per quanto riguarda i commerci con Bisanzio e l’Oriente.


    L’INCONTRO DECISIVO

    Il secondo viaggio di Alvise da Ca’ da Mosto, era determinato dalla consuetudine che diminuiva l’emozione del viaggio, il tutto era scandito dalle solite tappe e solite soste per scambiare merci.
    Ma giunti a Sào Vicente, i Veneziani ricevettero da parte dei Portoghesi un’accoglienza particolarmente calorosa; la fama che i veneziani erano tra i migliori navigatori e viaggiatori per mare mai esistiti aveva fatto scalo anche sulla costa Lusitana , e sapeva bene della loro abilità la grande figura dell’Infante D.Enrico che si trovava nella sua residenza di Sagres, e venuto a sapere che dei veneziani erano sbracati a Sào Vicente, l’Infante manifestò il suo desiderio di coinvolgere gi uomini della città lagunare nel suo programma di esplorazione dell’Africa Atlantica.
    Alvise era nel culmine della sua giovinezza e si presentava come un ragazzo di bell’aspetto, con la vivacità nello sguardo di coloro che vogliono realizzarsi da soli.
    L’Infante Portoghese D.Enrico per far allettare la sua proposta di unirsi al suo progetto, mostrò ai veneziani i prodotti(quali lo zucchero) provenienti dalla osta africana atlantica, parlando dei grandi quantitativi d’oro che si potevano acquisire in quelle zone tramite lo scambio con i nativi locali.
    L’Offerta dell’Infante fece brillare gli occhi ad Alvise , che si stupì che i suoi compagni veneziani non erano interessati a tale proposta, e accettò di collaborare con la corona lusitana in queste imprese di esplorazione e di scambi commerciali in terre ancora del tutto sconosciute.
    Il Veneziano venne così invitato dal Principe D.Enrico nella sua dimora di Sagres.
    Ad accogliere il ragazzo della Serenissima, fu l’Infante in persona , era un uomo dall’aspetto mite e allo stesso tempo autorevole, era un uomo slanciato e sembrava ancora più alto per la sua imponenza figura politica.
    Nonostante la differenza di estrazione sociale, i due si misero a parlare con viva cordialità come se si conoscessero da tempo: parlarono del prestigio e della fama che circondava Venezia e i suoi cittadini , e parlarono della colossale e mastodontica impresa della conquista di Ceuta guidata personalmente dall’Infante D.Enrico.
    Il Principe sapeva che nonostante i Lusitani avevano compiuto grandi viaggi e avevano una predisposizione verso la navigazione e una notevolissima intraprendenza, ma nulla era paragonabile all’immensa fama di grande potenza marinara che era Venezia.
    L’Infante nella conversazione propose al Giovane Veneziano (che aveva 22 anni) di allestire lui stesso la nave con i propri capitali e in cambio avrebbe ottenuto i tre quarti del ricavato, altrimenti i soldi per allestire il viaggio e la nave li avrebbe messi il Principe ma il guadagno del viaggio sarebbe stato del 50%; Alvise, non avendo molti soldi con se , non era in grado economicamente di allestire da solo la nave per il viaggio , così optò per la seconda opzione data da D.Enrico.
    La sua scelta di salpare per questo viaggio era stata determinata dalla sua voglia di viaggiare e esplorare nuove terre, nuovi mondi e nuove genti e studiare i loro usi e costumi; l’univa cosa che lo frenava leggermente era il fatto di dover lasciare i suoi compagni veneziani e suo fratello, perché non avevano aderito alla proposta dell’Infante; ma capì da solo che la sua vita poteva avere una svolta e fare quello che era il suo obbiettivo da sempre e potersi così realizzarsi grazie all’opportunità di un viaggio che gli avrebbe cambiato la vita e la concezione di vedere il Mondo.


    LA PARTENZA E IL RAGGIUNGIMENTO DELL’ISOLA DI PORTO SANTO

    Giunse infine il giorno della partenza. Era il 22 marzo del 1455 nella città di Lagos(in Algarve, estremo sud del Portogallo).
    Una folla di gente si era ammassata già dalle prime ore del mattino per salutare i propri cari che si imbarcavano come marinai e per assistere alla partenza.
    Nonostante ultimamente erano molti i vascelli che intrapresero tale viaggio, l’evento della partenza era sempre eccitante e molto sentito dai cittadini Portoghesi.
    Al comando della Caravella , insieme ad Alvise da Ca’ da Mosto , l’Infante aveva assegnato un ammiraglio Portoghese di nome Vicente Dias;
    I Due al comando del vascello erano entusiasti ed emozionati all’idea di quello che lì attendeva in questo viaggio non privo di rischi, ma pieno di avventure indimenticabili e di ingenti guadagni.
    La navigazione si svolgeva senza ostacoli e raggiunsero in tre giorni l’Isola di Porto Santo, che si trovava poco più a nord-est rispetto all’isola più grande di Madera.
    L’isola di Porto Santo era stata scoperta 37 anni prima dai Portoghesi e divenne da subito un importante avamposto per i viaggi diretti verso il mare di Guinea.
    Alvise incuriosito dall’Isola cominciò a parlare con il suo “socio” Vicente per farsi spiegare quelli prodotti provenissero da quella isoletta che fuoriusciva dall’Oceano, e l’Ammiraglio portoghese gli spiegò che la principale fonte di ricchezza in ambito commerciale di quella località era una sostanza utilizzata per tingere di rosso, chiamata sangue di drago,e veniva estratta da un processo fatto al tronco di un tipo di albero che nasceva solo lì.
    La sosta a Porto Santo fu indispensabile per fare rifornimento di acqua potabile e viveri.
    La caravella fu accolta festosamente dalla gente del luogo , perché il contatto che si creava ogni volta che attraccava un vascello era indispensabile per i coloni portoghesi sull’isola perché ricevevano importanti missive delle autorità della madrepatria e le lettere di parenti e amici.
    L’accoglienza così calorosa colpì Alvise soprattutto quando a lui e al suo equipaggio fu offerto un banchetto con prodotti e frutti esotici.


    TAPPA A MADEIRA

    Dopo 3 giorni permanenza all’isola Porto Santo ripartirono in direzione di Madeira.
    Madeira nella lingua portoghese significa legname, e il nome dell’isola fu scelto per la scarsità di zone coltivabili visto che era tutta ricoperta da una lussuriosa foresta, e per creare spazi abitabili, i Portoghesi provarono prima a disboscarla a mano, ma vista la densità di alberi decisero di appiccare un incendio nell’isola che brucio per giorni distruggendo tutta la foresta che vi nasceva sopra.
    L’sola è conosciuta per la straordinaria fertilità della terra , per le ricche sorgenti d’acqua dolce che sgorgavano nell’isola e per la quantità di canna da zucchero che veniva prodotta.
    La sosta sull’isola fu breve e la partenza ebbe luogo alle prime luci dell’alba.


    LE CANARIE

    Le prossime isole da raggiungere erano le Isole Canarie; Alvise le conosceva già sia di nome sia perché vengono citate da Baccaccio e sia per le cronache dei Portoghesi che vi erano già giunti precedentemente.
    La colonizzazione di queste isole fu estremamente difficile e il processo completo del controllo dell’arcipelago non era ancora completato , perché sia i Casigliani, sia i Portoghesi trovarono estreme difficoltà a sottomettere la popolazione indigena locale che si dimostrò estremamente aggressiva. Alcune isole non erano ancora sotto il controllo delle 2 potenze della penisola iberica.
    La prima sosta avvenne all’isola di Gomena e fu molto rapida; Alvise curioso del paesaggio vulcanico , per il colore della terra e per le usanze dei locali si fece raccontare dai casigliani dell’Isola alcune usanze degli indigeni locali: gli dissero che una usanza tipica dei nativi era quello di catturare dei prigionieri e costringerli a squarciare le capre e a pulirle delle loro interiora, perché questo era un lavoro che loro ritenevano ignobile e detestabile.
    IL Veneziano, osservando li stesso i nativi , giudicò la loro società alquanto primitiva , non solo per il fatto che erano nudi perché non usavano vestirsi, ma più per il fatto che non vivevano in case o capanne, ma bensì in delle grotte o caverne naturali.
    Capì guardando gli indigeni quanto effettivamente potesse essere difficile sottomettere un popolo tanto primitivo e molto esperti nel muoversi come caprioli in quei luoghi pieni di precipizi e piccoli canyon e disse che saltavano qua e là con un’agilità mai vista prima e che riteneva che essi fossero gli uomini più agili del mondo.
    Le isole erano abitate dai Guanci e parlavano un linguaggio simile al Berbero; la loro esistenza era bellicosa e le uniche armi che utilizzavano erano la clava e il giavellotto con una punta di corno aguzzo o di legno bruciato; erano esperti nella lotta con i sassi e riuscivano a centrare dei bersagli molto lontani sia a mano sia con delle fionde.
    Lasciata Gomena si diressero verso un’altra isola dell’arcipelago delle Canarie(Isole Fortunate), Tenerife.
    La prima cosa che tutti notarono e che stupì particolarmente Alvise , era il Vulcano Teide che dava l’impressione di essere sproporzionato rispetto alle dimensioni dell’Isola, perché era altissimo e si affermava che fosse alto quasi 4000 metri(infatti in realtà è alto 3700 metri); era considerato il monte più alto di tutto il mondo e la sua cima veniva avvistata già da lontanissimo.
    La sommità del Teide era ricoperta da neve.
    La sosta successiva ebbe luogo all’isola di Ferro che era occupata dai casigliani;
    Come a Gomena la vegetazione era presente solo lungo la costa che era più pianeggiante e quindi adatta alle coltivazioni, mentre l’entroterra era più arido e roccioso.
    In quest’isola Alvise potè effettuare scambi proficui acquistando schiavi dai casigliani.
    Arrivò poi il momento di lasciare le Isole Canarie e dirigersi verso la selvaggia Africa.


    LA NAVIGAZIONE VERSO L’AFRICA

    Fino a questo momento le isole incontrate anche se lontane dalla madrepatria erano sempre avamposti in mano a potenze occidentali, da questo momento il viaggio diventa più pericoloso.
    Dopo pochi giorni di navigazione la caravella portoghese si imbatte in una tempesta tropicale che spaventò molto gli animi dei marinai e dello stesso Alvise che cercava però a tutti i costi di restare razionale.
    I danni subiti dalla furia del mare non erano gravi, e dopo poco raggiunsero la costa africana , precisamente il Capo Bianco(chiamato così per il colore delle spiagge)che si estendeva per chilometri e chilometri in spiagge bianchissime caratterizzate dall’assenza di vegetazione , visto che quello era il deserto del Sahara (all’altezza della regione marocchina di Safi).
    Raggiungono , continuando la navigazione verso sud, la minuscola isola di Arguim che era fornita di una sorgente di acqua potabile indispensabile per sopravvivere in quella arida zone dominata esclusivamente da dune di sabbia del deserto africano.
    Arguim era provvisto di un forte portoghese con una piccola guarnigione per difendersi in caso di attacco delle popolazioni native sulla costa.
    Arguim era un avamposto lusitano di un importanza strategica unica nel suo genere, perché era indispensabile per intrattenere scambi commerciali con le popolazioni africane e per l’importantissimo commercio dell’oro che spinse da circa un secolo i Lusitani ad intraprendere una politica atlantica dedita a monopolizzare il commercio dell’oro con l’Africa. Dopo Arguim si estendeva l’Africa quasi inesplorata , se non da pochissimi avventurieri lusitani che si erano spinti un po’ più a sud.
    Il veneziano, capìta l’importanza di Arguim, per la vicina città dell’entroterra Timbuctu ( la città dell’oro) e messa a fuoco la politica commerciale intrapresa dal Portogallo e dal Monopolio che i Portoghesi avevano costituito nei commerci con l’africa, cominciò a pensare alla sua Venezia e a quali conseguenze questa politica dell’Infante D.Enrico avrebbe causato all’economia mediterranea; pensò i nuovi prodotti , acquistati a basso costo dalle popolazioni dell’Africa Atlantica avrebbero soppiantato i mercati mediterranei meno competitivi, e questi prodotti avrebbero inondato i centri di scambio dell’Europa ottenendo un profitto altissimo essendo gli unici in grado di fornire questi prodotti , visto che La Corona Lusitana aveva impedito a tutte le navi delle altre potenze marittime Europee di superare le colonne d’Ercole senza il consenso del Portogallo per evitare che mercanti appartenenti a Genova. Venezia, Aragona, Marsiglia ecc…potessero contrastare la costruzione di questa rete di traffici lungo la costa atlantica africana che aveva fatto conoscere al Portogallo un periodo di splendore così alto da diventare la Potenza marittima più potente d’Europa.


    IL COMMERCIO MUTO: ORO E SALE

    Il veneziano ricacciò dentro di se i pensieri che gli avevano fatto riflettere sulle prossime conseguenze che avrebbe avuto Venezia , schiacciata dal Portogallo dal punto di vista economico-commerciale, e decise di gustarsi al massimo l’esperienza che stava vivendo.
    Ad Arguim chiese informazioni ai Portoghesi residenti, sulle popolazioni che abitavano questa zona dell’Africa, e gli venne risposto che si trovavano due popoli, i Zaneghi e gli arabi: i primi erano nomadi e corrispondono ai Tuareg , mentre i secondi erano convinti sostenitori della fede di Maometto.
    Alvise, entrato nell’ottica del mercato Africano capì l’importanza del Sale che veniva prodotto in una località poco più a sud di Arguim e gli venne spiegato come si effettuava lo scambio di sale con l’oro , ma non convinto della spiegazione e incredulo della possibilità di scambiare alla pari sale e oro, andò sulla terra ferma con un interprete e chiese ad un ragazzo africano come si effettuava lo scambio di queste due preziose mercanzie, dopo qualche incomprensione su quale era la domanda che il mercante della Serenissima, il ragazzo Indigeno spiegò che coloro che estraevano il sale si recavano in una località presso il fiume della zona e in un determinato punto dove questi lasciavano il sale incustodito e poi si allontanavano dal luogo, dopo qualche ora Il Regno del Mali mandava delle persone a portare l’oro nel punto in cui era stato posto il sale e se ne andavano; dopo un po’ di tempo tornavano quelli che avevano portato lì il sale e se lo scambio per loro era equo si prendevano l’oro e se ne andavano lasciando il sale c più tardi coloro che avevano trasportato l’oro lì se non c’era più l ‘oro si prendevano il sale e se lo portavano via perché voleva dire che lo scambio era stato considerato di giuste proporzioni da quelli che producono il sale; il tutto si svolgeva senza che le due controparti si incontravano mai.
    Incuriosito dalla questione chiese ad altre persone locali se il tutto fosse vero, e perché si scambiava il sale al pari dell’oro, e trovò risposta da alcuni africani che gli dissero(sempre tramite l’interprete di Alvise) che alle popolazioni che estraggono oro, ovvero al Regno del Mali, serviva , per vivere in quella località arida e asciutta in cui si perdono molti Sali minerali, per reintegrare i minerali persi con il sale ; Alvise, capìto questo, anche se non riusciva a capacitarsi che potesse essere così, chiese del perché le due controparti non dovevano vedersi, la risposta fu che erano coloro che producevano il sale che non volevano essere visti e non volevano avere nessun tipo di contatto, e gli venne raccontato che il re del Mali, curioso anche lui di sapere chi erano queste persone che trasportavano il sale, catturò nello scambio con un agguato alcuni di loro, mentre altri riuscirono a fuggire, e interrogò i prigionieri su chi erano e perché non volevano essere visti e dove si trovasse il luogo di estrazione, ma i prigionieri preferirono morire piuttosto che parlare e rivelare informazioni e così non vennero mai nessuno a conoscenza di chi erano e da dove provenivano i produttori di sale; e da quell’episodio, per ben 3 anni i commerci si interruppero bruscamente, da quel momento il re del Mali non rischiò di rimanere sprovvisto del sale necessario per vivere e quindi non catturò più nessuno di loro.
    La storia ad Alvise gli sembrò incredibile e per quanto strabiliante era contento che fosse il primo Europeo a venire a conoscenza di questo scambio muto tra oro e sale.


    L’OSPITALE AMICIZIA DEL CAPO BUDOMEL

    La successiva tappa dopo Arguim fu il Senegal, il primo grande fiume della terra dei neri volgendosi verso sud.
    Per raggiungerlo ci vollero alcuni giorni; e una volta giunti la caravella trovò difficoltà a risalire il fiume, soprattutto alla foce perché erano presenti dei banchi di sabbia che potevano far arenare la nave.
    Ad Alvise era stato detto che questo fiume era il confine umano tra i Zaneghi e i neri.
    I 2 ammiragli, il veneziano e Dias si resero conto che non era possibile andare oltre la foce, e così Alvise ed altri raggiunsero la costa con lo schifo(era la barchetta a remi delle navi).
    Uno degli interpreti, spiegò al mercante della Serenissima che in quella regione (regione del Senegal) vi era un modesto regno che aveva un re di 2 anni di nome Zucolin, e il trono non era ereditato ma dipendeva dall’elezione scelta da 4 “signori” tribù.
    L’economia della regione e del piccolo regno non era forte, ma ansi non aveva introiti sicuri e costanti, ma il tutto si basava sui regali che gli altri sudditi facevano al re per protezione e per paura dell’autorità regia; l’unica vera fonte di reddito abbastanza cospicua era la razzia di schiavi che portavano guadagni sicuri con il commercio con i Portoghesi..
    Gli schiavi , oltre che venduti venivano utilizzati in loco per essere sfruttati come manodopera nei campi.
    Alvise, incontrata la gente del luogo chiese loro di informare il loro capo che era giunto qui da una terra lontana per scambiare mercanzie; Alvise fu così invitato dal Re del Senegal di nome Bodomel a recarsi nel suo villaggio dove sarebbe stato suo ospite e dove poteva soggiornare per giorni sotto la tutela del Re.
    Alvise capì che stava per vivere un’esperienza unica, in cui poter osservare da vicino gli usi e i costumi di quella gente così tanto diverse dai bianchi non solo per il colore della pelle , ma per la loro stazza fisica molto imponente.
    Conobbe di Persona Bodomel che era onorato di avere il Veneziano come suo ospite, e gli disse che sarebbe potuto restare qui tutto il tempo che volesse.
    Nonostante le diversissime e accentuatissime differenze culturali e di mentalità, i 2 riuscirono a stabilire un rapporto di amicizia e di rispetto reciproco; molte furono le chiacchierate che i due fecero , anche molto intime, per esempio Bodomel, chiese ad Alvise se conosceva un metodo per soddisfare sessualmente più donne tutte insieme in una sola notte, ma il Veneziano non sapeva che rispondere; Bodomel che era musulmano gli confessò che avrebbe volentieri cambiato religione per convertirsi al Cristianesimo , ma non poteva perché altrimenti sarebbe stato spodestato da re(voleva convertirsi perchè diceva: “se voi bianchi avete così tante ricchezze e beni, il vostro Dio dovrà essere per forza un Dio giusto e buono).
    Bodomel , organizzò una battuta di caccia per così accompagnare Alvise nella savana per mostrargli gli animali che vivevano queste zone, e ne rimase estasiato e a dir poco incuriosito, soprattutto dagli elefanti.
    Il Giovane Veneziano Notò con simpatia che i Neri e le Nere erano estremamente lussuriosi e tutti erano felici e spensierati. Una spensieratezza(pensò Alvise) che non è propria della propria società Occidentale.
    L’ammiraglio della Serenissima decise di dare un occhiata ai mercati della zona,ma dopo averne visitati alcuni capì che quella gente era davvero molto povera, e la quantità di oro che possedevano era talmente minima da rendere impossibile un accordo commerciale con questa gente.
    Dopo 30 giorni, Alvise decise di lasciare Bodomel, che a suo tempo era diventato un amico, per tornare sulla sua caravella e continuare il suo viaggio verso sud.
    L’esperienza vissuta in quella terra fece riflettere il Veneziano su quanto era diversa la società occidentale da quella di quel popolo che viveva appena di sussistenza.
    Così salparono per continuare la loro ricerca d’oro verso sud.


    ALLA FOCE DEL FIUME GAMBIA E L’INCONTRO CON IL GENOVESE ANTONIOTTO USODIMARE

    La Caravella di Alvise e di Dias arrivò dopo alcuni giorni di navigazione alla foce del fiume Gambia; c’era molto ottimismo DA PARTE DEL VENEZIANO DOPO L’ESPERIENZA CON Bodomel, e credeva sempre di più che gli affari sarebbero andati a meraviglia acquisendo un quantitativo d’oro straordinario.
    Giunti alla foce del Fiume incontrarono 2 navi(erano per forza Portoghesi perché erano gli unici che potevano navigare in quelle acque) e contenti di incontrare in un posto così lontano dei connazionali , fece impazzire di gioia l’equipaggio della Caravella;
    le imbarcazioni si incontrarono e al Comando di quelle due navi Portoghesi (una caravella e un’altra nave più piccola di supporto) c’era un Genovese, Antoniotto Usodimare anche li al servizio del Portogallo in questa spedizione, e visto che entrambi stavano andando nella stessa direzione con lo stesso obbiettivo, decisero di proseguire insieme , si avvicinarono così le 3 navi lusitane alla foce del Gambia e videro che gli vennero incontro alcuni uomini armati su una specie di canoe(tronchi scavati), gli interpreti provarono a spiegare dalla nave a queste persone che erano venuti in pace da molto lontano e che volevano scambiare mercanzie, ma probabilmente questi indigeni non capivano la lingua degli interpreti e scapparono, per poi tornare pochissimo dopo con più di 150 canoe tutti con frecce pronte a sparare, l’equipaggio portoghese allora si armò e si sistemò in assetto da battaglia, sperando che i nativi non cominciarono a sparare fecce, ma dopo un momento in cui gli indigeni locali rimasero immobili , stupiti da quelle caravelle così alte e grandi, cominciarono a sparare frecce e i lusitani riuscirono senza che nessuno di loro ci rimise le penne a uccidere abbastanza indigeni da far scappare via gli altri; ma era ovvio che gli accordi di scambio con quelle genti non erano possibili, almeno in quel momento, e temevano , Alvise e Antoniotto ,che si sarebbe sparsa la voce tra le altre popolazioni degli indigeni della zona di questo evento e che avrebbe scaturito contro di loro altre tribù , mandando in fumo la possibilità di ricavare oro da queste persone africane.
    Si decise così che sarebbe meglio tornare in Portogallo (decisione spinta prevalentemente dai marinai che non volevano proseguire il viaggio per paura di altri attacchi) e per la speranza di Alvise di tornarci con la speranza che il prossimo viaggio sia molto più cospicuo, anche se bisogna dire che il guadagno ricavato da quest’ultimo non è stato affatto misero,ma bensì abbastanza da potersi considerare molto fortunati.



    IL RITORNO E LA PREPARAZIONE DELLA PROSSIMA PARTENZA

    Il ritorno fu abbastanza facile, senza intoppi nella navigazione(apparte una tempesta che però non fece alcun danno , ma provocò solo un po’ di paura), e arrivarono a Lagos verso la fine di settembre , e ad accoglierli nella cittadina dell’Algarve erano permanete in molti, e non solo parenti e mogli dell’equipaggio che speravano che il loro marito fosse tornato sano e salvo, ma anche parecchi curiosi che volevano vedere la stranezza dei prodotti che sbarcavano dalle caravelle.
    Secondo l’accordo un quinto del carico delle navi era di proprietà dell’Infante.
    Ad un tratto , tra la grande folla di persone venute ad assistere al ritorno delle caravelle al porto di Lagos si fece largo insieme ad alcuni scudieri il principe D.Enrico che abbracciò i tre ammiragli tornati dalla grande impresa: Alvise, Dias e Antoniotto.
    Nei giorni successivi il Veneziano venne invitato(come spesso capitava anche prima del viaggio) dall’Infante per farsi raccontare come si era svolto il viaggio e quanto era stato proficuo lo scambio con gli indigeni; Alvise fu felicissimo di raccontare il viaggio e di quei posti meravigliosi dell’Africa sembrano usciti direttamente da una fiaba.
    Dopo un meritato riposo, il giovane mercante della Serenissima, aveva dei dubbi che lo tormentavano: la voglia di ripartire era tanta, perché voleva concludere quello che nel viaggio precedente non era riuscito a compiere, e un altro tormento che risiedeva nella sua mente era diretto verso la sua amata Città di Venezia; si chiedeva che conseguenze avrebbe avuto la sua Repubblica lagunare da questa nuova realtà economica e umana , e l’avanzare dei Turchi Ottomani verso Occidente, iniziando dalla caduta di Costantinopoli che ebbe come conseguenza la rottura dei commerci con quelle zone Orientali e del mare Egeo.
    La voglia di riferire all’Infante la sua volontà di intraprendere un altro viaggio lo aveva spinto ad accordarsi con uno scudiero per organizzargli una visita dal Principe.
    Arrivato davanti a D.Enrico, dopo un caloroso saluto che il Lusitano fece al Veneziano, fu lo stesso Portoghese a proporgli di salpare nuovamente verso l’Africa e il giovane non poteva credere alle sue orecchie e senza esitare si mostrò estremamente favorevole alla proposta dell’Infante che ormai sempre più vedeva come un amico e come un grande uomo al quale riservava una stima infinita , ma questa fiducia e stima per il principe scricchiolò per un po’ quando Alvise chiese se alla prossima spedizione poteva essere affiancato ad un'altra caravella comandata dal suo ormai amico “Italiano” Antoniotto Usodimare, perché Enrico diede il suo consenso, ma voleva che insieme a loro prendesse parte un'altra caravella con un suo ammiraglio di fiducia.
    Questo fece riflettere molto Alvise e lasciò in lui una sensazione di amarezza, come se avesse l’impressione che l’Infante non si fidasse tanto di lui, mentre lui aveva invece riservato una fiducia infinita verso quell’uomo che possiamo considerarlo un pre-rinascimentale(visto che di rinascimentale i quell’uomo mancava soltanto l’epoca in cui viveva).
    Più volte Alvise venne invitato dall’Infante successivamente alla partenza del secondo viaggio nella sua dimora per farsi raccontare alcune vicende del viaggio in Africa, e in questi colloqui il Veneziano conobbe l’illustre persona di Zurara, che un intellettuale che aveva narrato l’impresa della conquista di Ceuta del Portogallo nel 1415;
    Alvise ritenne che Zurara era una persona interessantissima , meno entusiasmo manifestò quando conobbe il grande esploratore Diogo Gomes che subito quest’ultimo sembrò invidioso del rapporto che il Veneziano aveva instaurato col Principe e per l’affetto e la stima che l’Infante riservava per questo ragazzo Veneziano, e cercava parlando di sminuire le imprese di Alvise esaltando invece le sue.
    I dubbi che tormentavano Alvise piano piano si alleviarono fino a sparire anche se l’idea che ci fosse un altro ammiraglio oltre a lui e Antoniotto nella seconda impresa , gli dava un po’ fastidio.
    La preparazione del secondo viaggio fu attenta e dettagliata ed a occuparsene fu proprio Alvise perché questa volta poteva permettersi di allestire la sua nave con i propri soldi (guadagnati dalla precedente impresa), e si occupò anche di scegliere il vascello adatto: scelta questa che richiese tempo , mesi , ma alla fine la sua decisione cadde su una caravella che aveva visto nascere dalla finestra della sua casa a Lagos che si affacciava su un cantiere navale.
    Erano in atto gli ultimi preparativi, quando Alvise fu colpito da un enorme dispiacere: L’Infante D.Enrico era malato e aveva un a forte febbre.
    Arrivò il giorno tanto atteso, il giorno della partenza e balzò di felicità Alvise quando vide che l’Infante era giunto lì per salutarli e per augurargli un cospicuo viaggio.


    IL SECONDO VIAGGIO ANCORA NELLA REGIONE DEL FIUME GAMBIA

    La partenza verso una terra già visitata nel viaggio precedente, ebbe per Alvise un sapore diverso , perché, nonostante le situazioni fossero le stesse dell’anno prima,dal punto di vista emotivo le aspettative erano mutate.
    Le tappe del viaggio furono le medesime, e superato l’ampio promontorio di Capo Bianco, i 3 ammiragli, Antoniotto, Alvise e Diogo Rodrigues decisero di dirigersi verso il fiume Senegal e Gambia non costeggiando la costa , ma navigando leggermente più a largo per evitare le acque basse ; ma all’improvviso, verso sera , molte nuvole nere estremamente minacciose si stavano ammassando sopra le loro teste, e si scatenò così una terribile tempesta che durò per un giorno intero , mettendo a dura prova la razionalità di Alvise e degli altri Capitani che temevano il peggio vista la violenza della tempesta tropicale.
    Finita il nubifragio , mentre il mare lentamente si calmava, Alvise si accorse che il forte vento e le onde li avevano spinti fuori rotta e si trovavano in un punto mai giunti prima, ovvero molto più a ovest del litorale Africano , e in mare aperto, il marinaio situato nella postazione di vedetta della nave vide terra! Il Veneziano disse che non era possibile, perché secondo le mappe in quel punto non era segnata nessuna isola; ma più andavano avanti e più l’ isole divenne più nitida e allora si diressero verso questa terra ignota, dove poi gettarono l’ancora e vennero mandati un gruppo di uomini sull’Isola che gli diedero il nome di Bòa Vista.
    L’isola sembrava disabitata, e i marinai giunti a terra lo capirono subito quando provavano ad avvicinarsi a un gruppo di colombi( ce ne erano moltissimi) sulla spiaggia, questi non scappavano e si potevano catturare con facilità semplicemente prendendoli con le mani, segno questo che non erano abituati all’uomo e non erano quindi mai stati cacciati.
    La sosta su quell’isola fu piacevole per tutti, il clima era tiepido-caldo , tipico di una primavera inoltrata , con una leggera brezza oceanica , spiagge bianchissime con il mare calmo, e notando delle tartarughe, i marinai si avvicinarono a loro per prenderle e guardarle , perché non ne avevano mai viste di così giganti, e ne presero alcune per mangiarsele e , cotta la carne di testuggine al fuoco, Alvise la assaggiò e disse che era la carne più buona che avesse mai mangiato.
    Dall’isola in cui si trovavano , si vedevano altre isole distanti non più di 5 miglia, ma preferirono dirigervi subito sul fiume Gambia, e così fecero.
    Raggiunsero la costa Africana all’altezza di Capo Verde e, dopo un altro giorno di navigazione le 3 caravelle si trovavano di fonte alla foce del fiume Gambia.
    Questa volta i turcimanni(gli interpreti) visto che alcuni provenivano questa volta da quella regione, conoscevano la loro lingua(degli indigeni locali) e dopo un po’ di titubanze da parte dei nativi, un ragazzo si avvicinò e così gli interpreti poterono spiegare le loro intenzione , ovvero l’intento di effettuare scambi commerciali con la loro gente ; i giovane nativo ebbe fiducia dei Portoghesi grazie anche ai regali che gli erano stati fatti e li condusse nel suo villaggio che si trovava più nell’entroterra , e ci si poteva giungere risalendo il fiume Gambia.
    Le zone aurifere del Mali non erano molto distanti da quella zona, e quando le “almadie” del villaggio di Battimansa(nome del ragazzo indigeno) giunsero sulla riva del fiume dove erano attraccate le caravelle, portarono molto oro , schiavi e pelli di gatti mammoni e zibetti.
    Tutti ne rimasero felici del proficuo scambio che avevano effettuato e fu detto agli indigeni che ogni volta che una nave portoghese giungesse qui da voi, si sarebbe effettuato uno scambio di merci.
    Alvise volle sapere perché l’altra volta una tribù li attaccò alla foce del fiume, e il ragazzo Battimansa spiegò che” si credeva che i bianchi erano cannibali e che il vostro intento era quello di catturarci per mangiarci”; e disse anche che si erano spaventati alla vista di quelle caravelle che per loro erano degli uccelli giganti con due grandi ali bianche che erano le vele.
    Si fermarono lì poco più di dieci giorni e Alvise fu invitato ad una battuta di caccia, per mostrarglieli ani ali della zona e il veneziano rimase stupefatto nel vedere la quantità di animali strani” che abitavano quelle zone, a partire dagli ippopotami, dagli elefanti, dai coccodrilli e dai leoni e leopardi.
    Nella battuta di caccia venne catturato un piccolo di elefante che poi fu offerto in banchetto ai Portoghesi ; alvise assaggiò quella carne del piccolo di elefante, ma la trovò immangiabile per la sua durezza e per l’assenza di sapore, gli regalarono anche un piede di quell’elefante che il veneziano decise di regalarlo poi all’Infante per mostrargli quali strani animali vivessero in quelle terre.
    Decisero dopo molti giorni di riprendere la navigazione verso casa perché alcuni uomini erano stati colpiti da forti febbri dovuti al clima tropicale difficile da sopportare se non si è abituati.


    RITORNO IN PORTOGALLO

    Nelle prime ore di un mattino di settembre le 3 caravelle arrivarono nel porto di Lagos in Portogallo, la situazione non era delle migliori perché alcuni uomini erano ancora colpiti da una forte febbre(probabilmente qualche epidemia tropicale), mentre due uomini morirono per la temperatura del loro corpo che si elevò eccessivamente.
    Ma la vista della città dell’Algarve emanò a tutti una ventata di benessere per il ritorno a casa; anche se per Alvise e Antoniotto la situazione era diversa , perché la loro casa era Venezia e Genova.
    Sbarcati nel porto uno scudiero disse ai 3 capitani di essere stati invitati dall’Infante nella sua dimora il pomeriggio del giorno successivo.
    Alvise non vedeva l’ora di rivedere il principe D.Enrico e passato il dì , dopo una lunga e meritata dormita andò dall’Infante che lo accolse come n figlio dicendogli:<”Felice di vederti! Sei ormai un collaudato viaggiatore, non tutti affrontano per due volte un viaggio così difficile ; e allora fammi sapere, è andato tutto bene ? sei riuscito nel tuo intento di conquistare la collaborazione dei Neri? Dal numero degli schiavi che sono scesi dalla tua nave, così pure dall’oro che hai ottenuto mi sembra che gli affari siano stati ottimi”>.
    Alvise tutto entusiasta gli raccontò con un estremo piacere il viaggio a quella figura che ormai lui riteneva paterna.
    Finito il viaggio , Alvise si trovò davanti ad un bivio, restare qui in Portogallo o tornare nella sua Venezia?
    Decise di restare ancora un po’ qui in territorio Lusitano e restò a contatto con molti mercanti , perché quello era l’ambiente che più lo faceva stare bene e più amava stare, commerciare era il su mondo e il Portogallo era in quel periodo era uno dei centri di scambio più floridi d’Europa.
    Passava le giornate così nei porti, presso la corte dell’Infante e conosceva personaggi illustri che si complimentavano con lui per le imprese compiute in Guinea e molto spesso gli veniva chiesto di raccontare i suoi viaggi; inizialmente Alvise era contento di parlare delle sue spedizioni, ma quando poi si accorse che ripeteva sempre le stesse cose , si stufò un po’.
    In questo periodo si chiese pure se era giunto il momento di sposarsi e condividere la vita con una donna e avere dei figli; le candidate di certo non mancavano, Alvise si presentava come un bell’uomo, di buoni costumi e ricco (visto che l’ultimo viaggio gli aveva portato introiti talmente alti da poter star bene per il resto della sua vita e oltre), ma l’idea del matrimonio al momento non lo convinceva molto.
    Un giorno , dopo un periodo che non aveva visto l’Infante perché impegnato nei suoi affari politici, decise di prendere un appuntamento con lui per fargli visita: voleva rivedere l’uomo che gli aveva dato tanta stima e che non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per la possibilità che gli aveva dato di intraprendere questi 2 viaggi che gli avevano cambiato la vita.
    Arrivato il giorno della visita, L’Infante gli confessò che stava preparando l’allestimento di una flotta immensa per conquistare Tangeri e sconfiggere quindi il Sultano di Fez.
    Alvise in sé pensava che questa politica aggressiva nei confronti dei regni musulmani avrebbe rotto quell’equilibrio tra le 2 religioni che aveva permesso a Venezia di intraprendere i suoi commerci con le città sulla costa magrebina; penso che questo un momento radicale nella storia perché stavano succedendo fatti importanti, come l’avanzata degli ottomani sempre più verso occidente mettendo in pericolo l’economia veneziana la sua stessa esistenza, e il Portogallo dall’altra che si stava affermando come potenza marittima incontrastata che avrebbe probabilmente danneggiato la sua città Venezia perchè l’avrebbe stretta in una prigione di mare con da una parte i turchi e dall’altra i Portoghesi che fungevano da muro.
    E si chiese: fino a quando la circolazione di merci sarebbe stato possibile?
    Il 14 ottobre ci fu la messa solenne prima della partenza, e il giorno successivo la flotta dell’Infante(che nonostante l’età ormai moto avanzata aveva preso parte personalmente alla missione) si partì per la conquista della città Marocchina.
    La conquista riuscì a pieno e Tangeri divenne possedimento Portoghese.


    ED INFINE IL RITORNO A VENEZIA

    Il 23 novembre del 1460 la vita dell’Infante D.Enrico si spense definitivamente e Alvise pianse a calde lacrime per la perdita di colui che aveva plasmato il suo carattere e che gli aveva permesso di realizzare imprese eccezionali uniche nel suo genere.
    Dopo circa 3 anni, Alvise decise di tornare a Venezia perché non c’era più nulla lì in Portogallo che lo spingesse a rimanere ora che il principe tanto a lui caro non ci fosse più.
    Così in una fredda mattina di febbraio del 1463 Alvise entrò nella città nativa e visto che non aveva avvertito nessuno del so ritorno, ad aspettarlo non c’era nessuno, anche se venne riconosciuto da alcuni, visto che la fama delle sue imprese aveva fatto il giro di tutti i porti d’Europa; andò così nella sua casa dove trovò il padre anziano e malato che riabbracciò suo figlio e la matrigna Elisabetta si limitò a frasi formali con un atteggiamento che non nascondeva la sua irritazione e fastidio nel ritorno del figlio di Giovanni da Ca’ da Mosto.
    La vista degli edifici veneziani e la sua complessa e ricchissima architettura dei palazzi commosse Alvise che si sentì finalmente a casa.
    La modesta dimora del padre era diventata un via vai di gente che voleva congratularsi con Alvise per aver potato in alto il nome di Venezia nelle sue imprese in Africa e anche dei personaggi mandati dal Doge volevano vederlo per fargli domande sulla politica Portoghese e per scoprire le mosse commerciali che la Corona Lusitana stava adottando.
    Alvise ottenne incarichi politici all’interno della Serenissima e riuscì ad entrare nei 40 de gran Consiglio di Venezia(una carica elevatissima).
    La sua mente concepì l’idea che era forse ora di sposarsi e di avere dei figli, e grazie all’amicizia con Giovanni Bellini(il Pittore), venne invitato alla sua festa di carnevale e riconobbe una donna che conosceva sin dall’infanzia , gli apparve bellissima, aveva gli occhi coloro azzurro e i capelli rossi, si frequentarono e decisero di sposarsi, ma Elisabetta Venier(sua moglie) dopo pochi anni di matrimonio si ammalò e la malattia durò per molti anni con alti e bassi, non riuscirono ad avere figli, e proprio in quegli anni il padre Giovanni da Ca’ da Mosto morì improvvisamente nel sonno, portato via da quella malattia che da tanto lo aveva colpito.
    Con la fine del padre, Alvise si sentì aggravato per il carico di responsabilità per i beni che il padre gli aveva lasciato in eredità e ‘era l’antagonista della matrigna che cercava in tutti i modi di sistemare economicamente le sue due figlie( era sin dall’inizio quello l’intento della seconda moglie del padre).
    Il periodo successivo , il mercante veneziano ormai politico affermato, rimase sconvolto dalla morte anche della moglie che era stata consumata dalla malattia.
    La mente di Alvise tornava spesso , per non dire sempre, a quella libertà che sentiva durante quei viaggi in Africa dediti all’esplorazione e agli scambi commerciali con popolazioni completamente diverse dalla sua; non riusciva a ritrovare se stesso, aveva una sensazione di sentirsi in gabbia, non era soddisfatto della sua esistenza, il suo animo non si dava pace neanche immergendosi nel lavoro burocratico di politico, e a immettere altrettanta preoccupazione in lui furono le gravi notizie che giungevano da oriente, visto che i Turchi ottomani continuavano ad avanzare e sembrava una corsa inarrestabile che si dirigeva sempre più verso Venezia, già gravemente danneggiata per la perdita per mano ottomana dei possedimenti nelle isole dell’Egeo e per l’interruzione dei traffici commerciali sempre più netti a spazzare via la sua amata Repubblica;
    si rese conto che stava avvenendo un cambiamento radicale e che la Serenissima avrebbe rischiato di scomparire ; preoccupazione questa che risiedeva negli animi di tutti i cittadini veneziani.
    La sua mente tornava continuamente alle spiagge bellissime e bianchissime dell’Africa Atlantica, a quel senso di libertà che l’Oceano, nuovi popoli, nuovi prodotti e quella emozione dell’ignoto che tanto gli mancava, e capì che la sua vita era sul mare e riprese l’attività commerciale : in un viaggio ad Alessandria ebbe forti emozioni che gli fecero riflettere sulla scelta che fece molti anni prima di tornare a Venezia , e di quanto lo aveva oppresso quella vita priva di stimoli a Venezia tra carte burocratiche e vicende politiche; infatti si senti di nuovo pieno di forze quando intraprese nuovamente i viaggi commerciali che gli davano gli stimoli per non vivere in maniera monotona, ma le forze lo stavano abbandonano e il tempo delle audaci imprese era definitivamente tramontato.


    Alvise da Ca' da Mosto scrisse le sue testimonianze del viaggio nel periodo in cui era tornato a Venezia.

    Edited by Cornelio Scipione. - 14/1/2009, 21:53
     
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